Nella storia del movimento dei lavoratori, il Primo maggio riporta alla memoria, ad un tempo, immagini di lotte sociali e di impegno per i valori democratici e quest’anno è stato segnato da una pluralità di problemi.
Un primo ordine di problemi è quello del lavoro “povero” e sovente rifiutato, in quanto segnato da basse retribuzioni e dequalificazione professionale, in cui si inserisce l’esigenza di attribuire ai lavoratori autonomi ma economicamente dipendenti – il paradigma è quello dei rider – le stesse tutele del mondo del lavoro subordinato.
Spesso connesso al lavoro “povero”, l’attualità ci propone il dramma delle morti e degli incidenti sul lavoro, che sembra sempre più, purtroppo, una sorta di bollettino di guerra.
E poi, la divisione tra le tre centrali sindacali “storiche”, Cgil e Uil da una parte, e la Cisl dall’altra, a stento mascherata dalla manifestazione unitaria di Monfalcone e dal tradizionale Concertone del I maggio, quest’anno al Circo Massimo a Roma. Una divisione che sembra evocare contrapposizioni sindacali di tipo geopolitico, da anni ’50 del secolo passato al tempo della “guerra fredda” e politiche, come quella conseguente all’Accordo di San Valentino del 1984 tra il governo presieduto dal socialista Bettino Craxi, le associazioni datoriali, Cisl, Uil e minoranza socialista della Cgil, sulla attenuazione della dinamica della scala mobile in funzione anti-inflattiva, che servì per rilanciare l’economia italiana ai vertici mondiali e contro cui si scatenò l’opposizione del Partito comunista, sino al referendum voluto da Enrico Berlinguer e la sconfitta del Pci.
Anche oggi, dietro la contrapposizione tra modelli sindacali, uno conflittuale l’altro collaborativo, senza spazio per le posizioni del riformismo europeo, la divisione appare politica rispetto al rapporto con il governo Meloni, che alla fine indebolisce ulteriormente il mondo del lavoro.
Eppure i temi unificanti non mancano nell’agenda sindacale, come indicati ad esempio dal leader della Confial Benedetto Di Iacovo nel corso della celebrazione della Festa del lavoro a Venatro in provincia di Isernia, a partire dalla digitalizzazione dell’economia e dalla transizione ecologica, per “rigenerare il lavoro” e tutelare la sua dignità.
Servirebbe una nuova unità d’azione sindacale nel pluralismo, oltre gli steccati del ‘900, anche accettando di superare le attuali regole non più attuali in materia di rappresentanza, rappresentatività, per affrontare il tema della efficacia dei contratti collettivi e garantire i principi di libertà e pluralismo sindacali sanciti dall’art. 39 della nostra Costituzione, con una “legge sindacale” fondata sull’equilibrio tra previsione costituzionale, autonomia collettiva e diritto vivente, per governare l’emergenza e il cambiamento, per dare una prospettiva di speranza al mondo del lavoro e alla società italiana.
Il sindacalismo italiano, se intende accettare la sfida dei cambiamenti, deve dotarsi di nuove competenze e interagire con tutti i soggetti che sono produttori di processi di innovazione e di ridefinizione delle regole che sorreggono i modi di produrre, l’economia, la società, che insieme a forme di lavoro dignitoso e regolare richiedono nuovi sistemi di welfare e nuove forme di rappresentanza sociale, politica, istituzionale con una visione culturale adeguata ai cambiamenti in essere.
Ecco, un’agenda per il sindacalismo italiano.
Maurizio Ballistreri, Professore di Diritto del Lavoro nell’Università di Messina