Un’onda di scioperi si sta per abbattere sul nostro paese. Nelle prossime settimane saranno interessati i metalmeccanici, che protestano per sostenere il settore dell’automotive e ottenere un piano di politica industriale dal governo, i chimici, con gli addetti della componentistica dell’auto, i dipendenti pubblici, i pensionati, i lavoratori dei trasporti pubblici locali. E soprattutto è in arrivo uno sciopero generale, lanciato dalla Cgil, che si dovrebbe tenere a novembre, al quale si accoderà con tutta probabilità anche la Uil. Destinatario di tutte queste agitazioni è il governo, a vario titolo: per quello che ci si aspetta dalla legge di bilancio, che, lo ha detto il ministro dell’Economia, chiederà sacrifici a tutti, quindi in primo luogo a chi le tasse le paga già; per la mancanza di una visione di politica industriale, che comincia a pesare sui settori più importanti; e soprattutto per un diffuso disinteresse nei confronti delle difficoltà del mondo del lavoro. Ultimo in ordine di tempo il collegato lavoro recentemente approvato, che ha visto l’opposizione decisa di Cgil e Uil ma ha riscosso anche qualche critica, sia pure con toni diversi, dalla Cisl.
Stridono in qualche maniera queste considerazioni con i dati che vengono diffusi dall’Istat sullo stato di salute dell’economia italiana. La produzione industriale è in calo da molti mesi, è vero. Ma è altrettanto vero che l’occupazione sta salendo a vette che si ritenevano inarrivabili, il tasso di disoccupazione non è mai stato così basso. Parallelamente è scesa moltissimo l’inflazione, che pure ha afflitto l’economia negli ultimi due anni. Ha fatto notizia il dato misurato dal Misery Index che l’ufficio studi della Confcommercio valuta periodicamente. La rilevazione di agosto ha fatto registrare una forte diminuzione rispetto al mese precedente, raggiungendo il minimo storico da quando questa rilevazione viene effettuata. Il Misery Index è il combinato disposto dei dati relativi alla disoccupazione estesa e all’andamento del tasso di crescita dei prezzi dei beni e servizi ad alta frequenza di acquisti, e fotografa così la realtà economica delle famiglie. Confcommercio sottolinea come questa diminuzione non abbia portato purtroppo a una crescita dei consumi, ma il dato esiste ed è forte. Non vorremmo replicare l’affermazione fatta da Silvio Berlusconi quando sosteneva che l’economia era in difficoltà, però non si trovava un posto in aereo e i ristoranti erano sempre pieni, ma forse la realtà della nostra economia andrebbe monitorata con maggiore attenzione.
Nessuno nega che esista precarietà nel nostro paese, le testimonianze sono precise e negarle o non prenderle in debita considerazione può essere negativo, così come nessuno può non considerare che la produzione normativa del governo e del Parlamento non porti buone notizie al mondo del lavoro. Ma è anche vero che il quadro è certamente più ampio e va considerato nella sua complessità. Valutando anche la forza delle azioni che si decidono e le loro possibili conseguenze. Gli scioperi hanno purtroppo perso molta della loro capacità di incidenza, sia perché sono poco partecipati, sia perché l’attenzione ai fatti sociali è molto scesa. E questo tanto più varrà nel prossimo futuro, dopo che le disposizioni del governo in termini di ordine pubblico, con il decreto sicurezza, metteranno fuori gioco le manifestazioni più plateali, e quindi incisive, come occupazioni di autostrade, stazioni, blocco del traffico e così via.
Sono state certamente importanti le azioni per i referendum sul lavoro chiesti dalla Cgil, con la raccolta di ben 4 milioni di firme, e per quello, altrettanto di successo, sull’autonomia differenziata. Spetterà ora alla Corte costituzionale la decisione se e quanti quesiti ammettere, ma soprattutto va considerato che, anche arrivando effettivamente al voto in primavera, non è scontato che si otterrebbe la cancellazione delle leggi in questione. In Italia vota ormai meno della metà degli aventi diritto, e raggiungere il quorum del 50% più uno, come richiesto dalla legge sui referendum, sarà impresa ardua. Ma se riuscisse, se si recassero alle urne quei circa 25 milioni di cittadini necessari per validare il referendum, sarebbe la prova che una maggioranza degna di tale nome – una maggioranza ‘’pesante’’, superiore a quella che vota per le elezioni- ancora esiste. Già solo raccogliere le firme è stata un fatto molto positivo, perché la gente si è mobilitata, ha partecipato, ha mostrato di voler contare, e questo è un risultato di grande efficacia politica. È con queste azioni che si fa vivere la partecipazione e la democrazia.
Del resto, il redde rationem, se ci si arriverà, si avrà con il referendum costituzionale sul premierato. Questa sarebbe una riforma costituzionale e il dettato dei padri costituenti richiede che su queste riforme il Parlamento si pronunci due volte e poi, se la nuova legge non viene votata dal 70% delle due Camere, si affidi la questione a un referendum costituzionale, che non prevede l’obbligo del quorum. Questa sarà battaglia aperta e la si potrà giocare fino in fondo.
Ma il sindacato ha altre strade per cercare risultati, e una è certamente quella di un’alleanza, quanto tattica e non strategica si voglia, con le forze produttive del paese. Nessuno pensa a una rinnovata alleanza dei produttori, ma avviare un confronto compiuto con le forze disponibili in merito ai maggiori problemi aperti, mettere assieme un documento con precise richieste e poi portarlo con tutta l’autorità del caso al governo, potrebbe avere un successo sicuro, perché nessun esecutivo potrebbe ignorare una presa di posizione così precisa e così forte. La Confindustria di Emanuele Orsini si è detta più volte disponibile a un confronto, ma sta di fatto che un seguito con le confederazioni sindacali non risulta ci sia ancora mai stato. Di più: gli industriali, a quanto dicono i sindacati, sembrano letteralmente spariti. Ed è un peccato perché quella di un grande accordo sarebbe una strada utile da battere.
Massimo Mascini