La storia dei migranti deportati in Albania si tinge giorno dopo giorno di colori da farsa, ma è sbagliato riderci su. L’ultima è che dei sedici poveracci (si può anche scrivere 16, in numeri arabi, o XVI in numeri romani, ma sempre pochissimi restano) cui è spettato l’onore di sperimentare l’ultima raffinata tecnica di “disincentivazione” ideata dal governo Meloni, soltanto dodici erano adeguati; gli altri quattro erano minorenni o troppo malati e torturati per restare nella struttura albanese. Così sono stati rimbarcati su una nave da 81 metri con 70 persone di equipaggio, e dopo sole altre cinquanta ore di navigazione, con le cinquanta dell’andata fanno cento in totale, saranno di nuovo in Italia. Dove peraltro già si trovano gli altri ottanta loro compagni di naufragio, tutti e ottanta troppo malati, o torturati, per essere trasferiti in Albania.
Basterebbero questi numeri per capire di che colossale e crudele idiozia stiamo parlando. Sugli 80 migranti soccorsi ed esaminati, solo 16, poi scesi a 12, erano “maschi adulti sani”, e quindi deportabili. Gli altri erano povera carne macellata dai viaggi allucinanti delle cui modalità è al corrente tutto il mondo. Tranne, evidentemente, il governo italiano, secondo il quale la sola minaccia di finire in Albania convincerebbe i migranti a desistere dall’intraprendere la traversata verso l’Italia. Chi conosce lo stato dei nostri attuali centri di raccolta osserva, non senza amarissima ironia, che sono talmente schifosi, zozzi, ridotti a veri e propri lager, con le persone ammassate le une sulle altre senza la minima possibilità di conservare dignità e decenza, che la visione dei centri albanesi, nuovissimi, di ordinato design, con aria condizionata, servizi igienici moderni, letti, tavoli e sedute, pulizia impeccabile e perfino tre pasti caldi al giorno, potrebbe diventare, chissà, un nuovo pull factor. Ironia a parte, è difficile credere che questa ennesima farsa possa fermare persone pronte ad affrontare tutto quello che un migrante affronta (e di cui, a differenza del governo italiano, sono perfettamente coscienti), mettendo in conto anche la morte. E l’ordinata pulizia dei centri albanesi, per dirla con la vicedirettrice della Stampa Annalisa Cuzzocrea, è solo una prova in più dello spaventoso grado di ‘’manutenzione della disumanità“ a cui stiamo arrivando.
Ma non è questo il punto. Il punto è che fino ad oggi la stragrande maggioranza delle critiche al demenziale progetto albanese del governo si è concentrato sui costi esorbitanti.
Si stanno buttando 800 milioni! protesta l’opposizione. La destra corregge: sono solo 600 e spicci! e spalmati su più anni, quindi alla fine meno di 200 e spicci all’anno. Ma comunque sempre tantissimi, ribatte l’opposizione, e per pochi migranti per volta! Eh, obiettano ancora dal governo, adesso sono ancora pochi, ma poi, a regime, vedrete quanti ne deporteremo….
Ma sono pur sempre 400 euro a migrante, contro i 35 che ci costano qui in Italia! è la controreplica da sinistra.
Il dibattito va avanti così da giorni. Sempre e solo concentrato sui costi, sui soldi, sui “conti della serva”. Vero, il costo di un migrante in Albania è nove volte quello che ha in Italia. E la sinistra, l’opposizione, prende spunto dai costi, mettendo a confronto le centinaia di milioni dell’operazione Albania con i tagli alla sanità: “non era meglio mettere quei soldi sulle liste d’attesa?”. Cosa c’è di sbagliato, si potrebbe osservare. Tutto. Tutto è sbagliato. È sbagliato ridurre una questione di questa portata a un fatto di “soldi”. È sbagliato attaccarsi ai costi dell’operazione per criticarla: se fosse gratis, o se, per dire, ci pagasse a noi l’Albania, forse andrebbe bene? Una deportazione a costo zero sarebbe giusta, corretta, etica?
Sarebbe accettabile dal punto di vista dei diritti internazionali, dei diritti umani, dei diritti dei rifugiati, solo perché aggratis?
No, non lo sarebbe. E allora perché non dirlo, perché limitarsi ad attaccare l’operazione del governo sui costi? La risposta c’è, ma è sbagliata pure quella: si attacca sui costi perché, ormai da molti anni, solo la frase “coi soldi nostri” parla alle pance del paese. Mentre i concetti di etica, umanità, diritti, pietas, ecc., non parlano più a nessuno. Dire “con quei soldi si potevano abbattere le liste d’attesa della sanità”, magari suscita un moto di indignazione; invece, dire “è indecente, vergognoso, schifoso, deportare i migranti”, suscita un moto di irritato fastidio e l’accusa di “amici degli scafisti”. E la sinistra, sotto elezioni, o anche senza elezioni, non vuole rischiare, non può rischiare.
Attenzione: non è un problema solo italiano. E nemmeno europeo. È mondiale. Una volta le elezioni si vincevano o perdevano sulle tasse, oggi si vince o si perde sugli immigrati. In Europa, come negli Usa, i partiti neonazisti, sovranisti, suprematisti e compagnia bella, avanzano al grido “fuori gli immigrati”. Una pia illusione, perché tutto -la demografia, gli studi sul clima, le guerre- ci dice che le ondate migratorie dal sud verso il nord del mondo saranno una costante dei prossimi decenni. E nemmeno il governo più sprovveduto crede davvero che sia possibile fermarle con muri, barriere, blocchi navali o altre sciocchezze. Il vero obiettivo è solo salvarsi il culo alle prossime elezioni. Il ministro degli esteri olandese, Casper Veldkamp, lo dice senza timidezze: “sulle politiche migratorie stiamo assistendo a un cambio di paradigma: ovunque in Europa i governi assumono una linea dura perché lo chiedono le loro popolazioni”.
È cosi che siamo ridotti. È diventato normale non salvare le persone, così come è diventata normale la parola “guerra”. Dopo aver accettato di tener bassa la protesta sugli attuali sanguinosissimi conflitti – perché sennò “siete amici di Putin”, o “nemici di Israele”, o chissà cos’altro- adesso tocca stare zitti anche sulle stupidissime e crudeli e inutili (e si, anche costose) deportazioni dei migranti: perché senno siete “amici degli scafisti”, perché cosi vuole “er popolo”.
Ma quando si comincia a star dietro al popolo, invece che davanti, è quasi sempre l’inizio della fine.
Nunzia Penelope