Con la lettera ai dirigenti del suo partito con la quale chiede loro di fare pulizia di nostalgici, razzisti e antisemiti presenti in Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha compiuto un gesto giudicato importante da molti politici e opinionisti. Anche se – hanno sottolineato alcuni – manca ancora il concetto di antifascismo. E manca non per caso, visto che lei stessa ha sempre rifiutato di definirsi antifascista e dunque sembra difficile possa chiederlo ai suoi colleghi (o camerati che dir si voglia). In ogni caso, la premier è stata costretta dall’inchiesta di Fanpage a intervenire dopo giorni e giorni di imbarazzato e imbarazzante silenzio e a dire qualcosa, un qualcosa che suona come una presa di distanza piuttosto chiara da quelle esternazioni fasciste e pure naziste che abbiamo visto e sentito nel documentario. Come dire, fuori le mele marce dal nostro partito.
Ma le mele marce, nel suo partito, non sono casi isolati, poche decine di militanti esagitati ed estremisti: sono invece il corpo fondamentale di quella formazione politica, la sua base sociale, la sua cultura, il suo modo d’essere. Poi, possono nasconderli, possono evitare di far vedere in pubblico quello che in realtà sono e pensano, ma il problema resta. Dunque, la lettera di Meloni risulta intrisa di ipocrisia perché lei sa meglio di chiunque altro di quale pasta sia fatto il suo partito, di chi siano e da dove provengano i suoi dirigenti e militanti e anche i suoi ragazzi. Che, non a caso, qualche tempo fa in un comizio aveva ringraziato per il loro coraggio, il loro lavoro e la loro devozione: “Sono orgogliosa di voi”.
Oggi quell’orgoglio si è evidentemente attenuato, almeno in pubblico. La premier è stata costretta a minimizzare il problema, riducendolo appunto a pochi elementi estremisti, peraltro dopo aver attaccato Fanpage per essersi “infiltrata” nel suo partito ed essersi addirittura appellata a Mattarella, chiedendogli retoricamente se è ammesso un giornalismo di questo tipo. Come se non sapesse che, da che mondo è mondo, il giornalismo si fa anche così, in politica e non solo. Un modo per mettere in piazza, ovvero far sapere all’opinione pubblica quel che altrimenti non saprebbe mai. In questo caso il fatto che la base di Fratelli d’Italia, giovani e meno giovani, è composta anche da fascisti, razzisti e antisemiti.
Meloni dunque sa benissimo che non è possibile trasformare il suo partito e i suoi giovani in una destra moderata, quando è evidente da mille episodi che di moderato lì dentro non c’è quasi nulla. Lei stessa, che da qualche anno si sforza di apparire come una leader compatibile col mondo esterno, italiano e internazionale, a volte rivela la sua natura profonda, cioè quella di una ragazza cresciuta nella sezione fascista (missina) di Colle Oppio, e si lascia andare ad esternazioni che nulla hanno in comune con la moderazione. Basta ripensare ai suoi comizi di fronte agli spagnoli dell’ultradestra di Vox, e anche ad alcuni suoi interventi nel nostro Parlamento e ai suoi video messaggi rivolti al popolo per rendersi conto che non le sarà facile cambiare pelle e farla cambiare al suo partito. Ammesso e non concesso che lei la voglia sul serio cambiare oppure che, al contrario, si tratti di pura tattica.
Anche perché l’impressione è che i suoi Fratelli d’Italia sono così, oppure non sono. Ed è proprio perché sono così che hanno preso tanti voti, altrimenti tanto valeva entrare in Forza Italia, che è la vera destra moderata italiana. E che proprio per questa ragione non arriva neanche al 10 per cento.
Morale della favola, che purtroppo di fiabesco non ha nulla, è che una parte degli gli elettori di FdI e della Lega la pensa come i ragazzi ripresi dall’inchiesta. E per questo votano Meloni o Salvini: finalmente qualcuno che non rinnega il suo passato ma che lo usa o lo fa usare “a sua insaputa” per comandare e chiudere l’epoca degli “inciuci” con la sinistra e dei governi tecnici. E allora quel che preoccupa non è tanto la premier e il suo vice leghista, ma quelli che li votano.
Riccardo Barenghi