Viviamo in un epoca di -ismi e -fobie, in cui tocca inventare ogni volta una parola che esprima un concetto difficile da argomentare e che pure troppo sbrigativamente si licenzia con un lemma improprio; nuove etichette che serviranno più ad impressionare gli avventori della Babele social che a sensibilizzare ed educare alla comprensione, alla tolleranza, alla civiltà. Non sono soggettivismi, ma categorie dello spirito del tempo che, in quanto fluido e in perenne movimento, necessitano di continui aggiornamenti. Ma non stravolgimenti.
Al di là di fallimentari sperimentazioni di un certo tipo di polically correct che (fortunatamente) sta compiendo un harakiri spettacolare sull’altare della Storia, il discorso corrente ha pienamente integrato gran parte degli -ismi e delle -fobie senza prurigini o imbarazzi vittoriani. Molto c’è ancora da fare, ovviamente, ma almeno abbiamo capito – evidentemente non assimilato – che il razzismo, il sessismo, l’omobitransfobia sono oppressioni sistemiche, che non sono cosa buona e giusta e che nessun ministro (del Governo o di Dio) può più difendere a scapito della propria credibilità e del buonsenso. E qui siamo nel campo del più o meno noto.
Poi c’è un altro concetto: l’abilismo, “lo stigma e la discriminazione nei confronti delle persone disabili e, più in generale, il presupporre che tutte le persone abbiano un corpo e una mente abile”. Secondo questa prospettiva, spiega l’enciclopedia più famosa del secolo, “la disabilità è vista come un difetto invece che un aspetto della varietà umana, mentre il corpo-mente non disabile è considerato la norma, quindi ciò che se ne discosta è visto come inferiore, negativo ed ha meno valore”. Il termine, in circolazione dagli anni ’80 nei paesi anglofoni e derivante dall’inglese americano ableism, comincia a diffondersi solo recentemente in Italia anche a seguito dell’approvazione di uno specifico emendamento al disegno di legge contro le discriminazioni in esame dal 2020 al Parlamento italiano. Insomma, l’abilismo è la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità fisiche e mentali.
È un campo minato, pericoloso da attraversare anche per una certa categoria di persone che pure inciampa nei lacci sciolti della buonafede e cade sulla mina prima, la più grande: l’infantilizzazione della disabilità e il sentimento di pietismo nella sua narrazione. I disabili, come ce li restituisce una certa la narrazione mainstream, sono uomini e donne stereotipizzati in un’eroica immagine di fragilità da osservare con riverenza e, per quanto indiretta e involontaria, questa prassi di pietismo ammantata di inclusività è una delle forme di discriminazioni/abilismo più subdole e fraudolenti. Si tratta dell’inspiration porn, concetto messo a punto dall’attivista Stella Young che serve per “oggettivare le persone disabili a beneficio delle persone non disabili” e che, al contrario, avvilisce la persona oggettivandone la diversità. Ma la disabilità, piuttosto, è una soggettività che non può essere scissa dalle inclinazioni emotive del soggetto, dal suo contesto sociale, economico, formativo. Più che celebrare questi “eroi per caso” dovremmo impegnarci a far sì che la vita non la subiscano, bensì la agiscano.
E siamo qui per dire che la più grande forma di inclusione non è lo sguardo compassionevole o la carezza sul viso, ma il lavoro. Stando ai dati Istat del 2022, su una popolazione di circa 3 milioni di persone con gravi disabilità solo il 33,5% (nella fascia d`età 15-64 anni) risulta occupata, contro il 60,2% delle persone senza limitazioni. Un dato preoccupante anche se, nel confronto internazionale, l`Italia si distingue positivamente per la sua maggiore capacità inclusiva nei confronti delle persone con disabilità meno gravi. Secondo Eurostat, infatti, è il paese con il gap più basso d`Europa: il tasso di disoccupazione di chi ha disabilità non gravi è del 11,8% contro una media Ue del 17,3%. Ma sebbene nell`ultimo decennio la quota di persone con disabilità che cercano o hanno un`occupazione sia passata dal 43,7% al 52,2%, grazie alla combinazione di politiche nazionali e regionali efficaci e di una cultura più inclusiva delle imprese, l`ingresso al lavoro per questi cittadini resta ancora critico. Facciamo nostre le parole dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon: “Disabilità non è inabilità”
Facilitare l`ingresso nel mondo del lavoro di persone con disabilità in stato di disoccupazione o di esclusione sociale è fondamentale ed è l’obiettivo che si sono posti il Consiglio Nazionale dell`Ordine dei Consulenti del Lavoro e l`Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo, che hanno firmato un accordo che mira a garantire alle persone con disabilità il pieno accesso alle opportunità lavorative e l`inserimento al lavoro, nel rispetto delle loro competenze specifiche.
Le parti si sono impegnate a diffondere e implementare gli strumenti – come l`assegno d’inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro – e le politiche di contrasto all`emarginazione e a sostegno delle fasce sociali più deboli e a maggior rischio di marginalizzazione sociale, con particolare riferimento alle persone con disabilità e alle loro famiglie, anche al fine di individuare ulteriori forme di assistenza e di interlocuzione istituzionale.
In particolare, il Consiglio Nazionale dell’Ordine, per il tramite della Fondazione Consulenti per il Lavoro, farà conoscere le opportunità legate all`assunzione delle persone con disabilità, fornendo formazione specifica alle aziende e ai Consulenti che operano nei territori, affinché diventino l`anello di congiunzione tra chi cerca e offre lavoro. Anffas Nazionale Aps, invece, individuerà le persone con disabilità e le persone in condizione di emarginazione sociale ed economica da accompagnare nel percorso di inserimento lavorativo e promuoverà l`iniziativa in tutte le sue sedi in Italia, offrendo supporto agli enti aderenti per l`avvio del progetto a livello locale.
“Purtroppo, sono ancora troppo poche le persone con disabilità che riescono a trovare un`occupazione. Ma l`attenzione verso il fenomeno c`è, come dimostrano gli obiettivi posti alla base della riforma della disabilità e gli incentivi occupazionali introdotti nel Terzo Settore”, ha commentato il presidente del Consiglio Nazionale dell`Ordine, Rosario De Luca. “Occorre, però, intensificare l`opera di sensibilizzazione per contrastare discriminazioni e garantire pari opportunità, ad esempio incentivando l`adozione di pratiche inclusive nelle aziende e potenziando percorsi formativi e di accompagnamento al lavoro. Lo scopo deve essere quello di valorizzare le abilità di ogni persona, senza distinzioni. Solo così potremo garantire un vero cambiamento”, ha aggiunto.
“Lavorare è per ogni cittadino un diritto-dovere e questo vale anche per le persone con disabilità, cittadini al pari degli altri” afferma Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas.
“Purtroppo ancora oggi, nonostante si tratti di un diritto sancito sia dalla nostra Costituzione che dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, il lavoro è un miraggio per molte persone con disabilità ed in particolare per le persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo, frequentemente vittime di pregiudizi e stereotipi legati alle loro capacità. Invece – ha aggiunto – sono proprio loro a chiedere a gran voce un lavoro vero al fine di essere cittadini attivi e poter dare il proprio contributo alla società come tutti. Con questa nuova iniziativa poniamo un altro tassello importante per il contrasto di tali discriminazioni e per promuovere una nuova consapevolezza circa le potenzialità di tutte le persone con disabilità in ambito lavorativo”.
Elettra Raffaela Melucci