Dopo la legge 46 del 2022 si è aperta una nuova stagione per quanto riguarda il mondo della rappresentanza: quella delle Forze Armate e delle Forze di Polizia a ordinamento militare. Le nuove e antiche organizzazioni sindacali ora maggiormente riconosciute e regolate dallo Stato, chiamate “Associazioni Professionali a Carattere Sindacale” (e “tra militari”), in realtà di diverso non hanno solo il nome: non possono scioperare e non possono formalmente associarsi ad altri sindacati “esterni”. Abbiamo intervistato il segretario generale del Silp Cgil, Pietro Colapietro, formazione sindacale che rappresenta la Polizia di Stato, per chiedergli in che situazione versa il settore e il mondo della rappresentanza militare.
Colapietro, che cosa è cambiato con la nuova legge che regola la rappresentanza militare?
Prima la rappresentanza era più circoscritta, sia sui pareri che sulla concertazione, mentre adesso possiamo contrattare direttamente con il governo. Si figuri che prima il rappresentante era sotto il libro paga dell’Ente di difesa, come se un sindacalista metalmeccanico fosse pagato dalla Fiat per intenderci, di chi farebbe gli interessi? Comunque, anche con questa legge non è tutto oro quello che luccica. Per esempio non abbiamo il potere di essere rappresentati da soggetti diversi da quelli dell’amministrazione, cioè devono essere per forza appartenenti alle Forze di Polizia o in quiescenza. Un sindacalista del settore della Scuola, oppure dell’edilizia come Fillea Cgil, non potrebbe passare al nostro sindacato.
Quindi la Cgil vi riconosce come categoria utilizzando una sorta di solidarietà sindacale, ma formalmente non siete, come dire, confederati?
Esatto. Abbiamo un riconoscimento politico, perché si riconoscono i valori comuni della Cgil. Ci sediamo alle riunioni e alle assemblee della confederazione e discutiamo insieme, ma dal punto di vista strettamente organizzativo noi non possiamo votare ai direttivi come le altre categorie. Non abbiamo diritto di iscriverci ad organizzazioni diverse da quelle naturalmente costituite all’interno dell’amministrazione. Non so se rendo l’idea: se volessi iscrivermi a Cgil, oppure Cisl o Uil, non potrei farlo. Non parliamo poi dello sciopero, diritto da noi non riconosciuto. Come vede siamo regolati e organizzati dalla legge 46 in modo molto diverso dalle altre sigle sindacali, e il comparto militare ha ancora più limitazioni rispetto a noi.
Ad esempio?
Ai militari non è riconosciuto il secondo livello di contrattazione, anche a livello territoriale. Inoltre, rimanendo in tema di limitazioni o meglio di restrizioni, pochi giorni fa lo Stato maggiore dell’Esercito ha ordinato la rimozione di alcuni volantini. Dovrebbe essere un organo terzo, chiamato a dirimere alcune questioni. Oppure se si sospetta che dei volantini siano diffamatori allora ci sarebbero gli estremi per una querela e di solito ci si rivolge a un magistrato. Invece ha letteralmente ordinato la loro rimozione perché li ha ritenuti non consoni al regolamento. Ma non può giudicare in questo modo. È come se un datore di lavoro scendesse al piano terra dell’azienda e davanti alla teca della bacheca ordinasse ai sindacati la rimozione di ciò che ritiene giusto rimuovere.
Una storia preoccupante, soprattutto alla luce dei già limitati spazi di manovra che impone la legge alle vostre organizzazioni.
Capisce quanta libertà ridotta, quanta gerarchia che ancora permea questi ambiti e che vogliono mantenere salda. Nei confronti del sindacato non ci può essere una cappa di sovra-ordinazione. Ci sono prerogative e ruoli. Se vengono rispettati o meno non lo decide di certo lo Stato maggiore dell’Esercito oppure il Comando della Polizia.
Per quanto riguarda in particolare la Polizia, qual è la situazione del vostro comparto?
Una grave mancanza di personale e mezzi. Servono investimenti in concorsi e formazione. Ci mancano circa 9.000 poliziotti e ogni anno escono circa 4.000 e ne formiamo circa 2.000, quindi il saldo è gravemente negativo. Questo problema si è ingrandito sempre più sia grazie ai pochi concorsi che anche alla cartolarizzazione di Tremonti del 2004, che ha diminuito drasticamente le scuole di polizia, ad oggi insufficienti per immettere nuovi poliziotti che coprano almeno il turn-over. È evidente che in questo modo non riusciamo a fare tutto quello che è nostro dovere fare, oppure lo facciamo male.
In che senso?
Non abbiamo una attività di prevenzione del crimine come si deve, infatti ci mancano le volanti; non abbiamo una seria attività di investigazione, perché mancano le squadre mobili, spesso impiegate in altri settori per mancanza di personale; non abbiamo il ricambio generazionale, costringendo lavoratori di 50-55 anni a fare la volante di giorno e di notte, con inseguimenti annessi e tutte quelle attività fisiche che a una certa età è difficile portare avanti. Ricordiamoci che la Polizia è in fondo la volante, quella che il cittadino chiama se ha un problema e subito si interviene, sempre che ci siano le macchine disponili, carenti anche queste. La lotta per le assunzioni è la lotta anche per la sicurezza di tutti i cittadini.
Se manca il personale immagino che spesso capiti di accettare il lavoro straordinario.
Si, con due precisazioni: il lavoro straordinario da noi è obbligatorio, non ci si può rifiutare; secondo, è pagato circa 6 euro in aggiunta alla paga base, che è una cifra irrisoria. E si paga dopo due anni. Si figuri che c’era stato impegno solenne della premier Gorgia Meloni sull’aumento dello straordinario. Finito con un nulla di fatto.
Considerata l’elevata età media delle Forze di Polizia come siete organizzati sul fronte della previdenza? Perché saranno tanti i lavoratori prossimi alla pensione.
Tutti i poliziotti e tutto il comparto di difesa in generale, oggi eroi, saranno i poverissimi del domani. Perché le decurtazioni rispetto alle pensioni sono sempre più cospicue. Da qui a vent’anni, a chi andrà in pensione, avrà una decurtazione del 30-40% rispetto ad uno stipendio già basso. Tutto questo in assenza di previdenza complementare e previdenza dedicata.
Quindi non avete un vostro Fondo previdenziale?
Assolutamente no. La previdenza complementare non è stata mai avviata.
Ma l’argomento non è stato neanche accennato dal Governo?
Si, ma sono arrivate solo risposte vaghe. Se si vuole passare dalle parole ai fatti, allora che si faccia una norma che contenga degli investimenti in tal senso. Invece se guarda nei capitoli di spesa non si prevede un solo centesimo per l’avvio della previdenza complementare. Quindi di fatto lo Stato non garantisce un aiuto previdenziale a questi lavoratori, altro che attenzione al settore.
Emanuele Ghiani