Martin Mystère abita a New York, civico 3 di Washington Mews, nei pressi del Greenwich Village. Divide l’appartamento con Java, un uomo di Neanderthal incontrato tra le nevi degli inaccessibili monti Hangaj, in Mongolia. Amico inseparabile e compagno di mirabolanti avventure si esprime con un linguaggio gutturale, che solo il suo mentore capisce, ma è molto intelligente ed ha una forza prodigiosa, tale da rivelarsi risolutiva in molte situazioni pericolose.
Antropologo, esploratore, archeologo, scienziato, detective dell’impossibile, il “buon vecchio zio Marty”, come lui stesso ama definirsi, ha una bella fidanzata, Diana, dotata di un invidiabile spirito di sopportazione. E ce ne vuole per non mandare a quel paese un uomo tanto colto, intelligente e generoso quanto pieno di sé, irrefrenabile chiacchierone, accaparratore seriale di libri che mette anche nel frigorifero. Conduce una trasmissione televisiva, i misteri di Mystère, incentrata su fenomeni ai confini della realtà.
“Un entusiasta curioso”, a detta di Alfredo Castelli, il suo creatore: “Ha la rara fortuna di possedere il senso del meraviglioso; per lui ogni cosa – da una piramide perduta nella foresta dello Yucatan ad una fontanella nel vicolo dietro casa, da un prezioso reperto egizio a un giocattolo a molla acquistato in un mercatino- può costituire oggetto di stupore, di riflessione, di stimolo”.
Tutte occasioni per infilarsi in una nuova impresa, tra antiche rovine, vestigia di civiltà scomparse, segreti atavici, pericolosi grimori, formule evocative, saggi tibetani, custodi del deserto, enigmi etruschi, eredità azteche, occultisti medievali, extraterrestri. E rivali senza scrupoli che non cercano la verità ma ricchezze e potere. A contrastarlo, nemici giurati, “gli uomini in nero”, implacabile organizzazione volta ad eliminare qualsiasi scoperta capace di mettere in discussione e minare dalle basi l’attuale assetto costituito. Una sorta di perenne inquisizione.
L’intrigante saga compie proprio in questi giorni quarantadue anni. La prima uscita in edicola risale infatti ad aprile del 1982. Castelli non può festeggiare, è morto due mesi fa, il 7 febbraio, senza grande clamore. Anzi, in un’indifferenza quasi generale. Ora la Bonelli editore, quella di Tex, che pubblica anche gli albi del nostro Mystère, sta cercando di tenerne viva la memoria con ricordi e ristampe. Altri autori, che lo avevano già affiancato, cercheranno di raccoglierne l’eredità. Gli auguriamo buona fortuna ma sarà ardua.
Castelli non era solo un genio del fumetto ma un pozzo di scienza, giornalista, sceneggiatore, saggista, un simil Umberto Eco che operava nei piani bassi della cultura ufficiale: da noi le bandes dessinées non hanno un crisma artistico come in Francia e in Belgio. Eppure, le “nuvole parlanti”, quelle d’autore, oltre a svago e divertimento, offrono sempre intriganti spunti di riflessione e inaspettati elementi di conoscenza.
Anche il padre di Mystère, come la sua creatura, era un bibliomane. Chissà se aveva letto il romanzo del cinese Liu Cixin, “Il problema dei tre corpi”, dal quale ora Netflix ha tratto un’ambiziosa e complicata serie televisiva. Dice ad un certo punto la scienziata Ye Wenjie, alla quale le guardie rosse di Mao hanno ucciso il padre e che per vendetta entra in contatto con alieni pronti a conquistare la Terra: “Stanno venendo a salvarci da noi stessi. Sono gli unici che possono farlo”.
Castelli, al contrario, aveva fiducia nel futuro dell’umanità. “Se c’è una cosa che non tollero, sono gli intolleranti”, era il suo credo. Ci teneva però a mettere in guardia da sempre possibili apocalissi o cataclismi e per questo tornava spesso sul mito di Atlantide e di Mu, che si distrussero a vicenda, dopo una folle corsa ad armamenti sempre più sofisticati e micidiali, sconvolgendo l’intero pianeta.
Con tutto quello che incombe su di noi, anche i fumetti possono aiutarci ad imboccare la strada giusta.
Marco Cianca