Ogni giorno, verso le 17, un dannato martelletto cominciava a picchiare sulla parte centrale del mio cervello, continuando fino a sera. Convinto di dover fare qualcosa, ho bussato alla porta di un medico. Per mia fortuna mi sono trovato davanti ad una persona di età rispettabile e di aspetto dignitosissimo. Fargli comprendere di che soffrissi, non è però stato semplice. Non capiva la storia del martelletto, mi ha chiesto che intendessi con questa espressione. Per martelletto intendo una piccola massa di acciaio a forma di parallelepipedo infilata in cima a un manico, impugnando il quale si possono menare i colpi per conficcare i chiodi o rompere un termometro, spiegai all’illustre sanitario. Il degno scienziato ha allargato le braccia esclamando, con una leggera punta di impazienza: Benedetto uomo! Qui noi stiamo parlando linguaggi diversi. Vogliate dirmi in parole povere che cosa avete!
Mi fa male la testa, ho risposto. L’egregio professionista ha affermato che finalmente si poteva cominciare a ragionare. L’eccellente uomo mi ha provato il polso, il cuore, i polmoni, poi ha cominciato una serie di domande. Fumo? ha chiesto. No, ho risposto. Vino? No. Alcolici? No. Il dottore mi ha guardato severo negli occhi e ha insistito con voce cortese, ma decisa. Io sono rimasto un po’ in imbarazzo. Ai dottori bisogna dire tutta la verità. Ecco, ho bevuto un bicchierino di fernet il mese scorso, ho confessato. Il valente sanitario mi ha guardato più fissamente negli occhi: donne? Moglie…, ho sussurrato. L’egregio sanitario ha insistito, sbuffando e precisando che intendeva altre donne, nel senso di divertimento. Sono diventato rosso. Una certa ragazza bionda, tanti anni fa, ho confessato.
L’ illustre uomo, seccato, ha ripreso l’interrogatorio. State alzato la notte? No. Fate lavoro cerebrale? No, scrivo per i giornali. Carne? Intingoli? No. Droghe, allora? No, niente pepe e solo un po’ di noce moscata. Intendevo stupefacenti, eccitanti, eccetera. Qualche compressa di aspirina ogni tanto, ho ammesso. Caffè? No. Allora l’egregio sanitario ha perso la sua calma. Perbacco, ha detto con voce irritatissima, voi non prendete caffè, non prendete droghe, non fate tardi la notte, non eseguite lavori cerebrali, non avete donne, non bevete, non fumate, si può sapere che cosa un povero dottore può proibirvi?
Era nobilmente indignato e io sono uscito a testa bassa. Arrivato sulla porta mi sono ricordato di qualcosa e sono tornato indietro. Scusate, dottore, ho detto, io veramente non fumo. non bevo, eccetera, però ho il vizio del pippermint. Il vizio del pippermint? E che sarebbe? ha chiesto il dottore, con le sopracciglia aggrottate. Ecco, ogni giorno io mangio due caramelle bianche di menta dette appunto pippermint. Bene, ha esclamato soddisfatto il dottore, se volete guarire, niente più pippermint.
Oggi, a 26 giorni di distanza, devo riconoscere che il dottore aveva ragione. Abolite le due caramelle quotidiane, il mio dolor di capo è scomparso. E sono molto soddisfatto, perché me la sono cavata col solo sacrificio di due mentine. Se avessi invece risposto di sì alle domande del dottore, io oggi non potrei più fumare, non potrei più bere vini e liquori, non potrei più fare tardi la notte, eccetera, come ho sempre fatto e come ancora sto facendo e spero di fare. L’astuzia sta nel farsi proibire soltanto le cose cui si tiene di meno. Il che è bello e istruttivo.
Ecco. Il testo che riproduciamo, con qualche rimaneggiamento, porta la firma di Giovannino Guareschi. Fa parte della raccolta “Lo Zibaldino”, ironica parafrasi di Giacomo Leopardi, composto da racconti scritti tra il 1938 e il 1948, anno della pubblicazione. Lo spirito beffardo che anima le avventure di Peppone e don Camillo è qui condensato appieno. Lo scrittore, monarchico intransigente e anticomunista viscerale, inventore del termine “trinariciuti” per definire gli odiati rossi, ideatore del fortunato slogan elettorale “Nel segreto della cabina Dio ti vede, Stalin no”, quattrocento giorni in carcere per diffamazione nei confronti di Alcide De Gasperi, è, nonostante gli anatemi a sinistra, un protagonista a pieno titolo della letteratura e del giornalismo italiano. E lo è proprio grazie al suo umorismo, che gli fa superare con un balzo tutti gli steccati politici.
E allora, Pippermint, in questo agosto di calura e di attesa. Il nostro debito pubblico ha toccato quota tremila miliardi. Ma all’Europa che ci chiede di essere meno cicale possiamo sempre dire qualche bugia, come al medico il protagonista del raccontino. Magari rinunciando a simboliche caramelle per poi andare avanti come ci pare e piace.
L’importante è non perdere la capacità di ridere, Diceva Aldo Palazzeschi: “Maggiore quantità di riso un uomo riuscirà a scoprire dentro il dolore, più egli sarà un uomo profondo”. L’autore del fantastico “Il codice di Perelà”, favola allegorica incentrata su un uomo fatto di fumo, e delle noiose “Sorelle Materassi”, è morto cinquant’anni fa, il 17 agosto 1974. Anche per lui la chiave di volta è l’umorismo.
In fondo, siamo un Paese di buontemponi.
Marco Cianca