La vicenda di Menarini, ex Industria Italiana Autobus, è annosa e complessa. Difficoltà economiche e gestionali hanno messo in crisi una delle aziende fiore all’occhiello dell’automotive italiana, tenendo sul filo i lavoratori dei due stabilimenti di Flumeri e Bologna. La crisi del settore, poi, non ha fatto che aggravare condizioni che parevano insanabili. Lo Stato ha tentato il salvataggio a più riprese e l’ingresso al 98% di Seri Industrial, capitanata da Vittorio Civitillo, insieme al potenziale partner cinese che condurrà sulla via dell’elettrico, lasciano intravedere qualche spiraglio di ottimismo. Ne parla in questa intervista a Il diario del lavoro il coordinatore nazionale del settore auto della Fim-Cisl, Stefano Boschini
BredaMenarinibus, poi IIA, infine il ritorno alle origini con Menarini: quella dell’azienda fiore all’occhiello dell’automotive italiana è una storia travagliatissima. Cosa è successo?
Io seguo le sorti dell’attuale Menarini da soli due anni, ma la storia è molto chiara. Menarini nasce dall’uscita di Iveco, risalente a più di dieci anni fa, con successivi tentativi di rilancio. L’ultimo assetto societario, quello di Industria Italiana Autobus, era composto dai turchi di Karsan al 28,59%, Leonardo al 28,65% e da Invitalia 42,76%. Questo assetto è rimasto fino alla primavera di quest’anno, quando Leonardo ha deciso di uscire così come anche Invitalia. Per questo si è dovuto procedere alla vendita. Ci sono state due cordate che hanno concorso fino all’ultimo per l’acquisizione: una è il Gruppo Seri Industrial di Vittorio Civitillo e l’altra formata dagli imprenditori Valerio Gruppioni, Maurizio Marchesini, Maurizio Stirpe e Nicola Benedetto. Alla fine l’offerta più sostenibile è stata ritenuta quella di Civitillo ed il passaggio è stato formalizzato tra luglio e settembre di quest’anno. Il nuovo assetto societario, quindi, vede Civitillo al 98% e Invitalia al 2%.
Come mai il Mimit, tra ben 23 proposte di interesse, ha fatto ricadere la sua scelta proprio su un investitore i cui interessi sono lontani dall’automotive?
La spiegazione che ci hanno dato è che Civitillo ha presentato l’unica proposta economicamente sostenibile. Inizialmente ci siamo opposti a questa scelta per esperienze pregresse delle organizzazioni sindacali con Civitillo in altri settori dell’area campana, ma a detta del Governo la sua posizione era l’unica sostenibile e l’alternativa sarebbe stata il fallimento. Il nostro impegno, a prescindere dall’investitore, che è il progetto vada a buon fine.
Con Invitalia lo Stato partecipa alla proprietà con una quota simbolica del 2%. Quali rischi si corrono con la dismissione del pubblico in IIA?
Invitalia partecipa al 2% con un accordo parasociale che mette Civitillo nella condizione di rispettare il progetto industriale e garantire sia le produzioni che gli organici al momento del passaggio. Lo Stato, quindi, riveste una funzione di garante rispetto sia al piano industriale che occupazionale. Noi abbiamo insistito affinché rimanessero dentro sia lo Stato, con una quota molto più significativa, che Leonardo, che ha una forte componente pubblica nonché le risorse per poter portare avanti questo progetto. Ci è stato tuttavia spiegato che Leonardo he deciso di uscire perché quello non è il suo business, e che Invitalia aveva il vincolo di durata del mandato (cinque anni). Quello che fa la differenza non è il peso societario, ma gli accordi parasociali per vigilare il rispetto degli impegni di Civitillo. In caso contrario, la sua partecipazione azionaria verrebbe messa in discussione.
La scorsa settimana finalmente è stato illustrato il piano industriale. Quali i punti salienti?
Innanzitutto il memorandum che porterà a un accordo per l’ingresso di un’importante multinazionale cinese con il 25% ceduto da Civitillo. Questo prevede, tra l’altro, l’impegno a fare un numero significativo di assunzioni e, soprattutto, il lancio della produzione di autobus elettrici poiché la società cinese ha le tecnologie adatte per consentire l’ingresso di tutta la componentistica dell’elettrico. Il memorandum è frutto, tra l’altro, degli accordi internazionali fatti dal Governo: a fine luglio, infatti, prima il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, poi la premier, Giorgia Meloni, sono andati in Cina e questo è uno degli accordi realizzati in quel periodo. In particolare, sul versante produttivo il piano attuale prevede di arrivare al 2028 con la produzione di 639 autobus, di cui il 95% elettrici. Inoltre, l’obiettivo è realizzare prevalentemente autobus elettrici di sei-otto metri di lunghezza, che prima non producevano. Quindi si scommette anche sull’innovazione e non sul tirare avanti con le produzioni di prima. Per fare questo, la proprietà prevede nuove assunzioni nell’organico dei 350 già presenti a Flumeri: 80 lavoratori entro la fine di quest’anno e altri 100 entro giugno 2025. Ma oltre a nuova forza lavoro serve anche efficientare la produzione giornaliera.
La prima azione concreta della nuova proprietà, però, è stato il cambio di nome societario. Che valore ha il passaggio da IIA a Menarini?
Non hanno spiegato apertamente le motivazioni, ma probabilmente hanno voluto riprendere il nome del marchio storico della parte bolognese, Menarini appunto, perché è così che è ancora conosciuta a Bologna. Poi forse ci sarà dell’altro, ma comunque è anche un segnale di discontinuità rispetto alla gestione di IIA che è stata pessima.
Restando a Bologna, dopo la paventata chiusura del sito ad agosto è stata confermata la volontà di trasferire la produzione a Flumeri. Ci sono preoccupazioni sul piano occupazionale?
Oggi i dipendenti a Bologna sono 150, di cui 75 impiegati presso la parte produttiva che era quella che Civitillo ha dichiarato ad agosto di voler chiudere per portare tutta la produzione su Flumeri. Ma lo stesso Civitillo ci ha spiegato che in realtà quella scelta non è stata presa di sua iniziativa, ma era contenuta nel piano industriale elaborato precedentemente e sul quale si era impegnato a non apportare modifiche. E all’epoca, di questa parte del piano industriale, a noi del sindacato nessuno ne aveva parlato. La questione dei licenziamenti si è risolta senza alcuna presa di posizione unilaterale fintanto che la questione non sarà risolta sul versante sindacale.
Quindi che cosa succederà?
Dei 150 dipendenti 75 sono legati alla parte produttiva – quelli, per capirci, che sarebbero stati gli esuberi ad agosto. Civitillo ha detto che intende rafforzare a Bologna tutto il settore di ingegneria e aftersales – sostanzialmente la parte impiegatizia – per cui intende recuperare una parte di questi lavoratori attribuendoli a nuove funzioni. E per queste funzioni dovrebbero assumere 18 lavoratori entro la fine dell’anno, altri 18 entro la fine del 2025; oltre a questi servono 25 persone nell’aftersales e altre 10 più avanti, che probabilmente verranno recuperate tra gli esuberi della parte produttiva. Non sarebbe un numero particolarmente significativo di esuberi, si parla di 20-30 persone che potrebbero essere gestite attraverso gli strumenti che si utilizzano quando si discutono i piani sociali. Per cui da un punto di vista dell’organico complessivo, tra la cessazione della produzione e le nuove figure che serviranno, alla fine il bilancio va in pareggio. Ma tutto dipende da quante di queste 75 persone riusciranno o vorranno essere riconvertite in queste nuove funzioni, gli altri dovranno essere assunti esternamente. Il tema del confronto sindacale si concentrerà su questo. È chiaro che non esiste minimamente la possibilità, come era stata posta ad agosto, di trasferire i lavoratori da Bologna a Flumeri in maniera coatta.
La scelta di tenere l’impianto produttivo a Flumeri è solo perché Civitillo è campano oppure c’è un’altra spiegazione?
No, semplicemente perché la realtà di Flumeri è molto grande e importante da questo punto di vista. Non ha senso fare una produzione molto piccola su Bologna quando hai a disposizione un’area così vasta.
Quanto all’ingresso del partner cinese al 25%, la China City Industrial Group è stata in visita in entrambi gli stabilimenti e ricevuta a colloquio dal ministro Urso. È un’ipotesi confermata?
Ci hanno fatto il nome della Geely Holding Group. Prima circolavano altri due nomi con i quali non se ne è fatto niente, ma si è creata confusione con un’altra grande multinazionale cinese che aveva interessi nell’area limitrofa allo stabilimento di Flumeri e che potrebbe operare nel settore automotive – ciò in virtù del tentativo di Urso di portare in Italia altri produttori cinesi. Comunque sia, per Menarini, come detto, è già dal viaggio del Governo in Cina che si dà per scontata la presenza del partner cinese e parrebbe, secondo quanto riferito dal Ministero, che l’operazione si chiuderà a breve.
Oggi più che mai lo spettro cinese sull’elettrico fa paura e lo stato del settore automotive italiano lo conferma. Come sindacati che dubbi avete a riguardo?
Siamo in una fase nella quale misureremo le coerenze tra quello che dicono e quello che fanno. Se quello che dicono si realizzerà, l’operazione sarà stata un successo; se guardiano agli ultimi 15 anni le proposte erano molto buone, ma alla fine si sono rivelate un buco nell’acqua. Speriamo che questo nuovo progetto, con questi nuovi soci, possa dare un risultato positivo per l’occupazione e la produzione. Un altro aspetto importante sulla questione Menarini è che il trasporto pubblico elettrico è un settore che dovrebbe avere grandi prospettive – un settore che lavora in una buona parte con soggetti pubblici – per cui le potenzialità sono forti. A Foggia, per esempio, Iveco è ritornata ad assemblare autobus elettrici: i componenti vengono importati da altri stabilimenti Iveco, e anche se non sono tantissimi dipendenti, sta procedendo verso questa direzione. Questo ci lascia ben sperare anche per Menarini.
Infatti IIA ha continuato a ricevere commesse nonostante la situazione in cui versava.
Questo è un altro tema importante. L’azienda era sommersa da penali che doveva pagare perché non riusciva a produrre gli autobus. Negli ultimi anni non c’è mai stato un problema di commesse, ma di incapacità di produrre per tanti motivi: la situazione debitoria, il fatto che facessero fatica a ricevere i componenti da tutte le aziende della componentistica per problemi di liquidità, l’organizzazione del lavoro. Tutto questo ha fatto sì che l’azienda non venisse rilanciata. Oggi, per poter portare avanti l’operazione, il presupposto è la sostenibilità economica. Una buona notizia da questo punto di vista è che il piano prevede di realizzare, da qui a fine anno, un totale di 146 autobus. Ne riusciranno a fare solo 106, ma sugli altri 40 hanno già contrattato le dilazioni con i clienti che eviteranno alla proprietà di pagare le penali. È un piccolo segnale di serietà dell’operazione che stanno portando avanti. Ovviamente noi andremo a valutare le coerenza di quello che effettivamente si realizza rispetto a quello che ci hanno presentato.
Qual è il prossimo passaggio nelle relazioni con la proprietà?
Non c’è una data per un nuovo incontro, però è stato pianificato. Pensiamo di continuare un percorso di informazione e verifica di attuazione del piano, soprattutto sulla gestione sociale nel sito di Bologna dal punto di vista dei dipendenti 75 dipendenti della produzione. Per Bologna la questione sarà portata prevalentemente sul tavolo territoriale, anche se ovviamente ci saranno i passaggi anche a livello nazionale essendo un Gruppo molto importante.
La condizione è di estrema difficoltà, come ha ammesso anche Civitillo, ma Seri ha accordato la piena collaborazione con i sindacati. È una rassicurazione di cui ci si può fidare?
La proprietà si è sempre dimostrata disponibile, anche davanti alle nostre perplessità iniziali. Ha accettato la nostra richiesta di evitare scelte unilaterali, in particolare su Bologna e i 75 esuberi di agosto.
Quindi, per quanto riguarda la Fim-Cisl, c’è un cauto ottimismo sul buon esito dell’operazione?
La regola, secondo me, che un’organizzazione sindacale è obbligata a essere ottimista, nel senso di provarci fino in fondo affinché il piano venga rispettato e si esca definitivamente da una situazione difficilmente gestibile e apparentemente senza prospettiva. Il nostro lavoro è quello di misurare la coerenza tra le azioni e il piano per come è stato presentato.
Elettra Raffaela Melucci