Secondo i dati dell’indagine Fintech del 2024 di Banca d’Italia gli investimenti sulle tech del settore del credito sono passati da poco più di 200 milioni nel biennio 2017-18 a quasi un miliardo di euro nel biennio 2023-24. I principali attori che investono sono le banche, il 95%, mentre il restante 5% è spartito tra società finanziarie o altri soggetti. E a investire sono le banche più grandi. Infatti i cinque principali istituti di credito del paese da soli coprono il 40% delle risorse spese. Numeri significativi, ma ancora al di sotto degli standard delle più importanti banche dei paesi europei. Gli investimenti vertono principalmente sull’intelligenza artificiale e sulle app, e l’insieme dei progetti fintech è realizzato, per un 44%, attraverso collaborazioni con società esterne, mentre il restante all’interno della stessa banca o acquistando i servizi da terzi.
Secondo l’Indagine regionale sul credito bancario, sempre di Bankitalia, i servizi che negli anni si sono maggiormente diffusi tramite i canali digitali sono, per fare un esempio, i pagamenti tramite l’app dell’home banking, che hanno superato il 75% nel 2023, mentre i finanziamenti alle imprese ancora si muovono su linee più tradizionali. La digitalizzazione comporta non solo un risparmio per le banche, ma anche per la clientela, che su un conto corrente digitale paga anche il 60% in meno. E se negli ultimi dieci anni, raccontano i grafici della Banca d’Italia, le quote di clienti che hanno optato per l’accesso on line sono passate dal 40 all’80%, gli sportelli, ogni 100mila abitanti, sono scesi dal 55 al 40%. Infine le banche che hanno affermato di usare l’intelligenza artificiale sono passate dal 30% del 2019 a oltre il 60% nel 2022.
Sono alcuni dati presentati da Federico Maria Signoretti, Capo della Divisione Struttura e Intermediari Finanziari del Servizio Stabilità Finanziaria Banca d’Italia, all’evento organizzato dalla Fisac-Cgil “Egemonia Digitale”, che nell’auditorium di via Rieti a Roma ha ospitato i rappresentanti dei lavoratori e delle banche e capi del personale e responsabili delle relazioni industriali dei più importanti istituti di credito.
L’impatto dell’innovazione digitale e ancor di più dell’intelligenza artificiale può avere effetti dirompenti sull’occupazione, l’organizzazione del lavoro, la formazione e la presenza delle banche sul territorio. Effetti che per le categorie del credito di Cgil, Cisl e Uil e per gli autonomi di Fabi e Unisin, così come per Abi e Federcasse, possono essere governati dal contratto di settore. Un contratto, il cui rinnovo è stato sottoscritto lo scorso 23 novembre, che tutte le parti firmatarie definiscono lungimirante, innovativo e capace di fornire gli strumenti per il futuro, ma che necessità di un ulteriore passo in più, ossia l’attivazione della cabina di regia. Si tratta di un istituto, presente nel rinnovo del 2019, che non ha funzioni negoziali, ma un’azione di monitoraggio che dovrebbe poi orientare la contrattazione di primo e di secondo livello. Il timore, espresso dalle parti sociali, è che l’assenza della cabina di regia può portare a una parcellizzazione dell’intervento del settore per gestire i processi di innovazione tecnologica, lasciando spazio all’iniziativa delle singole banche. Un tema dunque non strettamente o unicamente sindacale ma anche e soprattutto politico, perché nella cabina di regia si gioca la possibilità del mondo del credito di dotarsi di linee guida comuni.
Lo stesso Alfio Filosomi, Responsabile Industrial Relations, Labour Affairs & Policies Intesa Sanpaolo, ha chiesto che “la cabina di regia sia fatta in fretta, perché le banche non possono restare ferme. E questo non dipende solo dalla loro volontà ma anche dal contesto nel quale si muovono. E l’unico modo per evitare ricadute negative per banche e lavoratori è il confronto continuo con il sindacato”. Anche per Ilaria Dalla Riva, Presidente Comitato Affari Sindacali e del Lavoro Abi, “la cabina di regia va messa in moto il più velocemente possibile per amministrare il cambiamento. L’occupazione – prosegue Dalla Riva – si tutela dando alle persone competenze che guardano al futuro. Oggi 7 lavoratori su 10 non hanno le skills richieste e abbiamo un serio problema di mismatch”.
Proprio la formazione è stato il tema principale degli interventi degli esponenti delle banche. Silvio Lops, Responsabile Trade Union Relations & Social Dialogue di Unicredit, ha raccontato come la sua banca abbia creato un’università pensata per azioni di reskilling e upskilling dei propri addetti. Per Massimiliano Calvi, Responsabile Relazioni Industriali, Compensation, Pianificazione Organico Gruppo Bancario Cooperativo Bcc Iccrea, non solo c’è una carenza di competenze ma, ben presto, anche una carenza di persone per la crisi demografica. Dunque afferma “la tecnologia potrà darci una mano per tenere aperte le banche”.
Anche per il segretario generale della First-Cisl, Riccardo Colombani, “c’è un tema di carenza giovani. Solo il 22% di occupati nel settore è sotto i 40. Si tratta – spiega – di una delle più basse sul piano europeo ma anche in rapporto agli altri settori. Mancano, inoltre, politiche di indirizzo del credito, pur essendo un bene tutelato dalla Costituzione. Questo ha comportato una perdita del ruolo sociale delle banche”. Per Fulvio Furlan, segretario generale della Uilca, “la dimensione sociale delle banche rischia di cozzare con la loro missione di fare profitto se non è governata. Centrale – afferma – la cabina di regia, per dare una linea comune al settore, che eviti la parcellizzazione, ma nel rispetto delle specificità delle singole banche. La gestione dei processi deve mettere al centro una contrattazione collettiva permanente”.
Infine gli altri due elementi emersi nel corso della discussione hanno toccato la tassazione degli extra profitti e l’unione bancaria europea. Per la segretaria generale della Fisac, Susy Esposito, “non ci deve essere una tassazione una tantum dei profitti, ma va ripensato il sistema fiscale in una logica di progressività, chiedendo a chi ha di più di contribuire di più al benessere della società come voluto dalla Costituzione”. Per il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, “una dimostrazione muscolare del governo, per nascondere una carenza di liquidità, attraverso una tassazione sui profitti non porta da nessuna parte. L’unione bancaria – sostiene – sarà un contenitore che detterà il percorso su come dovrà andare il settore. E se le banche italiane non saranno adeguatamente rappresentate, i gruppi finanziari prenderanno le migliori”.
Tommaso Nutarelli