Le persone con disabilità vengono retribuite il 12% in meno rispetto agli altri dipendenti, e che tre quarti di questo divario, ossia il 9%, non è riconducibile a differenze di istruzione, età e tipo di lavoro. Un divario ancora più marcato nei paesi con un reddito medio-basso, dove il dislivello salariale arriva al 26%, e per quasi la metà non può essere imputato a diversità socio-demografiche. Sono questi alcuni dati di un recente studio dell’ILO, l’International Labour Organization, dal titolo A study on the Employment and Salary Results of People with Disabilities. Nel documento si legge come i disabili devono far fronte anche a tassi di disoccupazione più elevati e hanno maggiori probabilità di essere lavoratori autonomi.
Si stima che 1,3 miliardi di persone, quasi un sesto della popolazione globale, soffrano di disabilità significative (dati del 2021). Con solo 3 disabili su 10 attivi nel mercato del lavoro, il loro tasso complessivo di partecipazione è molto basso e i progressi verso una maggiore inclusione sono stati relativamente lenti.
Secondo l’International Classification of Functioning, Disability and Health, approvata dalla World Health Assembly nel 2001, il termine disabilità comprende menomazioni, limitazioni delle attività e restrizioni alla partecipazione nei vari contesti sociali. Ai fini statistici l’individuazione di persone affette da disabilità si basa, generalmente, su sei aspetti centrali: difficoltà uditive, visive, nel camminare, nel ricordare, nel comunicare e nel prendersi cura di sé stessi. Lo studio dell’ILO, infine, copre un periodo che va dal 2019 al 2022 per un totale di 65 paesi, 14 africani, 2 arabi, 12 dall’Asia e dal Pacifico, 30 dall’Europa e dall’Asia centrale e 7 dalle Americh, che rappresentano tutte le regioni mondiali in base al livello di sviluppo economico e salariale.
Nella media dei paesi analizzati, la disabilità fa decrescere del 29% la possibilità per gli uomini di partecipare al mercato del lavoro e del 20% per le donne. Ugualmente la percentuale del tasso di disoccupazione colpisce di più gli uomini con disabilità (8%) rispetto alle loro colleghe 6,6%. Altro elemento da sottolineare è che chi è portatore di una disabilità lavorerà maggiormente come autonomo che come dipendente. Questo perché la vita da autonomo consente maggior work-life balance. Ma questa condizione li espone, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, a far parte di quell’economia definita informale foriera di minori tutele sotto il profilo occupazionale, salariale e dei diritti. Altri aspetti messi in luce dal documento dell’ILO riguardano le differenti ore di lavoro e la tipologia di contratto per chi ha disabilità e chi no. La percentuale delle persone affette da disabilità che, nella media dei paesi presi in esame, lavora meno di 20 ore a settimana si attesta al 13%, contro l’8%. Nelle altre fasce orarie – 20-48, 48-55 e oltre 55 ore – si registrano percentuali pressoché identiche. Se meno ore di lavoro si traducono in meno rischi per la salute, al contempo lo stipendio sarà meno ricco. Sul fronte contrattuale, chi è portatore di handicap avrà probabilità più alte di essere a tempo determinato, e questo accade molto nei paesi in via di sviluppo, dove la percentuale tra i disabili è al 44% contro il 38%.
Analizzando più nel dettaglio le diversità salariali, il documento sottolinea come, nella media dei paesi e preso come punto di confronto la retribuzione oraria, il 30% delle persone affette con disabilità si colloca nel primo quintile, ossia in quello con le buste paghe più povere. Questo vuol dire che il 30% che occupa questa fascia ha una retribuzione più bassa rispetto a quelle recepite dall’80% degli altri addetti. Le persone con disabilità sono anche esposte al fenomeno dei bassi salari. Secondo l’ILO uno stipendio è definito povero se è più basso di due terzi rispetto alla mediana della retribuzione oraria di quel paese. Se guardiamo la media dei mercati del lavoro studiati, il 32% dei disabili percepisce uno stipendio più leggero contro il 22% , percentuale che si impenna negli stati in via di sviluppo, 46% rispetto al 28%. Queste diseguaglianze sono imputabili a diversi fattori che rientrano nella struttura socio-demografica della quale una persona fa parte, che comprende anche il capitale umano, le competenze e il livello di istruzione. I disabili devono affrontare molte più difficoltà quando si approcciano al mondo della scuola e della formazione, e questo sin dai primi anni di vita. Nella media dei paesi, il 38% dei disabili ha un livello che è pari o al di sotto rispetto a quello dell’istruzione secondaria, che in Italia corrisponde alla licenza media e al diploma, rispetto al 28%. Nei paesi con un reddito medio-basso le percentuali schizzano rispettivamente al 64% contro il 45%. Come effetto della minore istruzione, nella media dei paesi il 24% dei disabili svolge mansioni elementari rispetto agli altri, 16%, mentre negli stati a basso reddito si passa 42% contro il 26%.
Come detto in precedenza le persone con disabilità vengono retribuite il 12% in meno degli altri e questo divario è riconducibile solo per un quarto (3%) a motivi legati ai differenti livelli di istruzione, età e tipo di lavoro. Il restante 9% non lo è. Dietro a questo gap possono esserci molteplici cause: un minor livello di produttività come risultato di un mismatch tra le skills richieste per quel lavoro e quelle delle persone con disabilità, una maggiore flessibilità per andare in contro ai bisogni di chi è portatore di handicap che, però, si concretizza in retribuzioni inferiori, o discriminazione. Altro elemento di disparità, che crea un sottogruppo all’interno di chi è disabile, è il sesso. Essere donna e avere una disabilità impatta ancor di più sul salario. Nei paesi sviluppati il gender pay gap è del 6%, mentre sale al 13% quando ci sono disabilità.
Per far fronte a questo divario non mancano ovviamente gli strumenti. Accanto alle varie convenzioni internazionali pensate per la tutela delle persone disabili, per l’ILO la presenza di un salario minimo potrebbe essere una chiave per evitare eccessive disparità e comunque offrire una rete di protezione. Nelle nazioni sviluppate l’11% dei portatori handicap si trova al di sotto del salario minimo, rispetto al 9%, mentre in quelle in via di sviluppo si passa al 36 e al 24%. Contrattazione e legge possono dare un valido aiuto per rendere il mercato del lavoro più inclusivo. Molti paesi hanno introdotto l’obbligo di quote fisse di persone affette da disabilità nei luoghi di lavoro. Un’altra leva sulla quale puntano diversi paesi sono gli sgravi fiscali per assumere chi è portatore di handicap. Ma ci sono tutta una serie di altri interventi utili per migliorare la vita lavorativa dei disabili. Rendere il luogo di lavoro più confortevole vuol dire non solo eliminare barriere fisiche, ma anche dare la possibilità ai disabili di esprimere al meglio le proprie capacità, per far crescere il loro grado di produttività, o, ancora, creare le giuste condizioni per far coesistere i bisogni personali con quelli lavorativi.
Tommaso Nutarelli