Diceva Carlo Marx che la storia si ripete sempre due volte, la prima in forma di dramma e la seconda in forma di farsa. Ecco, oggi nel mondo della politica italiana le due forme di sommano e si confondono, tanto che non è facile distinguere il dramma dalla farsa. Il primo è la guerra, anzi le guerre che ci circondano, gli immigrati che muoiono in mare per cercare di arrivare in Italia, il lavoro che manca, gli stipendi troppo bassi per poter vivere e così via. La seconda, ossia la farsa, è lo spettacolo che stanno dando di sé stessi i due schieramenti politici, quello di maggioranza e quello di opposizione. Se la penultima recita riguarda il centrosinistra, con le sue pretestuose spaccature che rendono impossibile un’alleanza politico-elettorale oggi in Basilicata, domani in Piemonte e molto probabilmente anche alle elezioni politiche quando ci saranno (a meno di colpi di scena per ora imprevedibili), l’ultima rappresentazione è tutta opera della destra. Che però, al contrario del centrosinistra governa e dunque ha dalla sua parte la forza del potere, che alla fine dei conti è un mastice così tenace da consentire di rincollare anche i cocci più frantumati e dispersi.
Tuttavia, è evidente quanto sia grottesco il comportamento del vicepremier nonché ministro nonché leader della Lega Matteo Salvini, il qualche è riuscito a sostenere che quando il popolo vota ha sempre ragione. Sembrerebbe un’ovvietà ma non lo è se si sta parlando di un popolo, quello russo, che non può votare liberamente grazie alla sostanziale dittatura esercitata da Vladimir Putin, alla mancanza di candidati alternativi, al terrore di finire in galera o magari uccisi se solo si prova a contestare il Presidente. Però il capo leghista tutto questo fa finta di non saperlo e spara la sua ennesima cazzata che ovviamente mette in imbarazzo il governo, la stessa premier Giorgia Meloni che a favore dell’Ucraina si è schierata come un sol uomo, quasi tutta la maggioranza, una buona fetta del suo stesso partito e l’intera Europa (tranne il leader ungherese Viktor Orban). Ma non basta tutto questo a Salvini, ha sentito anche il bisogno irrefrenabile di attaccare a testa bassa Ursula von der Leyen, attuale presidente della Commissione europea e al momento alleata di Meloni: un attacco dunque mirato anche alla sua premier per interposta persona, e proprio alla vigilia del Consiglio europeo.
Ora tutto questo l’abbiamo visto in diretta e letto sui giornali, così come abbiamo notato che la premier si è ben guardata dal rispondere al suo vicepremier, buttando la palla in tribuna e attaccando le opposizione nel suo discorso in Parlamento, dove Salvini non si è neanche presentato adducendo motivi poco credibili. Ma quello che non abbiamo visto e che non si riesce ancora a capire è quale sia la strategia del capo leghista, sempre che lui ce l’abbia una strategia. Certo, siamo in campagna elettorale, in cui come in guerra e in amore tutto è lecito, dunque tutti devono cercare di racimolare più voti possibili, soprattutto a danno dei propri alleati visto che gli elettorati sono contigui. Ma una volta che le urne delle europee si saranno chiuse e la Lega con ogni probabilità non arriverà nemmeno al 10 per cento, magari superata dalla Forza Italia di Antonio Tajani, che farà il capo leghista? Si dimetterà da tutti i suoi incarichi, lascerà il governo e il partito, oppure tenterà un altro colpo di mano come fece nell’agosto del 2019, quando aprì la crisi del governo giallo-verde invocando i pieni poteri per sé stesso?
Non lo farà, il suo potere contrattuale non glielo consentirebbe, i suoi parlamentari sono pochi e la maggioranza di loro non ha nessuna intenzione di restare fuori dai giochi. Inoltre, non mancano coloro che potrebbero aiutare Meloni nel momento del bisogno, magari astenendosi o addirittura votando a favore della fiducia al governo. Parliamo dei partitini di Matteo Renzi e Carlo Calenda, che già stanno facendo le prove generali di alleanza con la destra come in Basilicata.
Insomma, oggi Salvini sembra un insetto chiuso in una campana di vetro che tenta di uscire ma sbatte da una parte all’altra e lì dentro rimane. E ci rimarrà fino a giugno, ossia fino alle elezioni europee. I conti si faranno dopo, naturalmente sulla base dei risultati ottenuti dai vari partiti. E qui c’è da fare una considerazione finale: in base agli ultimi sondaggi le forze di maggioranza potrebbero ottenere al massimo il 45 per cento dei voti, e quelle di opposizione più o meno lo stesso. Dunque la partita sarebbe tutta da giocare, ammesso che i giocatori in campo – parliamo di quelli del centrosinistra – intendano giocarla.
Riccardo Barenghi