Premessa sul metodo
Il Governo alla vigilia della Festa del 1° maggio ha varato un nuovo decreto sul lavoro, spinto dalla necessità di spendere al meglio le ingenti risorse provenienti dagli Accordi di coesione e PNRR.
Meglio sarebbe stato distinguere in due provvedimenti diversi: da una parte gli interventi sull’utilizzo dei fondi di coesione e del PNRR e dall’altra le misure a favore dell’occupazione e autoimprenditorialità.
Riteniamo infatti che per stimolare l’occupazione non dovrebbe essere utilizzato lo strumento del decreto-legge, ma occorrerebbe adottare una riforma organica, con un approccio di sistema, che intervenga non per introdurre bonus o voucher temporanei, bensì sull’organizzazione del lavoro nel suo complesso, sull’inserimento di competenze professionali e soprattutto manageriali stabili nelle aziende.
Una riforma organica da adottare con tutti gli attori sociali e che agisca finalmente sulla questione dei salari, che da decenni sono fermi (+1% dal 1991), mentre cresce in tutti gli altri 37 paesi Ocse (32,5%).
Il nostro primo rilievo è quindi sul metodo e sull’approccio. È riduttivo pensare che basti assumere un giovane o una donna, seppure con un contratto a tempo indeterminato, per risolvere le loro difficoltà economiche se non si dà loro la possibilità di perseguire un progetto di vita: poter acquistare un immobile o formare una famiglia, o provvedere al proprio futuro pensionistico iscrivendosi a una forma pensionistica complementare, e con i redditi proposti da questo mercato del lavoro ogni programmazione di vita diventa difficile.
Come si può investire in una famiglia quando la retribuzione di ingresso è di 1200 euro lorde e non si può contare su una progressione di carriera, tant’è che dopo quattro o cinque anni dalla assunzione si percepisce poco più dello stesso salario d’ingresso? Cosa si propone a chi passando da una Regione all’altra non ha certo con questi redditi possibilità di trovare una dignitosa soluzione logistica? Come si può impedire ad un giovane di andare all’estero in presenza di salari così bassi e quindi vanificare tutti gli sforzi (e le tasse) che sono serviti per aiutarlo ad accrescere le sue competenze?
È urgente trovare una soluzione (non con decreto-legge) sulle criticità del lavoro in Italia: l’esistenza di contratti collettivi inadeguati e pirata, l’eccessiva burocrazia, il lavoro sotto inquadrato, il lavoro nero, quello non protetto nei subappalti, il gap salariale tra lavoratori e lavoratrici, la disoccupazione giovanile e femminile etc.
Interventi sui Fondi coesione su PNRR
Fatta questa doverosa premessa, nel decreto Lavoro-Coesione vi sono alcuni aspetti positivi e innovativi.
Relativamente agli interventi della politica di coesione europea è sicuramente apprezzabile l’approccio di unitarietà strategica che si intende conferire. E’ opportuno promuovere il coordinamento degli interventi attuati a livello nazionale con quelli realizzati a livello regionale, promuovendo la complementarietà e la sinergia tra interventi e investimenti previsti dagli Accordi di coesione e PNRR. Siamo altresì d’accordo sull’indicazione degli interventi prioritari e sulla individuazione, per la prima volta, di un meccanismo incentivante per il conseguimento degli obiettivi che premia le amministrazioni capaci di rispettare i tempi, così come siamo d’accordo sul ricorso di poteri sostitutivi da parte delle amministrazioni centrali in caso di inerzia e ritardo.
Misure a favore dell’occupazione stabile
Riguardo alle misure per rafforzare l’occupazione si annuncia che la nuova misura a favore di queste categorie si sommerà alla superdeduzione del 120%, già esistente, omettendo però che questa non è ancora in vigore in assenza del decreto di attuazione. Ci auguriamo quindi che tale decreto venga sollecitamente approvato anche con effetto retroattivo riguardo per le assunzioni dal gennaio 2024. Ancora una volta: che senso ha annunciare delle nuove misure quando poi a metà anno non sono ancora operative? Come si fa a non capire che chi aspetta questi interventi è costretto a posticipare l’assunzione e soprattutto come si impedisce che a goderne siano anche coloro che l’assunzione l’avrebbero comunque fatta?
Siamo innanzitutto contrari alla scelta ancora una volta della decontribuzione, perché questa rappresenta una cambiale in bianco, che dovrà essere pagata dalle solite categorie di quel 13% di lavoratori dipendenti che già sopporta più di altre il peso della pressione fiscale, versando da sola il 63% del gettito Irpef.
A nostro avviso non ha senso introdurre incentivi a pioggia che incentivano le assunzioni in una fase in cui vi è forte carenza di risorse umane. Servono solo per mantenere sul mercato imprese marginali, in settori a scarso o nullo valore aggiunto. Bisognerebbe invece intervenire sul costo del lavoro riducendolo in maniera sostanziosa e permettere alle imprese di investire in lavori ben pagati e di qualità. Solo elevando la qualità del lavoro si favorisce la crescita duratura dei redditi e delle nuove opportunità. Bisogna diventare attraenti per i talenti di tutto il mondo, ora lo siamo solo per specifiche nicchie di eccellenza che non curiamo e non incentiviamo.
Agevolazioni a favore dell’autoimpiego
Le norme relative all’autoimprenditorialità (voucher di avvio in regime “de minimis”, non soggetto a rimborso, utilizzabile per l’acquisto di beni, strumenti e servizi, per un importo che va dai 30.000 euro ai 50.000 euro) portano una innovazione perché consistono finalmente in un contributo diretto all’imprenditore e non un credito d’imposta, che invece sposta in avanti il problema e crea incertezza su entrate e uscite del bilancio dello Stato.
Riteniamo, però, che le agevolazioni per l’autoimprenditorialità non debbano essere previste anche queste generalizzate, perché si rischierebbe di finanziare microaziende che una volta esauriti gli incentivi non starebbero più sul mercato.
Al loro posto sarebbe meglio favorire l’investimento di risparmi privati in iniziative strutturate come per esempio detassare il TFR o gli incentivi all’esodo se reinvestiti in startup innovative, o favorire l’acquisizione di piccole aziende i cui proprietari non hanno eredi.
Favorire aziende, quindi, che hanno dato prova di poter essere competitive o che hanno il potenziale per crescere.
Deficit di competenze
Collegato al problema del salario c’è poi quello delle competenze. Sempre più scarse e ricercate dalle imprese italiane, tanto che i tempi di ricerca ormai stanno creando crescenti costi sociali. Si stima che entro il 2027 il nostro mercato del lavoro avrà bisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori, il 72% dei quali dovranno sostituire occupati in uscita. Per il solo 2022 Unioncamere ha stimato una perdita di valore aggiunto, causata dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro, pari a circa 38 miliardi di euro. Confrontando domanda e offerta, si calcola che nei prossimi 5 anni tali costi potrebbero crescere ulteriormente. Molti di questi costi saranno determinati anche dalla mancanza di figure manageriali, capaci di trainare le imprese sul percorso green, verso l’intelligenza artificiale e di far fronte quindi ai molteplici cambiamenti in atto.
Preoccupante anche il mismatch di competenze dei giovani, per i quali occorre tener conto che non accettano un lavoro qualsiasi ma cercano un lavoro di qualità e flessibile e la condivisione di valori etici con il datore di lavoro.
Per porre rimedio a queste lacune, dovremmo intervenire con modalità innovative sul mercato del lavoro per favorire l’incontro della domanda con l’offerta, pensando a tutto, anche a risolvere con i flussi migratori i lavoratori necessari e a potenziare tutte le misure volte a ottenere una formazione qualificata e allineata alle caratteristiche mutevoli del mondo del lavoro.
Ciò impone, concludendo, un rafforzamento della relazione strutturale fra contesti formativi e attività produttive, soprattutto copiosi investimenti, utilizzando tutte le risorse pubbliche e private.
Riforma Irpef e una tantum per lavoratori dipendenti
Infine, rispetto al nuovo decreto di attuazione della riforma fiscale, sull’Irpef e sull’Ires, approvato sempre il 30 aprile scorso, ribadiamo la nostra netta contrarietà al perpetrarsi dell’esclusione di ogni forma di agevolazione rivolta ai redditi medi.
La previsione di 100 euro lordi (70 euro nette) una tantum non sembra una misura efficace per risolvere le difficoltà economiche dei redditi bassi e ancora una volta non si applica a quelle fasce di reddito che sono state maggiormente colpite in questi anni di crisi economica, ovvero, torniamo ancora li, quei 5 milioni di lavoratori con redditi sopra i 35 mila euro lordi.
La detassazione delle tredicesime per tutti è stata ripetutamente ventilata ma poi viene immancabilmente rimandata, perché la copertura finanziaria che si è deciso di utilizzare (il concordato preventivo biennale) è molto aleatoria, e rischia di diventare una coperta troppo corta. Auspichiamo che il Governo trovi una copertura finanziaria adatta per provvedere ad un alleggerimento, anche graduale, della pressione fiscale su tutti redditi da lavoro.
Massimo Fiaschi, segretario generale di Manageritalia