Venerdì 9 luglio 2021, un nuovo messaggio di posta in arrivo nella casella mail di 422 operai impiegati alla Gkn di Campi di Bisenzio, in provincia di Firenze, dove si producono semiassi per per autoveicoli. Mittente: il fondo di investimento inglese Melrose Industries, che ha acquisito lo stabilimento nel 2018. Comunicazione: licenziamento in tronco e chiusura dello stabilimento. Tutti a casa, nessun preavviso, nessuna interlocuzione con i sindacati, nessuna trattativa. E invece no. “Insorgiamo”, dicono gli operai: nasce un collettivo di fabbrica, si fa barricata e nel settembre 2021 il Tribunale Civile di Firenze, sezione lavoro, accoglie il ricorso presentato dalla Fiom-Cgil disponendo la sospensione dei licenziamenti in violazione dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. «È antisindacale – afferma la sentenza – la condotta del datore di lavoro che impedisce alle organizzazioni sindacali di interloquire nella fase di formazione della decisione di procedere alla cessazione totale dell’attività di impresa, non fornendo loro alcuna informazione preventiva pur essendone espressamente obbligato in base al contratto collettivo e da specifici accordi sindacali». Da quel venerdì, a oggi sono 1087 i giorni di assemblea permanente dei lavoratori ex Gkn, la più lunga nella storia del movimento operaio italiano, con 185 lavoratori rimasti in organico. Tre lunghi anni di resistenza in cui l’impossibile diventa reale: si organizzano scioperi, manifestazioni, riunioni, assemblee; insieme a dei giuristi solidali si scrive una legge contro le delocalizzazioni, perché la procedura di licenziamento può ripartire in ogni momento; ingegneri ed economisti solidali mettono a punto un piano di reindustrializzazione del basso basato sulla mobilità sostenibile e la produzione di energia pulita; si sono stretti rapporti con i lavoratori coinvolti in altre vertenze, con il mondo dell’associazionismo, con i sindacati, gli studenti, gli attivisti a vario titolo. «Una famiglia allargata, una comunità che ora è chiamata a farsi intelligenza collettiva», come la descrive Valentina Baronti nel suo esordio narrativo La fabbrica dei sogni (Edizioni Alegre, 144 pagine, 13,00€), che impiega l’espediente della fiction semi-autobiografica per raccontare l’esemplare vicenda dello stabilimento della piana fiorentina. I sogni sono quelli della protagonista Agata – con il suo vissuto di cinquantenne disillusa cresciuta nei social forum di inizio secolo e alla ricerca di una vocazione corale per affermare e dare un senso alla sua esistenza precaria – e quelli degli operai ex Gkn – che nonostante i colpi, gli affronti, le delusioni e gli inganni, continuano a credere nel proprio riscatto – che si intrecciano in una vicenda romance e combat insieme, in cui pubblico e privato coincidono.
Agata/Valentina mescola il racconto della sua esperienza come solidale al presidio di fabbrica con lettere indirizzate a giovani interlocutori (nel libro gli studenti a cui dà ripetizioni) che servono da ponte per tramandare le Storie alle generazioni, così come il recupero delle sue radici operaie e contadine – i nonni braccianti, l’amato padre operaio, le donne schiacciate tra gli obblighi familiari e i campi – sono funzionali a recuperare e, soprattutto, a riscattare una vocazione che viene da lontano: quella della lotta ai soprusi. Un tributo alla working class in senso lato che diventa il recupero di una dignità vessata e annichilita dai padroni, siano essi i coloni, i moderni datori di lavoro o finanche la cultura patriarcale. Lo sfruttamento e la violazione dei diritti non conosce tempo, è questo il messaggio.
Della sua esperienza con il collettivo Agata/Valentina racconta del «calcolo solito con cui si chiudono le fabbriche: un ammortizzatore sociale che serve solo a coprire, con soldi pubblici, la fuga delle multinazionali o del fondo finanziario, la nomina di un advisor che deve trovare un reindustrializzatore, che però non arriverà mai e piano piano la vertenza si spegne, i lavoratori si licenziano alla spicciolata, lo stabilimento si vuota e rimane uno scheletro industriale su cui avviare una speculazione edilizia». Ma «per uscire da questo circolo vizioso c’è bisogno di convergere e loro», gli operai della ex Gkn, «lo spiegano in maniera così chiara che lo capirebbe anche un bambino: “C’è un modo che ha contribuito alla chiusura di Gkn e noi siamo costretti a cambiare quel mondo”».
Infatti, dopo la mail di licenziamento e la vittoria del ricorso presentata dalla Fiom-Cgil, nel dicembre 2021 entra in scena Francesco Borgomeo, il risanatore di aziende che promette di trovare un investitore entro sette mesi e riconvertire la fabbrica in polo per la produzione di macchine per l’industria farmaceutica o inverter per il motore elettrico. I piani sono ambiziosi e si cambia perfino nome allo stabilimento: l’acronimo Gkn (cha sta per “Guest, Keen and Nettlefolds”, i nomi delle tre aziende che in origine si fusero per dare vita al gruppo) si trasforma QF che sta per “Fiducia nel Futuro della Fabbrica a Firenze”. Borgomeo si assume addirittura l’onere di pagare gli stipendi fino al 31 agosto 2022, prendendo in carico tutta la responsabilità dell’operazione di reindustrializzazione. Ma gli investitori non arrivano, le richieste di cassa integrazione sono respinte dall’Inps perché il piano di riconversione non è credibile e Borgomeo se la prende con i “suoi” dipendenti, accusandoli di rendere inagibile lo stabile con quell’occupazione a oltranza e per questo sospende il pagamento degli stipendi. Saranno 150 i decreti ingiuntivi presentati dai lavoratori che il tribunale accoglierà. Il 21 Febbraio 2023, la QF finisce in liquidazione e il risanatore di imprese abbandona la nave. «La tattica del logoramento – spiega Agata/Valentina – è questa roba qua, talmente spregiudicata da sembrare inventata. Tutta tesa a un solo obiettivo: far passare il tempo, dividere i lavoratori, creare tensioni, fare in modo che si licenzino da soli. In poche parole; uccidere la prospettiva, la visione, la costruzione di un futuro diverso. Perché questo sogno è davvero qualcosa che il sistema non può permettersi, un precedente che non deve assolutamente avere un lieto fine».
Il lieto fine, però, è l’obiettivo dei 185 lavoratori rimasti in organico, che dopo avvicendamenti e promesse disattese – nonché l’ennesimo pronunciamento del tribunale che il 27 dicembre 2023 ha bocciato per la quarta volta come “comportamento antisindacale” il provvedimento della proprietà, sfondando la fatidica “Ora X” del 1 gennaio 2024, quando i licenziamenti sarebbero diventati effettivi – costruiscono un’alternativa: parte la campagna di azionariato popolare “Gkn for future” che arriva a poco meno di 800 mila euro per costituire una cooperativa operaia partecipata da coloro che la fabbrica l’hanno difesa. I progetti di reindustrializzazione dal basso sono due: uno relativo alla produzione cargo-bike per la logistica urbana sostenibile, l’altro – in sinergia con una start-up italo-tedesca – per lo sviluppo e la produzione di pannelli solari e batterie di nuova generazione, entrambi nel segno della transizione ecologica e del legame con il territorio e di chi lo abita. Resta il nodo dello stabilimento, perenne oggetto della bramosia degli speculatori: già tra il 2020 e il 2021, come denunciato dal quotidiano Domani, il fondo Melrose ha effettuato una rivalutazione dell’immobile il cui valore è schizzato da 2 a 30 milioni di euro. Inoltre la Pvar srl, facente capo a Borgomeo e detentrice del 100% della QF, nell’ottobre 2023 cede il 50% del suo capitale alla Tuscany Industry S.r.l, fondata nel settembre 2023. Entrambe le società lavorano nell’immobiliare con obiettivo di «acquisto, la vendita, la permuta, la costruzione, la ristrutturazione, la gestione di beni immobili». È presto svelato, anche grazie al lavoro d’indagine giornalistica, qual è lo scopo dello smembramento della Gkn.
«Ciò che abbiamo messo in campo – affermano i lavoratori Gkn nei loro canali social – è una forza creativa positiva contro la distruzione creativa negativa dei grandi interessi economici, finanziari, speculativi. Ne emerge un meccanismo complesso di reazione dal basso, fatto di incrocio tra movimento sindacale, sociale, climatico, internazionale, autofinanziamento, disponibilità alla lotta e richiesta di intervento pubblico. Non un modello, ma un esempio sicuramente. Un esperimento che è significativo perché deve ogni giorno fare i conti con la propria sopravvivenza». L’azionariato popolare «ribalta la narrazione dell’”attesa del cavaliere bianco”, che non arriva mai. Attesa usata scientificamente per perdere tempo. È pura organizzazione popolare, radicamento territoriale e visione internazionale combinate. Lì dentro ci trovate singole/i, delegate e delegati sindacali, realtà sindacali, ambientaliste, associazionismo, movimento climatico. Ma tutto questo sfuma, si disperde, se non sfondiamo. Avanti, contro il muro di gomma #insorgiamo». E, infine, si insorge con l’azione più radicale: uno sciopero della fame alla cui base ci sono tre richieste: una legge regionale e la creazione urgente di un consorzio pubblico regionale per trattare l’area, il commissariamento di QF per pagare gli stipendi, l’inizio di una discussione sulla reindustrializzazione seguendo le stesse linee indicate dalla 234, agganciando tra l’altro un ammortizzatore sociale. Al tredicesimo giorno lo sciopero della fame viene interrotto perché il 14 giugno scorso il presidente del Consiglio regionale ha annunciato che la proposta di legge sulla reindustrializzazione è stata assegnata alla commissione sviluppo economico. “Il nostro progetto industriale muove silenziosamente passi concreti”, dice il Collettivo di fabbrica che, comunque disilluso, non abbandona la lotta fino all’esito sperato.
«Utopia?», si chiede Agata/Valentina. «Forse. Però la prospettiva è la più bella che abbia mai visto e risponde a tante domande, praticamente a tutte. Alla necessità di stare insieme perché, se si sta da soli, loro vincono di sicuro. Al bisogno di costruire attraverso il lavoro un mondo nuovo per tutte e tutti. Al fatto che il nostro pianeta non ce la fa più e davanti abbiamo anni di disastri climatici, guerra, carestia e fame. Al fatto che in questa prospettiva individualista in cui siamo nati, in questa competizione personale tirata fino all’estremo, in queste famiglie ristrette e se,pre più chiuse nei loro piccoli rancori, ci si sta male, malissimo. Come andrà a finire non lo sappiamo. Sicuramente il capitale farà di tutto perché questo progetto fallisca. Però quello che è stato fatto in questi due anni non potrà essere cancellato. Questa pianta potrà anche essere estirpata, ma i semi si sono già staccati e prima o poi rinasceranno da qualche altra parte».
L’arco narrativo raccontato da Valentina Baronti va dal 19 luglio 2021 al 20 novembre 2023, poco prima che scattasse la menzionata “Ora X”, in un gioco di alternanza di registri, stili e tempi che ibridano il genere tra reportage giornalistico, finzione e mémoire autobiografico. L’autrice sceglie il romanzo per raccontare la vertenza proprio perché emerga tutta la fragilità di una generazione sovraesposta alle fluttuazioni dei giochi di potere, destrutturata nelle certezze che credevano inscalfibili e che coincidono con i diritti inalienabili e costituzionalmente sanciti. La disillusione, il disincanto, trascinano letteralmente la vita della protagonista che ricorre al suo passato familiare, ma socialmente contaminato, per rintracciare gli elementi attraverso cui dare senso alla sua esistenza. Agata ritrova la sua forza nell’esperienza collettiva, nel valore della partecipazione, nella disperata ostinazione che anima gli spiriti degli operai in lotta; in essi si riflette, nella loro azione vede la cartina di tornasole di anni di fallimento e precariato, lavorativo ed esistenziale, ma contemporaneamente proprio in loro, anzi, grazie a loro ritrova la squilla per il risveglio della sua coscienza sociale, politica e sentimentale. Quella di Agata è una storia di formazione, un’epifania tessuta con candore e sincerità. Colpisce che sia proprio una donna a raccontare un mondo composto esclusivamente da uomini (bianchi, etero, over cinquanta), il cui sguardo pensa su un corpo “di donna grassa” contro il quale la stessa protagonista combatte. Eppure, lì, i corpi, la differenza di genere, non contano: conta la partecipazione, i pensieri, le competenze che possono sostenere la lotta. Il corpo resta fuori, come ogni altra convenzione sovrastrutturale. Quel che conta è la partecipazione. E anche l’amore platonico con l’operaio Lorenzo, che è ostacolato proprio dal quel senso di insicurezza invalidante che permea l’esistenza, viene esorcizzato da questo battesimo sociale.
I sogni evocati nel titolo, quelli di Agata e del collettivo, sembrano dissiparsi alla luce accecante della realtà, ma non per venire infranti, bensì per prendere forma e sostanza. La lotta – personale e collettiva – paga, ma la lotta non è finita.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: La fabbrica dei sogni
Autore: Valentina Baronti
Editore: Alegre – Collana Working Class
Anno di pubblicazione: 2024
Pagine: 144 pp.
ISBN: 9791255600152
Prezzo: 13,00€