Perché si vuole rompere e scardinare un sistema praticamente perfetto, capace di governare l’intera organizzazione del lavoro, contenere le uscite di personale e favorire nuova occupazione, gestire l’innovazione, garantire il benessere dei lavoratori attraverso alte retribuzioni e una solida struttura di welfare e offrire una rete di tutela e di protezione in situazioni delicate e lesive della dignità della persona come, ad esempio, le molestie sul lavoro? È questo l’interrogativo che circola in alcuni ambienti sindacali. Il sistema del quale stiamo parlando sono le relazioni industriali del settore bancario. Relazioni proficue, improntate al dialogo, che lo scorso novembre hanno portato al rinnovo del contratto collettivo che ha visto un aumento retributivo medio di 435 euro, il più alto di tutto il mercato del lavoro. Chi sembra voler sabotare questo sistema è Banco Bpm. Siamo davanti a una serie di errori commessi dall’istituto di credito oppure la volontà di stare da soli, di muoversi in autonomia, di svincolarsi dal contratto Abi? Si chiedono dai rappresentanti dei lavoratori. Ma andiamo per ordine, partendo dagli ultimi episodi di cronaca sindacale di questa vicenda che va avanti da almeno l’inizio dell’estate, e spiegando il motivo che ha portato a una rottura il confronto tra Banco Bpm e Fisac-Cgil, First-Cisl e Uilca Uil.
Tale motivo è da ricercare nel piano industriale, nel quale il terzo istituto di credito del paese ha previsto unilateralmente un piano di uscite di 1.600 persone e 800 entrate. Uno schema, basato su un rapporto di 2 a 1 che non piace ai confederali. Il ragionamento che portano avanti dai bancari di Cgil, Cisl e Uil è questo: visto che il mondo del credito, compreso Bpm, si trova in una situazione estremamente positiva dal punto di vista economico, e visto che l’intero settore si trova ad affrontare trasformazione epocali, come l’intelligenza artificiale o i big data, che potranno avere un impatto dirompente sui perimetri occupazionali, l’occupazione, soprattutto quella buona, va difesa, rafforzata e ampliata. Anche perché, nonostante un sistema di relazioni industriali ottimo, non sono poche le situazioni di malessere e stress denunciate dal sindacato per carichi di lavoro eccessivi o indebite pressioni commerciali, gli organici vanno rafforzati. Un tema affrontato anche nel corso dell’ultimo rinnovo del Contratto Nazionale del Credito, in cui sono state inserite soluzioni di gestione condivisa dei processi di cambiamento, anche determinati dalla digitalizzazione, e si è posta particolare attenzione in modo lungimirante al tema occupazionale, aumentando gli incentivi alle assunzioni e con soluzioni innovative, come la staffetta generazionale.
In questa cornice si spiega il rifiuto dei sindacati di accettare le condizioni di Bpm. In altri istituti, infatti, come Unicredit, Bnl o Bper, banca e sindacato hanno raggiunto accordi per la gestione degli esodi nei quali il tasso di sostituzione tra uscite ed entrate di 2 a 1 era ben più favorevole sul fronte delle entrate. Accettare la logica del 50% voluta da Bpm vorrebbe dire che, in futuro, ogni altra banca potrebbe spingere su questa strada, senza intavolare nessuna trattativa col sindacato, far storcere il naso a quelli istituti dove, precedentemente, l’accordo sulle uscite era più alto del 50% e, infine, venir meno al principio di una rappresentanza uguale per tutti i lavoratori iscritti al sindacato.
Bpm sceglie così di arrivare alla rottura e fa uscire, il 1° di luglio, un comunicato nel quale denigra la condotta dei sindacati dei bancari di Cgil, Cisl e Uil, arrivando a definirli irresponsabili, rifiutando allo stesso tempo la trattativa su tavoli separati in cui le categorie dei confederali hanno la maggioranza. Questo porta Fisac, First e Uilca a procedere per vie giudiziale nei confronti dell’istituto, depositando congiuntamente un ricorso ex art. 28 Legge 300/1970 per “denunciare il carattere antisindacale della condotta che Banco BPM Spa ha tenuto nei confronti delle Organizzazioni sindacali”. Questo passaggio non si conclude con una sentenza ma con una conciliazione – arrivata dopo tre udienze, del 31 luglio, del 9 di agosto e del 5 settembre – che non ricompone il tavolo ma nella quale il giudice invita Banco Bpm a eliminare il comunicato del 1° luglio e a riconvocare il più rapidamente possibile il tavolo, con l’auspicio che vi partecipino tutte le sigle, nel rispetto delle prerogative di tutte le parti.
Per il 10 di settembre Banco Bpm convoca il tavolo unitario al quale le categorie del credito di Cgil, Cisl e Uil riaffermano la loro richiesta di far valere il principio di maggioranza. In questo crescendo Bpm compie un gesto non in linea con le norme stabilite dal contratto nazionale. La banca presenta un accordo, non ancora firmato, che prevede l’esternalizzazione di 7 lavoratori in un altro istituto, chiedendo chi fosse disponibile a firmarlo. Le firme arrivano ma non rappresentano la maggioranza dei lavoratori. Il punto è che un accordo firmato da sigle che rappresentano la minoranza del personale non ha nessun valore e non può essere applicato, come previsto dall’articolo 31 del contratto dei bancari che dice “I contratti di secondo livello esplicano efficacia nei confronti di tutto il personale dipendente dell’azienda/e interessata/e e vincolano tutte le organizzazioni sindacali, ad ogni livello, presenti aziendalmente se gli organismi sindacali – legittimati a trattare ai sensi delle norme vigenti – che li sottoscrivono rappresentano la maggioranza delle lavoratrici/lavoratori ivi iscritti”.
In altre parole un contratto aziendale è valido se è firmato dalle sigle che rappresentano il 50% + 1 dei lavoratori e viene applicato a tutti i lavoratori, anche a quelli iscritti alle sigle non firmatarie. La ratio dell’articolo 31 del contratto collettivo è quella di evitare la frantumazione dell’organizzazione del lavoro all’interno delle banche, per evitare si abbiano più contratti vigenti nello stesso istituto, con ripercussioni negative, anche sul piano pratico. L’ultimo capitolo della vicenda si è consumato il 12 settembre, quando Fisac, First e Uilca, durante il tavolo congiunto ma non unitario, hanno riaffermato il loro essere maggioranza e che dunque senza la loro firma gli accordi non sono validi e quindi applicabili.
In questo contesto Fisac-Cgil, First-Cisl e Uilca-Uil coinvolgono quindi Abi per avere un incontro per dirimere la questione e ribadire la validità dell’art. 31 del contratto nazionale del settore, cui Banco Bpm si sta sottraendo. È evidente, riflettono all’interno della compagine sindacale, il rischio dello smantellamento di un caposaldo sul valore degli accordi e della rappresentanza nel settore del credito, che peraltro si basa su intese confederali ormai ampiamente riconosciute come basilari nei sistemi di relazioni sindacali nel paese. C’è comunque da chiedersi, proseguono dagli ambienti del sindacato, se ci sono e quali sarebbero i motivi per cui Banco Bpm ha aperto uno scenario che può sconvolgere il sistema di relazioni industriali del credito e che potrebbe dar vita a un precedente pericoloso, creando un vulnus all’interno di un sistema di relazioni industriali avanzato e sofisticato.
Tommaso Nutarelli