«Questo libro è parte del nostro proposito: documenta una condizione, ne denuncia storture e violenze, indica un terreno di ricerca e di lavoro per tutta l’organizzazione sindacale e per tutti coloro che non vogliono rassegnarsi a una presente ingiusto e pericoloso perché sta distruggendo l’umanità e il pianeta: è ora di unirsi e costruire il futuro». Un esergo, più un epilogo, ma è con queste parole di Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil, che si chiudeTanta fatica per nulla. La regola della precarietà, il libro-inchiesta di Edi Lazzi, segretario generale della Fiom-Cgil Torino. Non sul lavoro, o sui giovani, o sul precariato, ma piuttosto «una ricerca che fonde insieme queste tre radici del nostro disagio presente, a partire dalla parola – dal racconto, dall’esperienza – dei protagonisti, con un approccio dialogico», come osserva Marco Revelli nella prefazione. Il libro di Lazzi, infatti, raccoglie dodici testimonianze di giovani lavoratori precari, anzi precarissimi, tra i venti e trent’anni (con qualche senior a dimostrazione del dilagare di una condizione che non guarda in faccia all’anagrafica) che barcamenano le proprie esistenze in un’aura di incertezza, ansia, solitudine, alla giornata; in balia di una condizione lavorativa frammentata e insicura che ha ripercussioni non solo sul reddito e i diritti, ma anche sulle prospettive di un futuro che proprio non riescono a concepire. La dimensione “spirituale” lavorativa si fonde con quella esistenziale, ne è specchio e sostanza e da Nord a Sud, nelle voci di Lisa, Roberta, Alessandra, Giovanni, Loredana, Teresa, Lina, Carlo, Paolo, Fabio, Andrea, Maura, Vera – tutte diverse tra loro per background, esperienza, condizione e approccio – emerge il comune denominatore di disagio, angoscia, perdita di sé per un mondo che non ha saputo rispondere alle loro aspettative e desideri e da cui pure dipende la loro sopravvivenza. «Precario nel lavoro, precario nella vita», sintetizza drammaticamente Andrea nel suo racconto. Sono storie che diventano una Storia, con la “esse” maiuscola, perché rispecchiano l’andamento di un Paese che del lavoro – e del suo valore costituzionale – ha fatto carta straccia in nome di un capitalismo che non guarda in faccia nessuno, una Medusa di cui, se se ne si incontra lo sguardo, ti pietrifica in una condizione dalla quale pare impossibile uscire. E questo al potere conviene: docili figurine interscambiabili sottoposte al ricatto dell’economia e della perenne crisi, schiacciati dalla falsa consapevolezza di immeritorietà di qualcosa di meglio, dalla scarsa autostima per non aver saputo conseguire la meta, di aver provato a gettare il cuore oltre l’ostacolo ma ormai, dall’altra parte, non c’è più spazio per nessuno. Un senso di solitudine e isolamento attanaglia la fascia potenzialmente più produttiva del paese, la fiducia nelle istituzioni è una brutta parola perlopiù sconosciuta, la collettività cancellata dall’abiura da parte del potere. Ognuno corre per la propria sopravvivenza, è una gara tra ultimi e penultimi.
Il libro si compone sostanzialmente di tre parti: nel primo capitolo, dall’eloquente titolo Il lavoro e la Costituzione tradita si ripercorre (repetita iuvant) il nostro profilo costituzionale e la centralità che il lavoro riveste su tutto l’impianto: articolo per articolo – 1, 4, 35, 36, 37, 38 – ma anche attraverso l’importanza dello Statuto dei lavoratori, Lazzi contestualizza “in negativo” le testimonianze acquisite «offrendo una chiave di lettura della situazione di vita che i giovani stanno subendo». Tutto quello prescritto costituzionalmente è stato smantellato. Ma l’autore ripercorre anche l’importanza che hanno avuto le lotte collettive degli anni Sessanta e Settanta, «sul come quelle battaglie abbiano permesso alla Costituzione di entrare nei luoghi di lavoro affermando che il cittadino rimane tale anche all’interno degli uffici e delle officine» e, contemporaneamente, anche la diacronia delle leggi che hanno smantellato la sicurezza lavorativa del nostro Paese – la “nuova stagione” degli Anni Ottanta, della liberalizzazione e della deregolamentazione regressiva del mondo del lavoro. Una storia di attacchi deliberati ai lavoratori, individuati come la prima tessera del domino da colpire per smantellare un sistema che non conveniva più ai pochi detentori del potere, ma un attacco anche al sindacato, di cui Lazzi individua i meriti storici ma anche, coscientemente, i demeriti. Ed è questo, in particolare, che colpisce: la sua argomentazione è un atto di (auto) consapevolezza sul valore delle organizzazioni sindacali, su come queste siano state depotenziate e come, parallelamente, non si sia più trovata la forza per restituire loro vigore. Recuperare la funzione primaria del sindacato, quella dell’unione, della mobilitazione collettiva, della convergenza sinergica di rabbia, desideri, scontento, rivendicazione di aspettative e diritti, è lo specchio da rivolgere a quella Medusa e sconfiggerla in favore della stragrande maggioranza di una Paese che soffre. «L’etimologia della parola sindacato – scrive – deriva dal greco syndikos, unione di syn (insieme) e dike (giustizia): insieme con giustizia. Questo è un elemento essenziale da interiorizzare, soprattutto per la vostra generazione che è cresciuta in una cultura che ha negato l’importanza di agire insieme, dove il mantra principale è quello che da soli ce la si può cavare, in cui l’individualismo è stato eretto a valore supremo in cui addirittura l’altro è percepito come il nemico da sconfiggere. Tutte sciocchezze […]». Tuttavia, quello che emerge nella seconda parte del libro, le testimonianze, è che c’è una totale disillusione da parte dei giovani sul ruolo e la funzione del sindacato e anzi, in alcuni casi, c’è una totale misconosceza. Così l’autore: «C’è della verità in ciò che mi viene detto. Innanzitutto l’incapacità del sindacato di dare rappresentanza a un mondo del lavoro spappolato. Certo che è difficile, ma è necessario aprire una discussione al nostro interno per capire cosa sia possibile fare, come incontrare questi lavoratori, che tipo di rappresentanza dare loro. Sapendo che, dal nostro punto di vista, quello che bisognerebbe fare è intraprendere un percorso collettivo con loro finalizzato a un radicale cambiamento delle leggi che permettono questa precarietà». Consapevolezza condivisa anche da Ravelli nella prefazione: «Difficilmente il Sindacato, come istituzione di rappresentanza del lavoro, di tutta la galassia del lavoro, potrà ricuperare la propria vocazione, senza la rimessa al centro della propria iniziativa di quello che è sempre stato lo strumento naturale dell’azione sindacale: il conflitto […] Forse solo così i protagonisti di questo libro potranno ritrovare il senso del proprio vissuto». Ritrovare l’unità, riappropriarsi di categoria come conflitto, lotta, classe. Lotta di classe. Terminologie che un contemporaneo impoverito e pervaso da una cancel culture trasversale ha abraso più che dal proprio vocabolario, dalla propria coscienza. E coscienza, appunto, è un altro termine che sembra sparito dai radar e che pure, quando si pronuncia, fa vibrare ancora i nervi scoperti. Una parola, questa, che sembra venire da lontano e che spinge con tutta la sua urgenza a squarciare l’indifferenza, l’abuso, il sopruso di cui siamo vittime, non solo sul lavoro, ma come cittadine e cittadini di questo mondo alla totale deriva.
Che fare, quindi? Come si inverte la rotta? Domande difficili che solleticano risposte altrettanto difficili, a cui pure l’autore prova a dare adito nella terza parte del libro attraverso una serie di azioni programmatiche. Certo la legge è importante, i Governi sono il pivot, ma la palla è ancora in mano nostra, in mano alle lavoratrici e ai lavoratori, ai cittadini e alle cittadine. Il sistema non è più sostenibile, l’attuale impianto economico inizia a dare segni di cedibilità, ed è qui che occorre inserirsi con un’azione che sia collettiva, dal basso e soprattutto di pressione. Ritrovare la forza della massa che insieme si fa marea per la riconquista del diritto a un’esistenza che sia libera e dignitosa; riappropriarsi dei dettami costituzionali, di quanto ci spetta per diritto di nascita in questo meraviglioso paese che si sta nemmeno troppo lentamente trasformando in una discarica dei diritti. Difficile cambiare, come osserva Ravelli, ma “accontentiamoci” di provare a realizzare un drastico cambiamento di rotta, suggerisce ottimisticamente Lazzi: ritorno al pubblico e ruolo dello Stato, interventi per il bene della collettività, redistribuzione della ricchezza aumentando i salari, ridurre il precariato, ripensare il ruolo della finanza e delle banche. Insomma, ripensare un intero sistema si può, a partire da una ri-educazione al pensiero critico, quello messo a dormire dal pensiero dominante dell’ammansimento delle masse: una democrazia che sia davvero partecipativa e non solo più rappresentativa, «divenire partecipi degli obiettivi da raggiungere confrontandosi, parlando», sostituendo la connettività con la collettività. Partecipazione, di tutti, è la chiave. E, per quanto riguarda il sindacato, così chiosa Michele De Palma: «È ora per il sindacato di “alzare l’asticella”, rappresentare e dare voce alle nuove generazioni e favorire un processo di rinnovamento del nostro mondo».
Un libro necessario che parla dei giovani, ai giovani, del sindacato e al sindacato. Un dialogo che è anche monito dialogico alle coscienze per non essere più prede di un sistema di oppressione che può e deve essere sconfitto. Insieme.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Tanta fatica per nulla. La regola della precarietà
Autore: Edi Lazzi
Editore: Gruppo Abele – Collana I Ricci
Anno di pubblicazione: 2023
Pagine: 160 pp.
ISBN: 9788865792902
Prezzo: 14,00€