“L’intelligenza come grande forza creatrice” sostenne Salvator Allende nell’intervista che rilasciò a Roberto Rossellini. Allora il riferimento era dedicato alla promozione della dignità umana contro le logiche del profitto. Oggi potremmo ancora fare tesoro di quella frase nel rapporto fra l’intelligenza umana e quella artificiale, oggetto di timori ed al tempo stesso demonizzata ed esaltata.
Soprattutto sul piano delle attività economiche e produttive è del tutto inutile esorcizzare l’avanzata delle tecnologie in quanto essa appare inarrestabile e si estende sempre più a molte delle attività umane. Così come la discussione, pur rilevante, che riguarda il pericolo di creare con gli algoritmi, i robot, le altre forme di A.I. milioni di disoccupati, non è in grado di fornire soluzioni oltre il rigetto istintivo di quanto sta procedendo.
Per chi proviene da esperienze sindacali invece è più utile interrogarsi sugli aspetti che possono essere definiti positivi sul terreno della dignità del lavoro, della riduzione delle diseguaglianze, della penosità delle mansioni, della capacità di attivare altri ruoli ed altri spazi per il lavoro.
Rinchiudersi nell’assioma automatizzare-distruggere lavoro umano può inoltre far perdere di vista una delle caratteristiche principali di questi processi: la velocità, quasi predatoria, a volte, ma per responsabilità di chi li usa, di espansione dei campi di azione della intelligenza artificiale.
Occorrerebbe di conseguenza una ben più continua ed ampia riflessione su tutti gli aspetti del fenomeno che può essere limitato ponendo dei paletti di sicurezza, dimenticando però che il vero problema da affrontare è quello di governarlo e di utilizzarlo senza provocare nuove diseguaglianze sia sul versante del lavoro cosiddetto povero, sia su quella della esclusione sul terreno della conoscenza.
Sarebbe allora importante promuovere un diverso approccio con al centro le valutazioni su come indirizzare, controllare e collegare ai diversi aspetti della vita collettiva questa “intrusione” che non sarà certo temporanea ma cambierà come è sempre avvenuto non solo il modo di lavorare ma anche quello di vivere.
Con le cautele del caso visto che un esperto come Elon Musk ammonisce sul fatto che questa superintelligenza è il più grande rischio cui la nostra civilizzazione si trova a far fronte. In realtà il monito pare diretto a come utilizzare la massa dei dati di cui l’uomo si spoglia…a favore della automazione e che potrebbe offrire un giorno anche la possibilità alle macchine di sconvolgere assetti occupazionali e produttivi, ma forse anche equilibri di sistema politico e culturale.
Basti pensare ad esempio al fatto che taluni lavori impiegatizi sono minacciati da tempo e verranno progressivamente sostituiti da algoritmi e biga data. Così come l’industria e l’agricoltura, l’edilizia ed il commercio saranno investiti dalle conseguenze della introduzione della automazione. Già oggi è una realtà con la quale confrontarsi e che per un Paese impostato soprattutto su piccole e medie imprese, nonché o su una burocrazia lenta e complicata può assumere i caratteri di una involuzione sociale e politica.
A maggior ragione è necessaria una ricognizione in profondità di tutta questa tematica che peraltro evolve rapidamente. Porre nuovamente al centro di ogni ragionamento il tema del lavoro diventa decisivo: un tema che va dunque rapportato all’insieme di valori e di conseguenze pratiche. Vale a dire il lavoro va collegato sia alle tutele dei diritti fondamentali di lavoratrici e lavoratori, sia al rapporto con gli orari, sia alla formazione permanente, sia alla organizzazione delle attività. La conoscenza diventa il perno su cui far ruotare ogni considerazione utile a governare l’introduzione delle nuove tecnologie nei luoghi di lavoro.
Ma vi è un altro campo di indagine che non va trascurato: le potenzialità della intelligenza artificiale sia sul terreno dell’equilibrio ambientale, su quello della salute e della organizzazione sanitaria, nonché su quello della sicurezza sul lavoro che potrebbe avvalersi nella lotta contro gli incidenti mortali proprio delle nuove forme della tecnologia a partire dall’uso, giustamente controllato, di telecamere, robot e droni a fianco della intensificazione di prevenzione e controlli.
Ma si potrebbero fare molteplici altri esempi di positività nell’incontro fra lavoro e tecnologie avanzate. Uno per tutti quello dell’utilizzo da incrementare nella lotta all’evasione fiscale e per una migliore giustizia fiscale. Ed ancora per garantire una conoscenza non obsoleta a fasce sociali, come gli anziani, che sempre più rimangono autori della loro esistenza fino a tarda età.
Per compiere una sorta di fiancheggiamento culturale e “investigativo” sulla intelligenza artificiale non serve però solo una apertura al confronto delle idee e delle “ricette” possibili, ma anche sedi che offrano la continuità indispensabile per non essere sopravanzati dalle ricerche scientifiche e dalle applicazioni conseguenti.
Un ruolo propositivo molto importante potrebbe svolgerlo il Cnel che accoglie le istanze e le proposte di imprese e organizzazioni sindacali, ovvero il cuore delle relazioni industriali nelle quali sempre più peso avrà la presenza della intelligenza artificiale a partire dalla contrattazione.
Perché il Cnel può assolvere ad un compito prezioso e positivo? Perché può elaborare non solo un monitoraggio dell’evoluzione delle tecnologie nel mondo del lavoro, ma offrire modelli condivisi di comportamenti utili a non farsi sopraffare da essa, problema che riguarda e riguarderà sia le imprese che i sindacati.
Senza contare che un contributo essenziale a mantenere il controllo dei processi produttivi e degli assetti sociali in grado di impedire nuove diseguaglianze, non può che favorire anche quella giusta pressione nei confronti dei Governi e dei potentati economici e finanziari che diventa fondamentale per eliminare rischi di conflitti e di nuove povertà nel mondo.
Paolo Pirani
Consigliere CNEL