L’obiettivo delle 500 mila firme per il referendum sulla cittadinanza, che punta a dimezzare da 10 a 5 anni di residenza legale sul territorio italiano il termine dopo il quale gli stranieri possono diventare cittadini, è stato raggiunto e superato. Il risultato è frutto di una mobilitazione plurale che sostanzia la speranza che l’Italia non sia un Paese (del tutto) razzista. Quantomeno ci sono oltre mezzo milione di persone che reclamano una misura di civiltà e ci si sente un po’ meno soli nella barbarie dei tempi che corrono.
Accade, però, che il giorno dopo questa timida conquista, in cima ai trend topics su X (al secolo Twitter) ci sia l’hashtag #bastanegri e che sul social di Elon Musk (sic!) abbia superato #ReferendumCittadinanza… ironia della sorte. Ora, se c’è una regola aurea da rispettare nel secolo dello scrolling è non cedere al click impulsivo sulla sezione commenti, al netto di una propensione al masochismo e al travaso di bile intenzionale. Tuttavia questa regola viene puntualmente infranta da una buona parte dell’utenza: alcuni al fine di trovare camerati consimili e altri per spingere l’orizzonte dell’indignazione un po’ più in là e prendere le misure con il proprio vicino di casa.
Il profilo tipo è sempre lo stesso: nome utente ossimorico abbellito da cuori neri, bandiere pirata e l’immancabile tricolore; quanto all’aggregato demografico, spesso sono under ’80, prevalentemente uomini e di provenienza trasversale allo stivale. Alcuni di loro hanno addirittura investito qualche soldino per comprare la spunta blu – oggigiorno la vera patente di autorevolezza, altro che titolo di studio (non che per essere credibili ci sia bisogno di una pergamena, ma a mali estremi, estrema ratio). I contenuti sono piuttosto diversificati: vanno da immagini generate con l’intelligenza artificiale (la stessa che “Oh mio dio! È pericolosissima e nessuno pensa ai bambini!!1!!11! Bill Gates rettiliano!!11!!”) a figurazioni create con tecnica mista Paint-Word Art in cui si vedono n* che stuprano, accoltellano, scippano, si drogano, n* avvoltolati in sacchi a pelo di fortuna sotto bellissimi porticati cittadini; ma anche redivive messe in scena di sostituzioni etniche, bambini dalla pelle scura che prendono il posto di diafani ariani, mandinghi che passeggiano sulle spiagge attirando l’attenzione di annoiate WASP e WAGS, un uomo che getta nel cassonetto un neonato afrodiscendente. L’immagine più curiosa ritrae un gorilla con in mano un passaporto italiano. Quale lo scopo, chissà. Complessivamente, si rintraccia una certa preponderanza di contenuti a sfondo sessuale, in cui lo straniero ci porta via le donne. Se così fosse, una domanda me la farei.
In replica a questo carosello di vacuità, la parte dei buoni – che spesso usa il proprio nome come nickname orpellato da arcobaleni, cuori rossi e pugni, ma anche loro a volte con la spunta blu – pubblica immagini di Mussolini nell’ultimo atto di Piazzale Loreto, Hitler sorridente che legge il giornale, squadre di calcio le cui formazioni sono composte da un’ottima quota di persone non esattamente caucasiche, estratti della premier Giorgia Meloni che dice un sacco di cose tipo “blocco navale”, “la legge sulla cittadinanza va bene com’è”. C’è confusione e molta poca argomentazione, come se in fondo nemmeno loro ci credano abbastanza o quantomeno non sappiano argomentare la propria indignazione. All’acrilico degli istinti si risponde con un acquerello.
La conclusione non si soffermerà sul merito del referendum, ma sul fatto che, insomma, anche oggi nessuno ha capito che la parola è un diritto (forse nemmeno la scrivente), non un dovere, e che la democrazia è un enorme fraintendimento. Hai voglia a evocare “più cultura”, quella è una battaglia persa anni e anni fa e ci vorranno eoni per una rivincita. La sostanza è che questo caravan serraglio che attraversa i social è lo specchio dell’elettorato. Quindi, di cosa meravigliarci? Da una parte ci sono coloro i quali hanno smesso di vergognarsi dei propri sentimenti, avallati da un gruppo politico di maggioranza che fa leva esattamente su questa traiettoria facile facile da perseguire: l’istinto, la rabbia, la paura, i toni acrilici; dall’altro ci sono gli sfiancati, i delusi, quelli che pure sanno di non poter dismettere la bandiera perché l’alternativa è smettere di appartenere e allora meglio un acquerello che un foglio bianco da guardare imbambolati in cerca di ispirazione. Il problema è che alla prima pioggia acrilico e acquerello, che nessuno si è premurato di fissare, si scioglieranno e non resterà altro che una pozza melmosa che impedisce i movimenti verso la terra ferma, che pure è un mondo tutto da ricostruire. Nessuna cenere da cui risorgere. Ci sentiremo come migranti in cerca di rifugio – Patria, ormai, è un termine che abbiamo derogato – e chissà a chi spetterà il compito di dragare la palude. E l’ultima volta che qualcuno ha tentato una bonifica… beh, il resto è Storia.
Nota: fa sorridere la coincidenza che questo accada proprio il 25 settembre, giorno della nascita di Sandro Pertini.
Elettra Raffaela Melucci