Uno degli aspetti più interessanti delle elezioni regionali svoltesi recentemente in Abruzzo, è sicuramente rappresentato dal risultato conseguito dalla lista di Forza Italia. Tale lista, infatti, con 77.841 voti, pari al 13,4%, si è piazzata al terzo posto assoluto, nonché al secondo posto nell’alleanza di centro-destra.
Sopra a Forza Italia, troviamo, anche se a una certa distanza, solo Fratelli d’Italia, con i suoi 139.578 voti (24,1%) e, a ridosso di questa lista, il Partito Democratico, con i suoi 117.497 voti (20,3%). Specularmente, per trovare la quarta lista, bisogna scendere di più di 30 mila voti. La quarta casella, in senso assoluto, è infatti occupata dalla lista Abruzzo Insieme (la seconda dell’alleanza di opposizione), che ha conseguito 44.353 voti (7,7%).
Ancora sopra i 40 mila voti, troviamo al quinto posto assoluto (terzo del centro-destra) la filiazione locale della Lega di Salvini (Lega Salvini Abruzzo), che si è dovuta accontentare di 43.816 voti (7,6%), mentre al sesto posto assoluto c’è il Movimento 5 Stelle, con appena 40.629 voti (7,0%).
Piccole o piccolissime cifre, si potrebbe dire, e per di più conseguite in un’elezione locale. Insomma, un risultato troppo contenuto, da un punto di vista quantitativo, e troppo eccentrico, da un punto di vista qualitativo, per ricavarne qualche significato nazionale.
Io, però, penso esattamente il contrario. Penso cioè che, dopo le elezioni abruzzesi, bisognerà guardare alla Forza Italia di Antonio Tajani con rinnovato interesse. E ciò per vari motivi.
Innanzitutto, direi che, dal punto di vista delle classifiche elettorali, ci troviamo, ormai, di fronte a un trend non solo positivo, ma anche abbastanza netto. Infatti, nell’ambito del centro-destra, Forza Italia si sta ormai configurando come il secondo partito, dietro a Fratelli d’Italia, ma sopra alla Lega, e non di poco. Tanto che sia in Sardegna, dove si è votato il 25 febbraio, che in Abruzzo, dove si è votato dopo appena due settimane, e cioè il 10 marzo, Forza Italia ha quasi doppiato la Lega. Nell’isola, il partito di Tajani ha preso 43.171 voti (6,3%), contro i 25.609 (3,7%) di quello di Salvini. In Abruzzo, come si è già visto, Forza Italia ha avuto 77.841 voti (13,4%), contro i 43.816 (7,6%) della Lega.
Risultati elettorali a parte, c’è però anche qualcosa di più profondo che ci obbliga a dedicare alla nuova Forza Italia una maggiore attenzione di quella che gli è stata data nei primi mesi successivi alla morte di Silvio Berlusconi. E questo qualcosa ha un nome e un cognome: quelli di Antonio Tajani.
Al momento della scomparsa di Berlusconi, molti – fra cui il sottoscritto – hanno pensato che la sua creatura politica, ovvero Forza Italia, non avesse un grande futuro davanti a sé. E ciò per due motivi. In primo luogo, il declino di Forza Italia era cominciato ben prima del giugno dell’anno scorso. Da un lato, c’era il progressivo esaurimento della forza attrattiva dell’originale progetto politico berlusconiano, dopo quasi un trentennio dalla sua fondazione (1994). Dall’altro, almeno apparentemente, stava un fatto che molti imputavano al Cavaliere, ovvero quello di non aver saputo, o voluto, costruire la figura di un suo successore che potesse sia ereditarne, che proiettarne in avanti, il lascito politico.
Ammetto di aver cominciato a cambiare idea solo in tempi molto recenti. E, precisamente, alla fine della settimana che ha immediatamente preceduto le elezioni in Sardegna. In quei giorni, da venerdì 23 a sabato 24 febbraio, si è infatti tenuto a Roma il Congresso nazionale di Forza Italia, quello che si è concluso con la plebiscitaria riconferma di Tajani nell’incarico che aveva assunto il 15 luglio dell’anno scorso, ovvero nell’incarico di Segretario nazionale del partito.
Ebbene, anche in questa occasione Radio Radicale ha assolto alla preziosa funzione di servizio pubblico che si è autoassegnata. Un po’ in diretta, e un po’ in differita, ho così potuto ascoltare comodamente da casa diversi e successivi passaggi di questo dibattito congressuale. E mi sono fatto l’idea che Forza Italia non sia più quell’incerto aggregato, sopravvissuto a un tempo che fu, che avevo immaginato tra me e me, ma si stia trasformando in una realtà politica rappresentativa di un’Italia poco conosciuta, provinciale e profonda. Un’Italia, ancora, laboriosa, moderata, bisognosa di essere rassicurata rispetto ai minacciosi orizzonti che ci circondano, ma anche vogliosa di operare nel privato per migliorare le proprie prospettive personali e familiari.
Insomma, mi sono fatto l’idea che Tajani abbia capito, con prudente realismo, che Berlusconi era ed è una figura assolutamente inimitabile. E comunque, non per lui imitabile, visto che l’uomo Tajani è lontanissimo dall’uomo Berlusconi. E dunque, niente studi televisivi, niente riflettori, niente cerone, niente battutacce, niente stadi di calcio, niente predellini, niente culto della propria personalità, niente folle osannanti. Soprattutto, niente Olgettine e niente “lettone di Putin”. Soprattutto nessuna ammiccante giustificazione della sciagurata invasione russa dell’Ucraina. Ma anzi, un certo qual dignitoso perbenismo, un solido rapporto col Partito Popolare europeo, e quindi anche un solido ancoraggio politico occidentale, da un lato europeista e, dall’altro, atlantista.
Il che non significa, nel modo più assoluto, un ingrato allontanamento dalla figura di Silvio Berlusconi. Figura cui, anzi, Tajani rimane prontissimo a porgere reiterati omaggi. Omaggi che, peraltro, sono risultati molto graditi dalla platea dei congressisti. Ma ognuno è sé stesso. E quindi Tajani non prova mai, neanche per sbaglio, ad azzardarne una qualsivoglia imitazione. Semmai, l’operazione è inversa. Perché, attraverso un silenzioso lavoro volto a stabilire un calibrato rapporto con i famosi e agognati “territori”, la nuova Forza Italia appare pronta ad accogliere e a lasciar spazio, staremmo per dire, al “Berlusconi che è in te”, ovvero ai mini giovani Berlusconi che albergano negli animi, nei sogni e nelle volontà di tanti giovani professionisti e piccoli imprenditori di provincia. Figure appartenenti a quei settori sociali che il Pci, nel suo linguaggio politico, chiamava, con evidente interesse, “ceti medi produttivi”, e che gli operaisti dei tardi anni 60 del Novecento chiamavano, con esibito disprezzo, “bottegai” o “padroncini”.
Ecco dunque l’entusiasmo dei tanti delegati dal nome ignoto, che raccontano con orgoglio ciò che stanno facendo in quella tal Regione o in quel tal Comune. Pronti a irridere “la sinistra”, ma anche a prendere le distanze dagli eccessi leghisti o dai conformismi dei fratelli e delle sorelle d’Italia. E soprattutto, pronti a esprimere la loro riconoscenza a Tajani, cioè all’uomo che ha saputo rapidamente trasformare il loro scoramento in una nuova speranza.
Tutto ciò, lo ripetiamo, ci obbliga e ci obbligherà a dare una maggiore attenzione alla nuova Forza Italia. Che non è più la Forza Italia corsara di Silvio Berlusconi, e non è ancora una nuova Dc. Anche se ha già stabilito, da un lato, promettenti rapporti di vicinanza con la Cisl di Luigi Sbarra, e, dall’altro, solidi legami col Partito Popolare europeo di Manfred Weber.
Una maggiore attenzione, dunque, volta, innanzitutto, a monitorare le conseguenze che questa auspicata e, almeno in parte, già ritrovata centralità del partito ormai guidato da Antonio Tajani avrà sui due lati del nostro teatro politico.
Dal lato destro, lo si è già visto, questa ritrovata centralità ha già cominciato a dare un concreto contributo al ridimensionamento della Lega di Salvini, che appare ormai relegata al ruolo di terza gamba dell’alleanza guidata da Giorgia Meloni. Anche se, per adesso, è troppo presto per immaginare quali conseguenze tale ridimensionamento potrà avere sia nell’insieme del centro-destra, che all’interno della stessa Lega.
Ma, cosa meno prevedibile fino a pochissimo tempo fa, con ogni probabilità la nuova vitalità di Forza Italia appare destinata ad avere effetti significativi anche sul cosiddetto centro dello schieramento politico, ovvero sull’ex Terzo Polo.
Infatti, come è ampiamente noto, sia Italia Viva di Matteo Renzi che Azione di Carlo Calenda sono nate avendo in mente qualche pensierino riguardo alla declinante Forza Italia dell’ultimo Berlusconi. Calenda, anzi, era stato più lesto di Renzi, offrendo rifugio, già nell’estate del 2022, a figure significative che, come Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, lasciavano Forza Italia in polemica con lo stesso Berlusconi. Adesso, però, il più veloce è stato Renzi che già domenica 10 marzo, dalla Leopolda, ha aperto preventivamente il fuoco contro la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. E ciò, a prima vista, perché quest’ultima si è mostrata troppo amica di Giorgia Meloni; ma forse, anche per differenziare nettamente Italia Viva dal Partito Popolare Europeo di cui von der Leyen è esponente di spicco.
Sia come sia, il buon avvio dell’operazione di rivitalizzazione di Forza Italia intrapresa da Antonio Tajani costituisce un brutto colpo sia per Renzi che per Calenda. I quali, fra l’altro, non sono ancora riusciti a profittare dell’occasione che, in vista delle elezioni europee, è stata loro generosamente offerta da Emma Bonino. Quella di dar vita a una “lista di scopo” europeista che potesse consentire ai loro partiti, come a +Europa, di superare, tutti insieme, la soglia di sbarramento posta al 4%.
Adesso, a breve, c’è quindi il rischio che Forza Italia, invece di cedere parte del voto moderato ai partiti dell’opposizione più vicini al centro, riesca, al contrario, a catturare parte del voto neo-centrista, convogliandolo verso l’area conservatrice. Ovvero verso un’area che, in Italia, sostiene il Governo guidato da Giorgia Meloni, mentre, nel Parlamento Europeo, potrebbe rompere con i socialisti e finire per allearsi con la destra-destra. Il seguito, come si dice in questi casi, alla prossima puntata.
@Fernando_Liuzzi