Oggi e domani, due giornate di sciopero dei redattori dell’Agi, l’Agenzia giornalistica Italia. Per essere precisi, l’astensione dal lavoro è scattata dalla mezzanotte di mercoledì 20 marzo e si prolungherà fino alle ore 23:59 di venerdì 22 marzo. Lo ha annunciato, ieri sera, un comunicato del Comitato di redazione della stessa Agi, specificando che lo sciopero è stata proclamato dal Cdr “in applicazione del mandato conferito all’unanimità dall’Assemblea dei redattori”, svoltasi lunedì 18 marzo.
Perché un’iniziativa di lotta così dura? Il comunicato, che è stato diffuso dall’Associazione Stampa Romana, spiega che la decisione è stata assunta dopo che era stata “constatata l’assenza di una tempestiva risposta ufficiale da parte dell’Azienda sul futuro assetto proprietario dell’agenzia”. Infatti, “nonostante le formali richieste di chiarimento sulle ipotesi di vendita”, richieste “avanzate prima tramite il comunicato dell’Assemblea dei redattori, e poi attraverso la richiesta formale di un incontro urgente presentata dal Cdr”, finora “l’Azienda non ha fornito alcuna risposta”, né ha ritenuto di doversi confrontare “con l’organismo sindacale interno”.
Cos’è, dunque, che ha tanto allarmato i redattori dell’Agi? Il comunicato, su questo punto, è inizialmente piuttosto asciutto. Infatti, si limita a citare le “insistenti indiscrezioni e notizie sulla possibile vendita dell’Agenzia” che, effettivamente, circolano almeno da qualche giorno. Ma su questo torneremo dopo.
Al di là delle voci citate, il comunicato parte da un più solido terreno sindacale, relativo alle relazioni fra dipendenti e proprietà dell’Agi. Infatti, sempre secondo il comunicato, le indiscrezioni di cui sopra sono arrivate “poche settimane dopo la firma, avvenuta il 2 febbraio scorso, dell’accordo tra Cdr, Azienda e Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana) sulla procedura di isopensione, destinata a determinare entro l’anno una sensibile riduzione dell’organico”. Un accordo, spiega ancora il comunicato, che “è stato approvato con grande senso di responsabilità da parte dell’Assemblea dei redattori”, e cui “si era arrivati anche dopo le rassicurazioni verbali fornite dai vertici aziendali sull’assenza di trattative in essere per una vendita”. Un’assenza “sottolineata dalla presenza di un piano strategico 2024-2027 volto ad ‘implementare la strategia di trasformazione in una news company”.
Ora, si sa, il sindacalese è un gergo che presenta sempre delle difficoltà di lettura. E ciò, tanto più quando si intreccia con un altro gergo, il temibile aziendalese. Ma, letto e riletto questo testo, certamente un po’ spigoloso, quel che par di capire è che il Comitato di reazione, assieme alla Fnsi, cioè al sindacato nazionale dei giornalisti, aveva accettato quella che, in prospettiva, si presentava come una riduzione dell’organico – ottenuta per via di alcuni pensionamenti -, in cambio di rassicurazioni sul futuro editoriale dell’Agi.
A questo punto, il comunicato ricorda che l’editore dell’agenzia di stampa, ovvero l’Eni, nel corso degli anni si è dimostrato “capace di salvaguardare i livelli occupazionali e di garantire sempre l’indipendenza e l’autonomia dei giornalisti”. Ma, e qui si arriva finalmente al punto del contendere, tutti questi elementi “sarebbero fortemente a rischio nello scenario prospettato di vendita al gruppo editoriale Angelucci”.
Dopo aver ricordato che l’Agenzia Italia “è da oltre 70 anni un punto di riferimento dell’informazione italiana e ha sempre assicurato un notiziario di qualità e pluralista”, il comunicato si conclude cambiando tono, ovvero passando da un terreno strettamente relativo ai livelli di occupazione interni a un’azienda editoriale, a considerazioni che, passando dalla politica industriale relativa al settore dell’editoria, arrivano a più ampie questioni di democrazia. Riferendosi alle voci relative ai rapporti fra l’Eni e la parte editoriale del gruppo Angelucci, il comunicato si conclude, infatti, affermando che “in questa possibile compravendita, riteniamo sia in gioco la garanzia del pluralismo dell’informazione del Paese: un’agenzia di stampa, fonte primaria di informazione, è infatti per sua natura pluralista e imparziale”.
Fin qui il comunicato sindacale. Comunicato cui sarà forse opportuno aggiungere qualche nostra considerazione.
Prima considerazione. Una riduzione di organico perseguita attraverso pensionamenti, e richiesta da un’azienda a fronte dell’assunzione di un suo nuovo piano strategico, in determinate condizioni può essere considerata, anche da un’organizzazione sindacale, come uno strumento di rafforzamento delle prospettive industriali dell’azienda stessa. Ma qui, nel presente caso dell’Agi, par di capire che gli organismi sindacali dei giornalisti si sono sentiti come presi in giro; e ciò perché la prospettiva connessa al cambio di editore potrebbe essere radicalmente diversa: ovvero quella di un alleggerimento dell’organico volto a favorire un processo di concentrazione editoriale.
Seconda considerazione. Perché parliamo di concentrazione editoriale? Perché, come è ampiamente noto, il gruppo Angelucci si articola su due rami. Da un lato, il ramo su cui l’azienda è nata e si è via, via sviluppata, fino a trasformarsi in un tronco piuttosto robusto: quello della sanità privata. Dall’altro lato, il ramo innestatosi, successivamente, su quel medesimo tronco: quello dell’informazione.
Ora qui va precisato che, formalmente, non esiste un gruppo editoriale Angelucci. Esiste la famiglia Angelucci cui, anche se in termini e con modalità diverse, fanno capo ben cinque quotidiani cartacei: i milanesi Il Giornale e Libero, il romano Il Tempo, e i laziali Corriere di Rieti e Corriere di Viterbo. Alla famiglia Angelucci fa poi capo anche una società attiva nel campo dei servizi di promozione e marketing per l’editoria, denominata Gruppo Editoria Italia.
Come è anche altrettanto noto, da un punto di vista politico-culturale le testate citate sono tutte schierate sul lato destro del nostro spettro politico. E si fanno notare anche per il loro sostegno all’attuale Governo. Tanto che il direttore di una di queste testate, ovvero di Libero, Mario Sechi, giornalista peraltro molto stimato, l’anno scorso è stato per qualche mese a capo dell’Ufficio stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri; per poi assumere, in settembre, la direzione del quotidiano milanese.
Terza considerazione. In democrazia, non c’è niente di male se un quotidiano palesa una sua specifica connotazione politica. Per le agenzie di notizie, però, la cosa è diversa. La loro credibilità si basa fortemente sulla loro, certo relativa, indipendenza.
Quarta considerazione. L’Agenzia Italia è sempre stata un fiore all’occhiello della stampa italiana. Non solo, è anche stata un fiore all’occhiello per l’Eni, l’Ente nazionale idrocarburi fondato, nel lontano 1953, da Enrico Mattei. Ma adesso stiamo vivendo uno strano periodo, in cui si ha l’impressione che il Governo guidato da Giorgia Meloni tenda a fare cassa, vendendo vari gioielli di famiglia, ovvero vari soggetti produttivi di proprietà pubblica o semi pubblica.
A occhio e croce, pare quindi di poter dire che l’iniziativa assunta dai Comitato di redazione dell’Agi dovrebbe essere seguita con attenzione non solo da chi si interessa alle vicende sindacali, ma anche da chi segue le più ampie vicende industriali relative al mondo dell’informazione, nonché le più ampie vicende politiche del nostro Paese.
In serata è poi uscito un comunicato dell’Associazione Stampa Romana che, oltre a dichiarare che l’associazione stessa si considera “accanto ai colleghi dell’Agi”, rileva che, al momento, non vi è ancora stata “nessuna smentita delle insistenti voci” relative a “una trattativa per la cessione dell’Agenzia di stampa al gruppo di Antonio Angelucci, parlamentare della Lega, da parte del colosso energetico controllato dal suo maggiore azionista, il ministero del Tesoro, di cui è titolare Giancarlo Giorgetti, anche lui della Lega”.
Il comunicato della Asr si conclude rilevando che le “circostanze” di questa “singolare” vicenda “richiederebbero trasparenza”.
Fernando Liuzzi