La Cgil nazionale, elaborando i dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), ha tracciato un ritratto del nostro sistema carcerario confluito nel rapporto “Articolo 27. I diritti in carcere”, presentato questa mattina a Roma nel corso di un’omonima iniziativa organizzata dalla Confederazione. Secondo quanto emerso, a febbraio 2024 i due terzi degli istituti penitenziari italiani presentano un numero di persone ristrette maggiore dei posti regolamentari, con un tasso di sovraffollamento ufficiale medio del 119% che si colloca tra i più alti in Europa. In Puglia si arriva al 153%, al 142% in Lombardia, 134% in Veneto. A fronte di 51 mila posti regolamentari, infatti, l’attuale popolazione carceraria è di 61 mila persone e il livello insostenibilità della condizione carceraria è evidente, con quasi 10 mila persone ristrette in più rispetto ai posti regolamentari, che salgono però a quasi 14 mila se si considera che i posti effettivamente disponibili, a causa dell’inagibilità e indisponibilità di molti spazi, risultano essere poco più di 47 mila. Condizioni ai livelli record di quindici anni fa, che portarono la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alla sentenza dell’8 gennaio 2013 di condanna dell’Italia per violazione dei diritti umani. Nel 2023, secondo i dati di Ristretti, 69 detenuti si sono tolti la vita in carcere.
“Sovraffollamento, degrado strutturale, spazi invivibili con precarie condizioni igienico-sanitarie, mancanza di attività trattamentali, di opportunità di lavoro e formazione, carenza di risorse e personale. Sono le gravi e croniche criticità del nostro sistema carcerario che la politica securitaria del governo Meloni, espressione di un pericoloso populismo penale, è destinata ad aggravare”. È quanto rileva la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi, intervenendo all’iniziativa. Eppure la nostra costituzione, proprio all’articolo 27, comma 3 cui si richiama il titolo di questa giornata, tutela la condizione dei ristretti in maniera chiara e indefettibile: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Una disposizione evidentemente disattesa.
“Il primo passo per attenuare il sovraffollamento – sottolinea Barbaresi – sarebbe far accedere a misure alternative al carcere coloro che devono scontare pene brevi, prevedere sanzioni sostitutive, sanzioni e misure di comunità, e la depenalizzazione dei reati minori e un minor ricorso alla carcerazione preventiva”: Il 10,3% dei 45 mila detenuti con almeno una condanna definitiva ha davanti a sé meno di due anni di reclusione. Inoltre, sono 16 mila coloro che sono in carcere senza condanna definitiva, numero che fa guadagnare all’Italia la maglia nera tra i Paesi europei.
Ma il sovraffollamento non è l’unico aspetto che rende la situazione critica: spazi fatiscenti, condizioni detentive degradanti e disumane, carceri vetuste con celle spesso non riscaldate o senza acqua calda né doccia, con bagni a vista, dove i detenuti dormono su materassi a terra, strutture con spazi individuali inferiori ai 3 metri quadrati, molti reparti con detenuti chiusi nelle proprie camere di pernottamento anche durante il giorno. Un quadro che favorisce l’insorgere di molte malattie, a partire dal disagio mentale.
Il sintomo più evidente delle criticità delle condizioni detentive è quello drammatico dei suicidi: nel 2023 si sono tolti la vita in carcere 69 detenuti, il numero più alto degli ultimi trent’anni. Ancora più allarmante quello dei primi mesi del 2024: praticamente un suicidio ogni tre giorni.
“Sin dal suo insediamento – sostiene Barbaresi – il Governo Meloni ha intrapreso la strada dell’aumento delle fattispecie di reato e dell’inasprimento delle pene: un paradigma repressivo e regressivo, che ci riporta all’idea arcaica di pene come vendette. Occorre intervenire rapidamente per perseguire concretamente la finalità rieducativa e di recupero che la pena deve avere, nel rispetto della dignità umana e dei valori costituzionali”. Per la dirigente sindacale “vanno garantite, con un investimento sul personale e su tutte le figure professionali necessarie, le attività fondamentali a promuovere il reinserimento sociale, a partire dalle attività lavorative, formative e di istruzione, oltre a garantire il fondamentale diritto alla salute”. Infine, conclude la segretaria confederale della Cgil, “vanno promosse politiche e azioni di contrasto alla marginalità, al degrado, alle condizioni di disagio e povertà con le necessarie politiche sociali, educative, lavorative e sanitarie”.
Elettra Raffaela Melucci