Kamala Harris vola nei sondaggi, ma la pur smagliante prestazione della candidata democratica nel primo (e forse unico) dibattito con Donald Trump nascondeva una debolezza: e cioè la mancanza di un convincente programma per l’economia. Lacuna che non è sfuggita al pubblico americano. La prova è in un sondaggio condotto dal Washington Post su un piccolo campione di spettatori, scelti tra i residenti negli swing – state, ma non politicizzati, ovvero persone che non si dichiarano né repubblicane né democratiche: “ordinary people”, come del resto la maggioranza dei circa 300 milioni di cittadini statunitensi (di cui, vale la pena di ricordarlo, ben 67 milioni hanno seguito il confronto tra i due candidati in diretta tv).
Al campione è stato chiesto di seguire con attenzione il dibattito e poi rispondere, in tempo reale, a una serie di domande su temi specifici affrontati da Kamala Harris e da Donald Trump, esprimendo la propria preferenza o il proprio accordo/disaccordo per la tesi esposta dall’una o dall’altro. Harris ha avuto meglio in tutti i casi: dalla gestione della salute pubblica (16 a 8), alla libertà delle donne di interrompere la gravidanza (16 per Harris, 9 per Trump) e perfino, sulla gestione dell’immigrazione: la scivolata trumpiana sugli immigrati che ‘’mangiano i nostri animali domestici’’ gli ha fatto prendere ben 19 voti contrari e solo 6 a favore.
In un unico caso la candidata dem è andata sotto, ed è appunto alla domanda “chi ha portato argomenti migliori su come gestire l’economia?”: tra Harris che ha parlato di un’economia di opportunità, con aiuti per la casa e crediti d’imposta, e Trump che ha riproposto i dazi sulle importazioni, gli intervistati si sono espressi con 12 preferenze per Trump contro11 per Harris. Un solo punto di differenza, certo, ma che segnala comunque una debolezza proprio perché in un contesto tutto vincente. Alla fine del dibattito, infatti, il Wp ha tirato le somme e si può dire che l’esito sia nettamente per Harris: tra i 12 elettori del campione che prima del dibattito avevano affermato l’intenzione “probabile” di votare per lei, cinque si sono spostati a votarla “sicuramente”, gli altri hanno confermato la tendenza. Tra i 10 elettori che prima erano orientati “probabilmente” verso Trump, alla fine del dibattito quattro si sono spostati verso Harris e nessuno si è spostato a sostenerlo definitivamente.
Il Washington Post ammette che certamente il campione intervistato è troppo piccolo per rappresentare statisticamente il sentimento degli elettori negli swing- state, ma avverte che le loro risposte offrono una “finestra” su come proprio gli elettori non impegnati, che più saranno decisivi il 5 novembre, la pensano relativamente alla campagna in corso. Dunque, curare maggiormente il tema dell’economia, individuando argomenti che possano convincere, dovrà essere per Harris un serio impegno sul quale lavorare nelle poche settimane di campagna elettorale che restano. “It’s economy, stupid”, lo slogan di Bill Clinton che determinò la sua vittoria del 1992 contro Bush padre, è infatti sempre valido.
Nunzia Penelope