Se presenta pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute umana, l’attività dell’acciaieria ex Ilva di Taranto dovrà essere sospesa. La valutazione in merito spetta ora al Tribunale di Milano, presso cui molti cittadini di Taranto hanno presentato ricorso per tutelare la propria salute. Lo stabilisce la sentenza emessa oggi a Lussemburgo dalla Corte europea di Giustizia nella causa denominata C-626/22 sull’ex Ilva, che contraddice in modo netto le decisioni prese da diversi governi italiani a partire dal 2012, che hanno prorogato le scadenze per attuare le misure di protezione dell’ambiente e della salute che erano poste come condizioni per proseguire l’attività dell’acciaieria.
La sentenza, si legge in un comunicato della Corte, sottolinea che “in caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, il termine per applicare le misure di protezione previste dall’autorizzazione all’esercizio non può essere prorogato ripetutamente e l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso”.
Inoltre, la Corte Ue ricorda che “in caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all’esercizio dell’installazione, il gestore deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione a tali condizioni nel più breve tempo possibile”.
In tutta evidenza, non è quello che è successo con l’ex Ilva. Varie misure per la riduzione degli effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute causati dagli impianti dell’acciaieria sono state previste sin dal 2012, ma i termini stabiliti per la loro attuazione sono stati ripetutamente differiti.
“Nonostante fosse stato posto in amministrazione controllata nel 2012, lo stabilimento – ricorda la Corte Ue – è stato autorizzato, in base a particolari norme di deroga, a proseguire la propria attività produttiva per un periodo di 36 mesi a condizione del rispetto di un piano di misure ambientali e sanitarie. Il termine per l’attuazione di questo piano è stato poi posticipato più volte, per un periodo complessivo di diversi anni, nonostante l’attività in questione presentasse pericoli gravi e significativi per l’integrità dell’ambiente e la salute delle popolazioni limitrofe”. Inoltre, nota la Corte, la normativa applicata dall’Italia “non subordina il rilascio o la revisione dell’autorizzazione all’esercizio industriale alla valutazione preventiva degli impatti dell’impianto sulla salute umana”.
In questo contesto, circa 300.000 abitanti del comune di Taranto e di comuni limitrofi hanno agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano contro il proseguimento dell’esercizio dell’acciaieria, sostenendo che le sue emissioni nuocciono alla loro salute e che l’installazione non è conforme ai requisiti della direttiva Ue relativa alle emissioni industriali (Direttiva 2010/75/Ue del 24 novembre 2010).
Il Tribunale di Milano ha adito quindi la Corte europea di Giustizia, chiedendo se la normativa italiana e le norme derogatorie speciali applicabili all’acciaieria Ilva, al fine di garantirne la continuità, non siano in contrasto con la direttiva sulle emissioni industriali.
La sentenza di oggi sottolinea anzitutto lo stretto collegamento tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana, che costituiscono obiettivi chiave del diritto comunitario, garantiti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Mentre secondo il governo italiano la direttiva non farebbe alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario, la Corte Ue puntualizza che la nozione di “inquinamento”, ai sensi della direttiva sulle emissioni industriali, include sia i danni all’ambiente che quelli alla salute umana. La previa valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come l’acciaieria Ilva di Taranto “deve quindi costituire un atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio previsti dalla direttiva”.
Inoltre, secondo quanto ha sottolineato il Tribunale di Milano, le norme speciali applicabili all’acciaieria Ilva hanno consentito di rilasciarle un’autorizzazione ambientale, e di riesaminarla successivamente, senza considerare alcune sostanze inquinanti e i loro effetti nocivi sulla popolazione circostante.
Su questo punto, la Corte Ue rileva che il gestore di un’installazione deve fornire, nella sua domanda di autorizzazione iniziale, informazioni relative al tipo, all’entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni che possono essere prodotte dall’attività dell’impianto. Solo le sostanze inquinanti che si ritiene abbiano un effetto trascurabile sulla salute umana e sull’ambiente possono non essere assoggettate al rispetto dei valori limite di emissione nell’autorizzazione all’esercizio.
La Corte Ue afferma quindi che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ilva e dal governo italiano, il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile. Occorre tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti.
Varie valutazioni del danno sanitario redatte negli anni 2017, 2018 e 2021, ricorda il comunicato della Corte Ue, attestano una relazione causale tra i danni alla salute dei residenti nell’area di Taranto e le emissioni dell’acciaieria Ilva, specie con riferimento alle polveri sottili PM10 e all’anidride solforosa (SO2) di origine industriale. Sono stati rilevati anche altri inquinanti connessi all’attività dell’acciaieria, quali il rame, il mercurio e il naftalene, nonché le polveri sottili PM2,5 e PM10.
Nel 2019, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (che non è legata all’Ue, ma veglia sull’applicazione della Convenzione sui Diritti dell’Uomo del Consiglio d’Europa), aveva accertato che l’acciaieria di Taranto provocava significativi effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute degli abitanti della zona.
In un rapporto del gennaio 2022 del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, infine, Taranto è stata inserita tra le “zone di sacrificio”, aree caratterizzate da livelli estremi di inquinamento e di contaminazione da sostanze tossiche, nelle quali le popolazioni vulnerabili ed emarginate subiscono molto più delle altre le conseguenze dell’esposizione alle sostanze pericolose per la salute e per l’ambiente e le violazioni dei diritti umani.