La pausa estiva coglie il mondo del lavoro e delle relazioni industriali in un momento quanto meno interessante. Non mancano luci e ombre in un difficile bilancio di questa annata complicata, ma il segno distintivo sembra essere nel complesso positivo. È andata bene l’occupazione, che è arrivata a livelli insperati. Non tutti i nuovi contratti hanno avuto il bollino blu del tempo indeterminato, che segna sempre la differenza sostanziale, ma il risultato netto è senza meno soddisfacente.
Ed è andata benissimo la contrattazione. Tutti i contratti in scadenza sono stati rinnovati, anche i più difficili, quelli che aspettavano da troppi anni la conclusione di un iter negoziale complesso. Valgono per tutti i contratti del turismo e del commercio, che erano veri buchi neri a onta degli sforzi generosi che le parti mettevano nella ricerca di un accordo. Positivo anche il bilancio della contrattazione di secondo livello, sono state tante le intese nei grandi gruppi, ma anche nelle aziende più piccole, soprattutto è da sottolineare la capacità di innovazione di queste intese, che vanno al centro dei problemi delle imprese, spesso fungendo così anche da indicazioni per altre realtà produttive.
È purtroppo balzata agli occhi, specie per le vertenze più difficili, l’assenza di un ruolo attivo da parte del ministero del Lavoro. Negli anni passati tutti i grandi contratti approdavano al ministero di via Flavia, poi a via Veneto a Roma. Quando il dialogo arrivava a un punto morto, quando le intese erano oggettivamente lontane e le parti non avevano altre frecce al loro arco, serviva una parte terza che riuscisse a mediare tra i diversi interessi, magari anche imponendo una soluzione a prima vista scomoda, a ben vedere ottima da tutti i punti di vista. Il ministero di Marina Calderone non ha mai preso un’iniziativa in tal senso, non si è mai fatto avanti per svolgere questo ruolo e questa assenza ha pesato non poco sulla lunghezza, e quindi sulla gravosità di alcune vertenze.
Adesso tutta l’attenzione è rivolta alla vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, molto difficile, sempre per lo stesso motivo, che quel mega contratto si applica a un milione e mezzo di lavoratori e soprattutto a una miriade di imprese, le più diverse tra loro, da quelle che producono punterie metalliche a quelle che fabbricano aerei e carri armati, e che in quanto tali hanno problemi spesso molto diversi. Trovare un minimo comune divisore tra tante imprese non è facile, ma è indubbio che chi tratta deve cercare un accordo che vada bene per tutti, non può permettersi di lasciare indietro nessuno. Per fortuna l’atteggiamento delle due parti appare improntato a un’attenta ricerca di accordi, nessuno scade nell’esibizione dei muscoli e finché si dialoga tutto può accadere.
Il dato più negativo di questo bilancio di fine anno, perché la pausa estiva è davvero la cesura tra due momenti precisi, è l’accentuarsi delle divisioni sindacali. La battaglia tra le confederazioni dei lavoratori non trova pace. Sono finiti, per fortuna, gli attacchi personali, comunque di retroguardia, ma le strategie delle tre confederazioni, Cgil con la Uil da una parte, Cisl dall’altra, non si sono avvicinate. Le prime due organizzazioni impegnate in una battaglia frontale nei confronti del governo, la terza defilata, estranea alle battaglie del resto del movimento sindacale, molto concentrata sul merito dei problemi, in primis l’iter del disegno di legge sulla partecipazione che potrebbe anche vedere la luce entro l’anno.
C’è da dire che se le confederazioni litigano o meglio si ignorano, procedendo su strade che non sono nemmeno parallele, le federazioni di categoria si comportano in maniera tutta differente. Come prova il fatto che per lo più la contrattazione di categoria non vede protagonismi devianti, si procede per lo più in accordo.
Ma il dato più rilevante degli ultimi mesi è senza meno la possibilità che possa davvero riprendere un dialogo tra il sindacato e il mondo dell’industria. Il cambio della guardia tra Carlo Bonomi ed Emanuele Orsini non poteva non produrre risultati più rilevanti. La inclusività emiliana ha vinto sulla rigidità lombarda, il confronto non è stato ancora avviato, ma è stato posto su binari precisi e potrebbe dare risultati a breve. L’appuntamento è fissato a settembre, ma già il fatto che il nuovo presidente di Confindustria affermi a chiare lettere di credere che si possano fare delle cose interessanti assieme, già questo appare come un segnale che qualcosa sta cambiando in positivo. Certo, i temi dai quali dovrebbe partire questo nuovo ciclo di confronto interconfederale sono davvero ostici. Sui perimetri contrattuali, sui termini della rappresentanza, forse anche sulla partecipazione le distanze restano molto ampie, ma la cosa importante è che si dialoghi, ci si confronti, poi le soluzioni arrivano. Il patto della fabbrica, che fu sottoscritto nel 2018, un secolo fa, lasciò molti punti oscuri e superarli non sarà facile, ma la cosa più importante, ed è un dato positivo, è che il vertice di Confindustria abbia potuto chiedere ai tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil di abbandonare la pratica di confrontarsi con il governo separatamente, ognuno per proprio conto. La speranza è tornata a vivere nel mondo delle relazioni industriali, è questo il dato più rilevante.
Massimo Mascini