C’è un “paradosso sud” nella pubblica amministrazione, con comparti nei quali si spende molti di più rispetto ad altre aree del paese ma con risultati scadenti, come asili nido, gestioni dei rifiuti e viabilità e altri, servizi sociali, supporto all’istruzione e polizia locale, dove, invece, i minori investimenti generano un’offerta peggiore dei servizi erogati. È questa la fotografia scattata dalla Relazione 2024 sui servizi pubblici del Cnel.
Alcuni dati presenti nello studio raccontano come la copertura della domanda potenziale per la mensa scolastica nei comuni è al 33,3% in Toscana e solo al 9,6% in Campania per fare un esempio. Nella gestione dei rifiuti il Mezzogiorno spende il 37% in più del nord-ovest e il 50% in più del nord-est ma ha una raccolta differenziata di 11,9 punti percentuali in meno rispetto al nord-ovest e di 17,4 punti rispetto al Nord-Est.
Per quanta riguarda le risorse destinate ai servizi sociali per ogni cittadino, il sud si conferma maglia nera con 95 euro pro capite rispetto al nord-est, 124 euro, il centro, 129 euro e il nord-ovest con 134 euro. E questo avviene in un contesto nel quale la povertà socio-economica è molto più marcata e quindi richiederebbe un investimento ancora più forte e significativo proprio nei servizi sociali. Ma anche sul fronte infanzia i numeri non sono incoraggianti. Il tasso di copertura degli asili nido si posiziona molto al di sotto rispetto alle altre regioni: al sud è pari al 7%, contro il 18,5% del nord-ovest, il 21% del nord-est e il 22% del centro.
Il documento sottolinea come, a livello di risorse, aumenti nel triennio 2021-2023 la spesa per protezione sociale, +6%, e migliori l’accessibilità ai servizi e la capacità di risposta dell’Inps. In rialzo anche la spesa per la prevenzione sanitaria, e quella dei comuni per l’offerta di servizi all’infanzia, con un balzo del 16,9% rispetto al 2020. Si amplia, inoltre, del 27% la platea dei beneficiari del bonus asilo nido.
La Relazioni analizza anche lo stato di “salute” della nostra sanità, schiacciata da mali cronici come le lunghe liste d’attesa, ed emergenze sempre più pressanti, come la fuga di medici e infermieri o un Sistema sanitario nazionale sempre meno appetibile per il personale socio-sanitario per il pericolo aggressioni o stipendi non in linea con gli altri paesi europei e non solo.
Nonostante una risalita della spesa a partire dal 2020, le risorse messe in campo dall’Italia sono tra le più basse d’Europa, il 75,6% di quelle totali, mentre continua a crescere la spesa out of pocket, ossia di tasca propria dei cittadini, che solo nell’ultimo anno è aumentata del 5%. Come detto la nostra sanità si porta dietro il male delle lunghe liste di attesa, i cui effetti più visibili sono il fare affidamento al privato per chi può, o la rinuncia alle cure per chi ha meno disponibilità economica. Lo scorso anno le persone costrette a imboccare questa seconda strada sono state 4,5 milioni, pari al 7,6%, in salita rispetto al 2022 quando erano il 7% o al 2019, quando la percentuale si attestava al 6,3%. Cresce anche l’impoverimento determinato da cause legate alla salute, che colpisce l’1,6% delle famiglie.
L’incremento della povertà è un altro campanello di allarme presente nella relazione stilata da Villa Lubin. Quella assoluta ha interessato una percentuale crescente di famiglie negli ultimi anni, passata dal 6,2% del 2014 all’8,5% del 2023. Un fenomeno che colpisce in particolare le famiglie numerose, 20,3%, e quelle straniere, 35,6%. Nel documento si legge, inoltre, come una riduzione della povertà si era registrata nel 2019 con l’introduzione del reddito di cittadinanza. Ma prima le restrizioni introdotte per contenere la pandemia, poi lo scoppio dell’inflazione hanno annullato questa frenata.
Riguardo alla transizione dal reddito di cittadinanza all’assegno unico di inclusione lo studio spiega, infine, come il nuovo strumento rappresenti un tentativo di razionalizzazione, ma pone questioni rilevanti sulla capacità del sistema di welfare di fornire un supporto adeguato a tutti i cittadini, specie ai gruppi più vulnerabili come i cosiddetti “occupabili” e le persone senza dimora.
tn