E’ stato presentato il Rapporto CIDA-Censis “Il valore del ceto medio per l’economia e la società” commissionato da CIDA, la Confederazione Italiana dei Dirigenti e delle Alte Professionalità, durante un convegno tenutosi alla Camera dei Deputati.
Dal rapporto sono emerse numerose criticità sul fronte del ceto medio: da tempo, spiega il rapporto, si assiste a una lenta erosione del ceto medio italiano, ma ora il fenomeno è accelerato, e si rischia di perdere il pilastro della nostra società e il fondamento della nostra economia. Oggi il 60,5% degli italiani si sente di appartenere al ceto medio. Prima ancora che una questione reddituale, essere ceto medio è una condizione di identità e status sociale percepito. Ma se nel passato aureo dello sviluppo italiano essere ceto medio significava sentirsi parte di un movimento collettivo in ascesa, oggi prevale la percezione di un declassamento socio-economico: il 48,8% vive il timore di una regressione nella scala sociale e il 74,4% ha la convinzione di un concreto blocco della mobilità verso l’alto.
“L’obiettivo – come ha spiegato il Presidente di CIDA, Stefano Cuzzilla – è comprendere qual è la percezione del Paese rispetto a quella classe intermedia, né ricca né popolare, che dal “Miracolo economico” in poi ha rappresentato il nostro cuore produttivo, e dare urgentemente voce a quasi metà della popolazione che sta vivendo una fase di “declassamento” e non è adeguatamente ascoltata”.
Questo nuovo periodo è dominato da una paura palpabile del blocco della mobilità sociale “non solo per i redditi più bassi – come specificato da Cuzzilla – ma anche per le fasce di reddito fino a 50.000 euro e oltre, che sono quelle che trascinano consumi e investimenti. A me preoccupa soprattutto questa assenza di speranza nel futuro, se le aspettative calano, se non si crede più di poter migliorare la propria condizione, se si ritiene che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali, sarà il Paese intero a pagare un prezzo altissimo. Solo valorizzando l’impegno nel lavoro, il talento, le conoscenze e le competenze, è possibile riattivare i meccanismi di crescita.”
Secondo il rapporto, ne è convinto il 57,9% degli italiani, per i quali impegno e capacità non sono adeguatamente premiati (54,9% del ceto medio). Inoltre, l’81% pensa sia giusto che chi lavora di più guadagni di più (80% del ceto medio), e il 73,7% ritiene legittimo e giusto che una persona talentuosa e capace possa diventare ricca (75% del ceto medio). Il rapporto mette in luce come l’87,1% degli italiani sia convinto che solo un innesto massiccio e capillare di culture e pratiche manageriali potrà consentire quel salto in avanti di funzionalità che oggi è richiesto al sistema Paese Italia. Per l’82,7% il bravo manager nelle aziende e negli enti è colui che sa trascinare e motivare gli altri. Per l’84,4% degli italiani una più alta efficienza di imprese e Pubblica Amministrazione richiede dirigenti fortemente orientati a premiare i più meritevoli ad ogni livello.
“Bisogna invertire la tendenza che finora ha costantemente privilegiato misure volte all’assistenzialismo attingendo risorse dal ceto medio, principalmente pensionati e lavoratori dipendenti. Si tratta di una sfida strutturale, la stessa funzione del fisco – ha concluso Cuzzilla – andrebbe capovolta, trasformando la leva fiscale: invece che ostacolo, dovrebbe incentivare chi investe, chi crea lavoro, chi eroga servizi, chi ha talento e si impegna. È quello che emerge anche dalla ricerca. Ben l’80,6% degli italiani ritiene che il sistema fiscale dovrebbe premiare chi crea impresa, lavoro, opportunità”.
Emanuele Ghiani