Durante l’assemblea dei rappresentanti e dei delegati per la sicurezza di Cgil e Uil a Firenze si è consumato l’ultimo episodio della rottura già in atto con la Cisl. Una frattura da tempo in atto, il cui inizio si può far risalire allo sciopero di Landini e Bombardieri contro il governo Draghi, che ha visto un crescendo, con scioperi e mobilitazioni separate, da quando è entrato in carica il governo Meloni. L’ultimo round si gioca su un tema non di poco conto, quello sulla salute e la sicurezza, con Landini che si dice dispiaciuto dell’infatuazione della Cisl per un governo che non dà risposte in merito, e Sbarra che lo definisce vittima di un colpo di sole, ribadendo l’autonomia, l’attenzione un atteggiamento anti demagogico della sua confederazione davanti a una materia così importante. Anche dopo il tragico crollo del cantiere di Firenze non c’era stata una risposta compatta da parte del mondo sindacale.
Una divisione che non fa bene al sindacato e al mondo del lavoro. L’ordine sparso con il quale si muovono Cgil e Uil da un lato e Cisl dall’altro non fa che alimentare il disinteresse della politica verso i corpi intermedi. Una spirale non positiva, soprattutto con una certa parte del mondo politico. E quindi non ci si deve tanto meravigliare se questo governo, dai tavoli con il ministero del Lavoro alla composizione del Cnel, dia spazio ad associazioni poco rappresentative, o che i gli incontri con l’esecutivo siano definiti una farsa, soprattutto da Cgil e Uil, perché convocati quando le decisioni sono già prese. Con le tre principali sigle impegnate in un’inutile zuffa, la politica, specie quella espressa da questo governo, poco incline al dialogo, ha gioco facile nel delegittimare il ruolo e l’azione del sindacato.
Eppure un sindacato unito non potrebbe far altro che bene. Le sfide che attendono il mondo del lavoro sono tante e complesse. Siamo in piena attuazione del Pnrr e le transizioni green e tecnologica sono ormai delle realtà. Tutto questo non potrà che non avere delle ripercussioni sul tessuto produttivo. Si perderanno posti di lavoro, perché ormai superati e non più necessari, e nuovi vedranno la luce. Un cambio epocale da governare attraverso la formazione, per aggiornare le competenze dei lavoratori, e con strumenti di accompagnamento alla pensione per quelle fasce di lavoratori non più formabili. Certo a tutto questo sta già pensando la contrattazione che si fa al livello delle categorie, con accordi e rinnovi molto avanzati. Ma va ricordato che non tutti i settori hanno la stessa forza.
Per questo avere un sindacato confederale unito può solo che giovare. Le transizioni e i cambi di paradigma che stiamo vivendo necessitano di politiche lungimiranti, che non guardino solo alla prossima scadenza elettorale. Un sindacato confederale compatto può avere la forza per esigere un posto al tavolo, per dire la sua quando i giochi non sono ancora conclusi. Anche perché un sindacato confederale forte può veramente indicare, insieme alla politica, la strada da seguire per il mondo del lavoro, e sempre con la politica gestire il declino demografico del paese, che si tradurrà in meno lavoratori, meno competenze e messa in crisi della tenuta dello stato sociale.
Non sappiamo come andrà a finire, ma non sembrano esserci segnali per una imminente riappacificazione. La Cisl sta ribadendo con forza la sua autonomia da qualsiasi condizionamento e la volontà di sedersi attorno a un tavolo con chiunque. Cgil e Uil, invece, non arretrano dalla loro azione sindacale e politica, non insensibile, al colore del governo. Ma anche qui non sappiamo quanto durerà questo matrimonio. Il sindacato di Landini ha annunciato l’avvio di una stagione referendaria su vari temi, dalle riforme costituzionali al mondo del lavoro. La Uil la seguirà?
Tommaso Nutarelli