Pochi giorni fa, a Torino, operai, impiegati e quadri di Stellantis e dell’automotive hanno manifestato in difesa della produzione automobilistica nel capoluogo piemontese. Con loro c’erano tutti i sindacati, il sindaco Lorusso, il presidente della Regione Cirio e uno schieramento di associazioni di categoria che comprendeva Camera di Commercio, Unione Industriali Torino, Cna, Api, Coldiretti, Confartigianato, Casartigiani, Lega Coop, Confcooperative, Ascom e Confesercenti.
Mentre l’intera ex-capitale dell’auto italiana scendeva in piazza a ranghi compatti, il ministro dello Sviluppo Economico e del Made in Italy, Adolfo Urso, ingaggiava una battaglia contro quello che viene definito “Italian sounding”, cioè, l’uso di parole, immagini, riferimenti geografici, marchi evocativi dell’Italia per promuovere e commercializzare prodotti esteri. Ossia, nelle parole del ministro, “un’auto chiamata Milano non si può produrre in Polonia. Lo vieta la legge che nel 2003 ha definito l’Italian Sounding, una legge che prevede che non bisogna dare indicazioni che inducano in errore il consumatore”.
Stellantis non ci ha pensato due volte e, martedì 15, ha annunciato che il nuovo suv marchiato Alfa Romeo, anziché Milano, si chiamerà Junior. Tant’è. Mentre, sulla produzione di auto in Italia si addensano nubi assai preoccupanti, il sounding della Nazione è salvo.
La vicenda mi ha ricordato la storia di un’altra vettura. C’è stato un tempo, verso la metà degli anni 50, in cui la Ford tentò di comprarsi la Ferrari. Non ci riuscì e il Drake sistemò il futuro di Maranello con il sostegno dell’Avvocato. Nel ’69 Ferrari entrò a far parte del Gruppo torinese.
Un anno prima, nel ’68, a Detroit nasceva la Ford Torino. Perché Torino era la Detroit d’Italia e il non ancora definito Italian sounding poteva suonare come un non ingannevole omaggio all’auto del nostro Paese.
Nel ’72 ne fu sfornata la versione GT, battezzata Gran Torino. Una sportiva che è entrata nella leggenda. Prima come compagna delle avventure di due dei detective più famosi della storia della tv, “Starsky & Hutch”. I quali sfrecciavano a bordo di una Gran Torino rosso fiammante, guarnita di una ultra-sportiva fascia longitudinale bianca, per le salite e le discese di San Francisco.
Nel 2008 la macchina arriva a dare il titolo a un film, “Gran Torino”, per l’appunto, di Clint Eastwood. È la vecchia e amata vettura, filo conduttore della storia, di un senile misantropo di periferia, che la cura in modo maniacale nel proprio garage.
Storie pre-globalizzazione, senza dubbio, cui non si può guardare con nostalgia. Ma, forse, un pizzico di rimpianto per un tempo in cui a Detroit si produceva la Gran Torino e al Ministero dell’Industria si faceva, per l’appunto, politica industriale, ce lo possiamo permettere.
Vittorio Liuzzi