Il 5 giugno 1930, 94 anni fa, il quotidiano francese “L’Intransigeant”, del quale fu corrispondente durante la guerra di Libia Marinetti, che era anche socio dell’editore Leon Bailby, annunciò: “Il villaggio Bagdati (Georgia), ove nacque, sarà presto chiamato Majakovskij”. Il poeta si era suicidato il 14 aprile. Non si sa se la pubblicazione della notizia fu caldeggiata dal futurista italiano in omaggio al collega russo, fatto sta che così l’Occidente apprese di questo cambio di nome. La città, quando la Georgia conquistò la propria travagliata indipendenza dopo il crollo dell’Unione sovietica, tornò alla dizione originale, che ha la stessa radice persiana della capitale irakena e che vuol dire “dato da Dio”.
A questo cambiamento fu dedicato poco rilievo ma la vicenda torna in mente ora che la nazione a cavallo tra Europa e Asia, che diede i natali anche a Stalin, è di nuovo scossa da proteste e manifestazioni, stavolta contro la legge, tacciata di fare un favore a Mosca, che impone alle ong e ai mezzi di informazione finanziati dall’estero, la registrazione come “portatori di interessi stranieri”. Che avrebbe detto l’Internazionalista Majakovskij? Forse, nel suo parossismo creativo, aveva intuito come tutto si sarebbe decomposto e preferì tirarsi un colpo di pistola al cuore. Non voleva assistere al tenebroso ripiegamento della Rivoluzione d’ottobre e al trionfo dittatoriale di una mostruosa burocrazia.
“Ieri, 14 aprile, alle dieci e un quarto di mattina, il poeta Vladimir Majakovskij si è ucciso nel suo studio (in via Lubianski 3). Il giudice istruttore, compagno Syrstsov, ha dichiarato al nostro redattore che, secondo i primi elementi raccolti, il suicidio è stato causato da ragioni strettamente personali che non hanno nulla in comune con l’attività sociale e letteraria del poeta. Il suicidio è stato presieduto da una lunga malattia dalla quale lo scrittore non si era perfettamente rimesso”. Questa la cronaca pubblicata dall’Izvestija il giorno successivo.
Mikhail Koltosov, poi giustiziato dal regime sovietico nel 1940 durante le grandi epurazioni, scrisse, insinuando il dubbio di una messa in scena: “In un piccolo angolo mal areato, gambe e braccia aperte, è disteso anzi trascinato Volodia Majakovskij. La testa è posata di fianco su una tavola del parquet. La bocca è semiaperta, i capelli leggermente scompigliati. Il bianco degli occhi ha un’espressione immobile, sensata…”.
Queste citazioni furono raccolte dal giornalista Vladimir Pozner e poi pubblicate, nel maggio 1959, da “Il Contemporaneo”, la rivista vicina al Pci allora diretta da Antonello Trombadori.
“Non accusate nessuno della mia morte e, per favore, non fate necrologi. Il defunto li detestava terribilmente […] Come si dice, l’incidente è chiuso” (Vladimir Majakovskij). “Ci sono nel mio tavolo 2000 rubli, consegnateli al fisco. Rimettete il resto alle Edizioni di Stato” (V.M.). “Alle ore 18,30 gli scultori K.Lutski e K.Kuscerov hanno modellato la maschera del defunto […] A mezzanotte il corpo di V. Majakovskij viene trasportato nel club della federazione delle associazioni degli scrittori sovietici […] Subito migliaia di persone s’affollano nel vasto cortile, aspettando di essere ammessi davanti alle spoglie del defunto […] L’autista del taxi noleggiato per caso da Kirsanov, apprendendo che quest’ultimo aveva urgenza di recarsi presso Majakovskij morto, lo condusse a destinazione e si rifiutò di essere pagato[ …] La bara tappezzata di velluto rosso e coperta di fiori è situata all’ombra di una grande tela alluttata. Due proiettori si incrociano sul corpo del poeta” (La Gazzetta Letteraria). “Quando io morirò, morirò cantando, anche se morirò in una stanzetta” (V.M.) “Il nome di Majakovskij diventerà ben presto leggendario” (Ilia Selvinski).
“La bara tappezzata di nero e di rosso appare all’uscita del Club. Naviga al di sopra di un mare di teste […] Viene issata su un camion. Di fianco, sulla piattaforma color acciaio, giace una corona confezionata con martelli, con viti e con ventole; il cartiglio dice: “Al poeta metallico una corona metallica” (D.Kalm). “17 aprile 1930. Nome, prenome, patronimico: Majakovskij, Vladimir Vladimirovich. Tempo: ore 7 e 35 minuti” (Libro delle registrazioni del forno crematorio, 942° giorno di funzionamento).
Sempre la Gazzetta Letteraria, nella cronaca del giorno della morte, aveva aggiunto: “Ore 20. I professori dell’Istituto di anatomia prelevano il cervello di Majakovskij per studiarlo. Pesa 1700 grammi. Il peso medio di un cervello umano è di 1300-1350 grammi”. Lui, tempo addietro, aveva chiarito: “Da 28 anni coltivo il mio cervello, non per respirare, ma per inventare le rose”.
Giorgiani, ridate alla triste Bagdati il rutilante nome di colui che mise i calzoni ad una nuvola. Non abbiate paura della poesia, aiuta ad osare l’impensabile. “Spero/ ho fiducia/ che non verrà mai/da me/ l’ignominioso buonsenso” (Frammento, 1930).
Marco Cianca