Dopo mesi di proclami circa i devastanti effetti sui conti pubblici dovuti alle agevolazioni per gli interventi di ristrutturazioni edilizie, è arrivato il momento di calare la maschera: il Governo metterà fine a questa emorragia finanziaria limitando l’utilizzo dei crediti d’imposta dei contribuenti maturati a fronte delle spese per ristrutturare la propria casa, come del resto la legge prevedeva. Dopo l’improvviso divieto di cedere il credito, è stato successivamente previsto l’allungamento del periodo per utilizzarlo a diminuzione delle proprie imposte da quattro a dieci anni ed è al momento in previsione una super tassazione del prezzo nel caso in cui l’immobile sia venduto entro i dieci anni successivi alla ristrutturazione. E’ facile immaginare il danno che queste misure adottate in corso di applicazione della normativa abbiano provocato a contribuenti e imprese. Investire sapendo di poter contare sul rimborso immediato mediante la cessione del credito maturato oppure contando di poterlo utilizzare in quattro anni e poi trovarsi senza la liquidità prevista ha messo in ginocchio migliaia di imprese. Quindi in sostanza, volendo ricostruire l’intera vicenda di questa agevolazione, possiamo concludere: lo Stato per incentivare una spesa privata, in un momento cruciale dei nostri conti pubblici, attribuisce un credito fiscale ai contribuenti che si facciano carico di spese di ristrutturazione del proprio immobile. Il beneficio per l’economia è immediato: maggiore occupazione, maggiori consumi, impulso alla produzione, imposte su nuovi redditi. Questo vantaggio per le casse dello Stato però avrà un costo: quello sopportato negli anni futuri pari al minor gettito fiscale dovuto al credito d’imposta utilizzato. Quindi, mentre il beneficio è stato goduto dal Governo che ha introdotto l’agevolazione, il minor gettito è stato patito da quelli degli anni successivi. La sorte ha voluto, come era del resto prevedibile in Italia, che i Governi non coincidessero. E quindi il Governo chiamato a quadrare leggi di bilancio computando il minor gettito farà di tutto per liberarsi del fardello. E’ iniziata quindi una campagna di comunicazione sistematica e finalizzata a demonizzare la principale causa del nostro dissesto finanziario rappresentato da un credito di imposta in mano a contribuenti-profittatori e quindi ingiusto anzi illegittimo e come tale da disconoscere. L’insistenza della comunicazione ha convinto tutti che fosse giustificabile anzi doveroso intervenire e liberarsi del peso. Vorrei suggerire il riferimento a due principi generali del nostro ordinamento utili a trovare una conclusione a questa vicenda. Il primo, sicuramente ignorato dai legislatori e dai commentatori di supporto, è quello del cosiddetto ‘’interesse fiscale’’ definito dalla Corte costituzionale nei primi anni ottanta. Con questo principio fu stabilito che l’interesse all’equilibrio finanziario dello Stato è un interesse superiore a quello dei singoli e come tale prevale. Per questo sono stati giustificati negli anni prelievi straordinari e improvvisi (si pensi al 6 per mille sui depositi bancari decretato a mezzanotte dal governo Amato) e tanti altri prelievi con effetto retroattivo. Questo vuol dire che le improvvise limitazioni del credito d’imposta potrebbero superare il vaglio della Corte costituzionale semmai vi fossero sottoposte ma sarebbe più onesto e dignitoso da parte della classe politica fare ammenda e evitare campagne mistificatorie. Esiste poi il principio del così detto ‘’legittimo affidamento’’ immanente a tutti i sistemi di diritto secondo il quale il cittadino dovrebbe poter fare affidamento sulla chiarezza, prevedibilità e soprattutto stabilità della legge per poter assumere serenamente le proprie scelte, specie se impegnano i propri risparmi.
Però credo che un merito il legislatore italiano possa intestarselo: quello di aver smentito la convinzione di un famoso premio Nobel per l’economia secondo il quale ‘’In economia non esistono pranzi gratis’’.
Alessandro Meloncelli