Ormai, sono passate due settimane dal giorno in cui ci è arrivata la notizia della morte di Ottaviano Del Turco. Una notizia resa non meno, ma più dolorosa dalla consapevolezza del fatto che le sue gravissime condizioni di salute lo avevano ormai da tempo estraniato, fatta eccezione per i familiari più stretti, da quei contesti sociali e relazionali in cui aveva avuto ruoli tanto attivi per gran parte della sua vita.
Sono passate due settimane ma, anche se non lo avevo più visto da anni, diversi ricordi, stimolati da quella notizia, sono tornati e tornano a presentarsi con insistenza alla mia memoria.
Il primo ricordo è relativo ai giorni del rapimento Moro. Siamo da qualche parte tra il 16 marzo 1978, giorno dell’agguato di via Fani, quando un gruppo di fuoco delle Brigate Rosse massacrò la scorta del Presidente della Dc, diretto in Parlamento, e il 9 maggio successivo, quando il suo corpo fu ritrovato in via Caetani.
Una di quelle mattine, credo nella seconda metà di aprile, incontrai Ottaviano a corso d’Italia e ci fermammo un po’ a parlare a pochi passi dall’ingresso della sede nazionale della Cgil. La conversazione cadde sull’argomento di cui più si discuteva in quel momento.
Siamo nei giorni in cui le forze politiche, e credo con maggior sofferenza emotiva quelle di sinistra, erano spaccate rispetto al tema della cosiddetta trattativa. Craxi, forse per sparigliare o forse in base a un suo ragionamento più strategico, si era pronunciato a favore della trattativa con le Br. Tatticamente, l’idea era che la cosa più urgente, al momento, fosse salvare la vita di Aldo Moro. Il Pci, invece, pensava che il compito di liberare Moro spettasse alle Forze dell’Ordine e vedeva nell’idea stessa della trattativa una resa. Temendo anche che un negoziato con i terroristi avrebbe potuto rafforzare l’influenza e la spavalderia di quegli aspiranti fiancheggiatori che facevano capolino, qua e là, anche in alcune fabbriche, o non lontano da esse.
Fatto sta che io, che ero iscritto al Pci, sostenevo la tesi del partito guidato da Enrico Berlinguer, mentre Ottaviano, che era già un noto dirigente sindacale socialista, sosteneva la tesi del Psi. Finché, senza che l’uno avesse potuto convincere l’altro, non ci salutammo riprendendo ognuno la sua strada.
Ebbene, direte voi, cosa c’è di significativo in questo raccontino? Una cosa c’è, anche se, per vederla, bisogna tornare a quel momento. Il fatto è che Ottaviano, che aveva 33 anni e mezzo, era già Segretario generale aggiunto della Fiom. Io invece, che ero poco più giovane di lui (31 anni), lavoravo presso la casa editrice della Cgil (all’epoca Esi) con l’incarico di redattore di una collana di opuscoli di alta divulgazione, pensati come materiali di supporto per le attività di formazione sindacale.
Ora è vero che la collana Proposte poteva fregiarsi del titolo di essere stata concepita da Aris Accornero, e di essere nata, quindi, come costola dei mitici Quaderni di Rassegna sindacale; ma, in sostanza, nella sede di corso d’Italia io ero poco più dell’ultima ruota del carro, mentre Del Turco era un dirigente sindacale dotato di responsabilità nazionali di rilievo. E proprio qui sta il punto.
Non c’era alcun motivo per cui Del Turco si dovesse mettere a discutere con me, per strada, su quale fosse la via migliore per combattere il terrorismo delle Br nelle tragiche circostanze in cui eravamo immersi. Ma lo fece. Perché lui era così. E vi assicuro che questo suo comportamento non era abituale per i dirigenti sindacali di livello nazionale, tanto più in quel particolare frangente. Infatti, mi è rimasto in mente. Da più di 45 anni.
Il secondo ricordo è relativo alla primavera del 1981. L’esperienza di Proposte si era esaurita, e io ero passato al settimanale della Cgil, Rassegna sindacale, con l’incarico di seguire il dibattito che stava portando la stessa Cgil verso il suo 10° Congresso. In quei mesi feci dunque parecchie interviste a dirigenti sindacali di vario livello, fra cui una a Del Turco.
Ottaviano mi ricevette nella sua stanza al secondo piano della sede unitaria della Federazione lavoratori metalmeccanici, la mitica Flm. Su una delle pareti faceva bella mostra di sé un manifesto che non aveva nulla a che fare con eventi di natura sindacale o politica. Era infatti il poster che annunciava una mostra di Roy Lichtenstein, uno dei primi grandi maestri della Pop Art. Un poster che, se non ricordo male, riproduceva il celebre “M-Maybe”, un volto di donna ispirato ai personaggi protagonisti di certe storie a fumetti.
La pittura, infatti, era una delle passioni di Ottaviano. E quanto alla scelta dell’autore, mostrava dei gusti certo simili ai miei, ma forse non maggioritari nel mondo sindacale.
Per il resto, penso da tempo che fare un’intervista possa essere un buon mezzo per conoscere una persona. E in quell’occasione Ottaviano si mostrò non solo cordiale e accogliente, ma tanto attento alle domande quanto disponibile e pronto nel rispondere. La sua era un’intelligenza vivace e intervistarlo era un piacere.
Terzo ricordo. Nell’autunno dello stesso anno, mentre la fase congressuale era ancora in corso, Pio Galli, che era il Segretario generale della Fiom, mi propose di passare dalla Cgil alla stessa Fiom, ovvero di lavorare presso il Centro operativo unitario (così si chiamava) di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil. In pratica, alla Flm. Il mio compito sarebbe stato quello di riavviare la pubblicazione di Flm Notizie, il bollettino quindicinale unitario dei tre sindacati dei metalmeccanici che, da qualche tempo, non era più uscito.
All’inizio di gennaio del 1982, a Congresso Cgil finito, mi presentai dunque alla sede nazionale Flm, al n. 36 di corso Trieste. Galli mi disse che, nella Fiom, il responsabile delle attività di stampa e informazione era il Segretario generale aggiunto, ovvero, in quel momento, proprio Del Turco, e che io avrei dovuto lavorare con quest’ultimo. Invitandomi quindi a prendere contatto con lo stesso Del Turco.
Cosa che io feci rapidamente, scendendo dal terzo piano, dove era l’ufficio di Galli, al secondo, dove era la stanza di Ottaviano, quella col poster di cui sopra. Ottaviano, però, mi disse che era occupato e mi fece una proposta inconsueta: mi invitò a passare, nel pomeriggio, da casa sua. Avremmo così potuto prendere un tè insieme.
Ottaviano abitava allora vicino a piazza Fiume, e quindi non lontano da corso Trieste. Mi aprì la porta, mi accompagnò in salotto e mi offrì la promessa tazza di tè. Fu una conversazione piacevole, molto sciolta, molto informale.
Si tenga presente che Galli era comunista, mentre Del Turco, come si è già detto, era socialista. Ma nessuno dei due fece mai minimamente cenno a queste circostanze in relazione al lavoro che mi attendeva. Lo sottolineo perché, all’epoca, nella Cgil le correnti di partito erano strutture riconosciute per ciò che riguarda la distribuzione dei poteri interni. Ma, anche da questo punto di vista, sia Galli che del Turco erano due signori e non mi chiesero di osservare nessuna particolare cautela rispetto a simili questioni. Anche perché, signorilità a parte, erano tutti e due convinti dell’importanza dello spirito unitario. E ciò sia all’interno della Cgil, che nei rapporti con Fim-Cisl e Uilm-Uil.
La Flm era nata nel 1972 e, all’inizio del 1982, costituiva, ai miei occhi, una solida realtà d’avanguardia, nel mondo sindacale. Ma quella fase felice di rinnovato impegno unitario, successiva all’Autunno caldo del 1969, non era destinata a durare. Tra fine ’83 e inizio ’84, in un periodo di crescente inflazione, si aprì lo scontro sulla questione della scala mobile dei salari. Da una parte il Governo guidato da Bettino Craxi, con l’appoggio di Cisl e Uil, emise un decreto che tagliava i famosi tre punti della “indennità di contingenza”. Dall’altra il Pci di Berlinguer, con l’appoggio della Cgil, promosse (senza successo) un referendum abrogativo del provvedimento.
La Flm fu la prima vittima dello scontro. Dopo mesi di aspri contrasti in cui la stessa sigla della Flm era sparita dalla scena, in calce ai comunicati unitari emessi da corso Trieste tornò la vecchia firma: Fim, Fiom, Uilm. Ma Ottaviano, a quel punto, nella sede di corso Trieste non c’era già più. Nel 1983 era stato chiamato da Luciano Lama a ricoprire l’incarico di Segretario generale aggiunto della Cgil. E con tale responsabilità visse i giorni della divisione, essendo a capo di una minoranza socialista molti dei cui militanti non si ritrovavano né nella posizione del loro partito, né in quella del loro sindacato.
Quella fu, certamente, una delle pagine più difficili vissute da Del Turco in quanto dirigente sindacale. Ma la vita gli avrebbe poi riservato altre vicende professionali e politiche. Alcune di ragionevole soddisfazione, altre ben più difficili e ingiustamente dolorose.
Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo, non può far altro che onorarne il ricordo. Ciao, Ottaviano.
Fernando Liuzzi