E alla fine qualcuno si è accorto del cinema. Non solo per la parata di stelle, stelline, comete e meteore che hanno affollato il Lido di Venezia in questa ottantunesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica (che è valso il Leone d’oro a Pedro Almodóvar e soprattutto, per la gioia dei patrioti, il Leone d’argento a Maura Delpero), ma perché finalmente qualcuno ha alzato lo sguardo sulla rotta verso il baratro in cui l’attuale dicastero della cultura sta traghettando il settore. “Ai colleghi produttori e registi vorrei dire che dovremmo essere più reattivi nei confronti della nuova pessima legge sul cinema”, ha tuonato dal palco il decano del cinema italiano, Moretti, simbolo di quella “egemonia culturale della sinistra” che Gennaro Sangiuliano ha promesso, fino all’ultimo, di espugnare. E “fino all’ultimo” non è tanto per dire, perché a una manciata di minuti dal rassegnare le sue dimissioni (che clamorose non sono, considerata la tempesta che gli si è abbattuta addosso) ha scippato al suo successore, Alessandro Giuli, le nomine per i diciotto componenti della commissione di valutazione per la concessione dei contributi selettivi – che, per la prima volta, saranno remunerati con 15mila euro ciascuno. Un atto clamoroso, in spregio a una prassi istituzionale che vedrebbe piuttosto il neo-ministro incaricato a procedere e che comunque, con un certo margine di sicurezza, avrebbe proseguito nel solco già tracciato.
Un atto privato, dunque, che arriva al culmine di un processo che viene più da lontano di questa infuocata settimana di gossip e rivelazioni e che ha il sapore della vendetta. “Sono consapevole, inoltre, di aver toccato un nervo sensibile e di essermi attirato inimicizie avendo scelto di rivedere il sistema dei contributi al cinema”, scrive Sangiuliano nella sua accorata lettera di dimissioni all’indirizzo di “Cara Giorgia, caro Presidente” (mica degli italiani e del comparto che rappresenta), rivelando il sospetto di un complotto ordito ai suoi danni da parte degli esodati Franceschini per tramite di Maria Rosaria Boccia, una mano invisibile che così invisibile poi non è. Sangiuliano è convinto che gli abbiano fatto le scarpe proprio coloro i quali sono stati colpiti dalla mannaia della riforma del tax credit (il sistema di agevolazione fiscale a copertura delle spese per lo sviluppo, la produzione, la distribuzione nazionale e internazionale di film, opere tv, opere web, videogiochi e per l’apertura o ristrutturazione di sale cinematografiche, per i costi di funzionamento delle sale cinematografiche e per le industrie tecniche), attesa da oltre un anno e che ha tenuto col fiato sospeso le industrie del cinema – la stragrande maggioranza PMI su quasi 9.000 imprese esistenti, con 95.000 posti di lavoro diretti, 114.000 nelle filiere connesse che, a causa di questi ritardi, ha fermato il 65% dei lavoratori (percentuale che con la riforma è destinata a salire vertiginosamente, aggravata anche dal rinvio della riforma e applicazione del Codice dello spettacolo da cui dipendono gli ammortizzatori sociali per questi lavoratori intermittenti).
Un sospetto che sembra essere più paranoide che altro, dacché sin dalla prima ora l’ormai ex ministro Sangiuliano ha puntato alla razionalizzazione delle risorse destinate al cinema con la riduzione del fondo dedicato (istituito all’art.13 della legge n. 220/2016, proprio a firma di Dario Franceschini), che dai 746 milioni del 2023 è passato ai 696 milioni del 2024. Un taglio del 5% “che hanno avuto tutti i dicasteri” da tributare al ministero dell’Economia, precisa la sottosegretaria Lucia Borgonzoni (cui tuttavia andrebbero aggiunti anche altri 14 milioni che “verranno invece spostati ad altre voci sempre della cultura”). La questione, per Sangiuliano, è che in Italia si producono troppi film con sostegno pubblico, tante opere che non sono mai state distribuite, o che sono state distribuite poco in modo da aggirare gli obblighi di programmazione in sala, o che in pochissimi hanno visto. Il che si traduce in uno scialo di risorse pubbliche che vanno, appunto, razionalizzate. All’epoca (un anno che sembra un secolo) Sangiuliano parlò di “rivoluzione” di sistema che dalla sua istituzione (art. 15 della legge n. 220/2016), ha permesso a tanti operatori del settore, soprattutto PMI (produttori indipendenti, la maggioranza), di andare avanti con il proprio lavoro senza ulteriori affanni economici. Va bene che “il cinema […] è una delle più alte e immediate espressioni culturali” e che “il suo valore è fuori discussione”, ma, precisa in una lettera a Il Foglio dello scorso aprile, “il pieno riconoscimento del valore culturale ed economico […] non può esimerci dal denunciare, con forza, le storture e i veri e propri abusi che si sono generati in questi ultimi anni nell’ambito degli aiuti che lo Stato riconosce al cinema che, ricordiamolo sempre, sono soldi dei cittadini italiani”. Quello che eccepisce Sangiuliano è che “a questo fiume di denaro pubblico non sempre ha corrisposto la qualità” per progetti cinematografici “non sempre di livello adeguato, né dal punto di vista artistico né tantomeno commerciale”. Secondo quanto riferito dal Ministero della Cultura, delle 459 opere cinematografiche tra 2022 e 2023, al 15 marzo scorso, non sono usciti in sala 145 film del 2022 e circa 200 del 2023. “Ciò non è solo un antieconomico spreco di denaro pubblico, ma anche un disincentivo alla vera creatività, che rischia di affogare in un mare di mediocrità”. Secondo Sangiuliano, dunque, la riforma del tax credit punta a pareggiare i conti e contemporaneamente a ridare dignità al cinema.
In breve, per poter accedere al finanziamento del tax Credit il requisito è il possesso del 40% di capitali privati alla presentazione della domanda: significa che per una PMI, con capitale sociale da 40 mila euro, la possibilità è a somma zero (senza considerare anche la difficoltà di reperimento esterno dell’importo). Gli scaglioni di finanziamento sono tre: sopra i 3 milioni mezzo, sotto i 3 e mezzo, e sotto un milione e mezzo, quest’ultimo per le opere prime e seconde, i documentari e i cortometraggi. Non è difficile fare i conti per saggiare l’insostenibilità per una piccola impresa di avanzare come capitale proprio una media di 600 mila euro per un esordio. Altro criterio ai limiti della sostenibilità per l’accesso al finanziamento riguarda la distribuzione: i contratti devono essere sottoscritti con le prime venti società in termini di fatturato di distribuzione italiana, ma purtroppo la maggior parte di esse sono multinazionali straniere o partecipate. Due piccioni con una fava: alla faccia del Made in Italy e del libero mercato. In più, ad esempio, per la terza fascia di finanziamento, quindi le opere sotto il milione mezzo, si richiedono 240 proiezioni a pagamento entro un mese nella fascia serale 18.30-21.30. Ci sono poi i tetti ai compensi dei registi e degli sceneggiatori, ma questa è un’altra storia.
A onor del vero gli automatismi della legge Franceschini necessitavano di sostanziali correttivi, perché effettivamente alcune produzioni (comunque una minoranza) hanno adottato la strategia del “prendi i soldi e scappa”, paghi del soddisfacimento dei requisiti minimi e dell’assolvimento minimo degli obblighi di legge. Ma così concepita, la riforma butta il bambino con l’acqua sporca e ne punisce uno per educarne cento (…ironia della sorte?), uccidendo il pluralismo dell’espressione artistica e infierendo sui conti economici. La maggior parte dei tredici miliardi di euro di fatturato annuo è prodotto dalle PMI dell’industria cinematografica italiana e il moltiplicatore economico è di 3,54 euro, a vantaggio di tutta l’economia nazionale. In tutto ciò, non una interlocuzione con le rappresentanze delle associazioni di categoria, che si sono trovati con un disastro tra capo e collo – annunciato, sì, foriero di potenziali azioni protesta che ci sono state, ma troppo deboli.
L’ultima protesta, in continuità con le precedenti, è andata in scena al Lido proprio durante le giornate del Festival: il 31 agosto, durante un incontro organizzato all’Italian Pavillion per la presentazione degli atti del convegno “Stati Generali del Cinema Indipendente” è stata letta una lettera aperta del Comitato Lavoratrici e Lavoratori del Cine Audiovisivo, composto dalle principali associazioni italiane di professionisti, indirizzata alla sottosegretaria Borgonzoni, al ministro allora in carica Gennaro Sangiuliano e alla premier Meloni, in cui si denuncia il malessere del settore e “la richiesta non più procrastinabile di compiere analisi puntuali per mettere in campo tutti gli strumenti necessari atti a scongiurare il crollo dell’occupazione in particolare nel settore della produzione cinematografica” per non tornare all’ “anno zero” del cinema. “Crediamo che, per evitare una forte crisi del Cinema italiano, sia necessario aprire un dialogo costruttivo sui decreti relativi al tax credit. Questi, così come concepiti, renderanno pressoché impossibile, per le piccole e medie imprese, ottenere i finanziamenti indispensabili per produrre un film. Cosa che, oltre a mettere a rischio i livelli occupazionali, decreterà, nella maggior parte dei casi, il fallimento e la chiusura di una parte di esse che fino ad oggi ha dato la possibilità ai nostri giovani talenti di debuttare, esprimersi e sperimentare nuovi linguaggi”.
Non dello stesso avviso Lucia Borgonzoni e il Direttore generale del cinema e audiovisivo, Nicola Borrelli, che sempre all’Italian Pavillion del Festival hanno spiegato i punti salienti della riforma sottolineando che “il tax credit è stato pensato in un’ottica di crescita del comparto e le modifiche apportate vanno nella direzione di limare le storture emerse negli anni e valorizzare le nostre eccellenze per un’industria sana, da oggi ancora più forte” ma, soprattutto, che “le misure introdotte consentono infatti di raggiungere un maggiore equilibrio tra sviluppo competitivo dell’industria e tutela della creatività delle piccole e medie produzioni anche grazie al potenziamento dei contributi selettivi”. Ma benché le posizioni siano diametralmente opposte ed entrambe siano sostenute da principi di ragionevolezza, anche per l’Istituto italiano per l’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult -le nuove disposizioni non tutelerebbero le PMI e gli indipendenti.
E i sindacati? Non hanno sposato direttamente la protesta del Comitato Lavoratrici e Lavoratori del Cine Audiovisivo, ma il 5 settembre si è tenuto l’incontro “Sindacato e Impresa: Fare Sistema per lo Sviluppo del Cine-Audiovisivo. Ne discutono Slc Cgil, Fistel Uil, Uilcom Uil insieme ad Anica, Apa, Ape, Cna, Confartigianato”. A porte chiuse. L’oggetto sono stati i correttivi per il corretto funzionamento della riforma e non portare il settore ai “titoli di coda”, riprendendo la fortunata espressione impiegata dalla grand conferenza stampa indetta dalle associazioni di categoria questa primavera. La Cgil, in particolare, ha elaborato gli ultimi dati sull’andamento occupazionale nel settore, rilevando una contrazione del 40% degli occupati rispetto a una crescita del 50% nel 2019-2023. una rilevazione a fronte della quale hanno inviato al ministro Giuli una richiesta di incontro per fare il punto.
Il cinema si è fermato e sono rimasti tutti un po’ a guardare (mentre le produzioni estere hanno imboccato la via di uscita dal nostro Paese). Colpisce, poi, il fatto che la stampa mainstream si sia accorta dell’elefante nella stanza solo all’innesco dello “scandalo al sole” governativo e, soprattutto, con questo ultimo colpo di mano da parte di Sangiuliano della ratifica delle nomine della commissione di valutazione della Dgca (ora al vaglio degli organi di controllo). Da indiscrezioni di stampa filtrano anche i nomi che andrebbero a comporre la Commissione: Paolo Mereghetti, Valerio Caprara, Giacomo Ciammaglichella, Pier Luigi Manieri, Massimo Galimberti, Pasqualino Damiani, Valerio Toniolo, Manuela Maccaroni, Francesco Specchia, Luigi Mascheroni e Stefano Zecchi. Amici, simpatizzanti, esperti, uomini (per ora solo uomini) vicini agli ideali della destra governativa. È a questo punto che è scattato il secondo livello di allarme del comparto, che sperava in una interlocuzione sulla scelta dei componenti, ma anche dell’opposizione, che invoca le spiegazioni di Giuli tutt’ora in grado di poter fermare questo “sgarbo istituzionale”: “Il ministro Giuli venga rapidamente in parlamento per esporre le linee programmatiche dell’azione del ministero della cultura. In quella occasione, Giuli dovrà anche chiarire il contenuto di alcuni decreti firmati in fretta e furia dal suo predecessore poco prima di rassegnare le dimissioni da ministro. Atti sospetti, un ennesimo schiaffo al regolare iter istituzionali da parte di Sangiuliano, su cui è fondamentale avere chiarimenti di merito. Per quali ragioni, l’ex ministro Sangiuliano ha firmato prima di dimettersi diverse nomine fondamentali per l’assegnazione dei fondi cinema? A chi erano state promesse quelle nomine?”. Ecco la sostanza del complotto.
Elettra Raffale Melucci