I dirigenti di impresa sono fieri delle loro competenze e sono pronti a metterle a disposizione del paese per ottenere crescita e sviluppo dell’economia. La collaborazione che hanno sempre realizzato con le istituzioni deve quindi proseguire, se possibile intensificarsi. Ma i valori di questa categoria non devono essere in alcun modo oscurati o messi in discussione. Sono questi i concetti di base espressi da Marco Ballarè, da qualche settimana presidente di Manageritalia, il sindacato dei dirigenti e delle alte professionalità del sistema terziario. Le difficoltà che incontra il management ha un fondamento soprattutto culturale ed è in questa direzione che Manageritalia esprimerà nel prossimo futuro la propria azione.
Presidente Ballarè, quale deve essere il ruolo di Manageritalia?
Manageritalia deve essere una forza propulsiva che diffonda la cultura manageriale, favorisca la crescita professionale e il benessere dei manager e, quindi, la competitività delle aziende e la crescita del Paese, anche contribuendo alla creazione di posti di lavoro di qualità, nei quali il manager possa operare nel migliore dei modi per sé e per l’azienda in cui lavora. Per questo è indispensabile che la nostra associazione favorisca un’organizzazione del lavoro che recuperi questa logica di qualità.
Il primo compito del manager deve essere quindi l’aiuto per lo sviluppo del paese?
Certamente. In un momento come questo che stiamo vivendo il compito del manager è ancora più importante, perché siamo di fronte a un cambiamento epocale dell’organizzazione del lavoro, il paese deve compiere un salto quantico in questa prospettiva. La nuova organizzazione del lavoro deve rispondere alle esigenze di produttività e i manager possono fornire un aiuto essenziale alla crescita.
Secondo quali forme di collaborazione questa azione può svilupparsi?
L’attività dei manager deve dar corpo e sostenere tutte le necessarie trasformazioni. I temi sono sempre gli stessi, la sostenibilità, la digitalizzazione, non materie avulse dal sistema, sono questi temi che devono essere affrontati. Dobbiamo riuscire a realizzare un cambiamento strutturale del lavoro, per aumentare la produttività e contribuire in questo modo allo sviluppo del paese.
Esiste da tempo una forma, più o meno avanzata, di collaborazione tra il mondo dei manager e le istituzioni. Va cambiata o funziona bene?
Il problema di questa interlocuzione è che non è strutturata. Faccio un esempio, un paio di anni fa abbiamo portato al ministero del Lavoro un’analisi che avevamo svolto sullo smart working. Ci hanno accolti e ascoltati. Il punto è che tutto questo è avvenuto dopo che loro avevano preso le decisioni di merito, ci hanno chiamati a cose già fatte. Se ci avessero sentiti prima sarebbe stato diverso, anche perché su questi temi noi manager abbiamo una preparazione molto elevata, che può essere messa a profitto. Ancora, la Regione Lombardia qualche anno fa immaginò di introdurre la figura di un manager all’interno del processo per la definizione delle linee programmatiche della regione. Una cosa davvero interessante, il manager sarebbe stato una sorta di contraltare per assicurare il risultato. Peccato che questo progetto non è mai stato realizzato. Sia chiaro non chiedo nessun vincolo, le istituzioni possono prendere le decisioni che credono, ma se vogliono sentirci, se sentono questa esigenza, ci sentano prima di prendere le decisioni, non dopo.
È tema assodato che la presenza di manager in azienda accresca la produttività, ma, specie nelle piccole e medie aziende, c’è ancora tanta ritrosia ad assumere figure dirigenziali estranee alla famiglia dell’imprenditore. Come tentare di risolvere questo problema?
Purtroppo, manca nelle aziende minori una presenza strutturata di manager e questo è un problema. Può aiutare un contratto collettivo che sia attrattivo, sostenibile, che sia uno strumento flessibile, utile alle aziende. Noi pensiamo che il nostro contratto abbia queste caratteristiche, ma in questa ottica è indispensabile una maggiore diffusione della cultura manageriale, devono essere chiari i vantaggi, non solo economici, che possono venire dalla presenza di una figura manageriale in azienda. Ma anche il legislatore deve fare la sua parte, deve mettere a disposizione degli incentivi che favoriscano l’assunzione di un manager. Serve poi un cambio culturale in tanti imprenditori che devono cominciare ad avvalersi delle competenze manageriali inserendo dirigenti, cosa che all’estero avviene molto di più che da noi.
Questo ci porta a un altro capitolo doloroso, al rapporto tra manager e fiscalità. Il sistema è oppressivo o tollerabile?
Il sistema è assolutamente squilibrato. Il punto principale è che la base imponibile è troppo limitata per la grande evasione che dobbiamo tollerare. Le regole vengono aggirate, i controlli mancano, il risultato è che mancano anche le risorse necessarie ad alimentare la macchina dello Stato. I pochi italiani che dichiarano oltre 35mila euro (13,94% dei contribuenti) versano il 62,52% dell’Irpef. E noi manager e alte professionalità, che siamo tutti tra questi, paghiamo solo di Irpef una percentuale molto elevata (43%) su quanto guadagniamo. La cosa migliore sarebbe che noi continuassimo a pagare quello che paghiamo adesso, ma ci fosse il doppio delle risorse a disposizione. Se si vuole continuare a finanziare il welfare, se si deve continuare ad assicurare i finanziamenti pubblici indispensabili, qualcosa deve cambiare. Se si continua a rivolgersi solo a una sola fascia di cittadini viene meno l’equità. Negli ultimi anni il messaggio che è arrivato è quello della flat tax, ma non è positivo. Ancor più se si continua a chiedere loro sacrifici, come avviene per i pensionati con il continuo blocco della perequazione, e nel frattempo non si puniscono i furbi.
Manageritalia mantiene ferma la sua autonomia?
Assolutamente sì. Noi ci rivolgiamo a chi governa portando avanti le nostre istanze, siamo disposti a collaborare ma nella nostra visione del mondo, sostenendo la nostra etica professionale. Questi principi non possono essere messi in discussione.
Mantenete forte il rapporto con le altre associazioni di manager?
La nostra è una lunga storia in comune, perché crediamo fermamente che la collaborazione sia fondamentale per realizzare il nostro ruolo, i nostri progetti. Solo se c’è sinergia strutturale è possibile portare avanti la nostra azione. Se non si fa rete le posizioni delle singole associazioni possono non servire a esprimersi al meglio.
In questo quadro rientra anche il ruolo di Cida, la vostra confederazione.
Cida ci rappresenta sul piano politico istituzionale. Il suo ruolo, al quale contribuiamo attivamente con i nostri rappresentanti e professionisti, è molto importante per costruire il futuro del paese. Noi siamo attori fondamentali del cambiamento del paese, così vogliamo essere per i nostri interlocutori.
Massimo Mascini