La Cgil ha recentemente deliberato il lancio di una stagione referendaria volta ad abrogare una serie di articoli legislativi in materia di lavoro.
La scelta, del tutto legittima, segna però una rottura con la tradizione del sindacalismo confederale italiano. Dalla promulgazione della Costituzione italiana, il 27 dicembre 1947, i Sindacati confederali non hanno mai utilizzato quanto disposto dall’art. 71 della Costituzione. In occasione del famoso Referendum “sulla scala mobile” lo stesso, non fu promosso dalla Cgil, anzi, Luciano Lama si mostrò particolarmente scettico sulla decisione del Pci di ricorrere alle urne.
Le ragioni di questo scetticismo furono molto “sindacali”; qualunque sarebbe stato l’esito della consultazione, il sindacato italiano, quello confederale, ne sarebbe uscito irrimediabilmente spaccato, per lungo tempo diviso e debole.
Fu una facile profezia. Come, altrettanto facile fu prevedere, a seguito del referendum promosso da Rifondazione Comunista per l’abrogazione dei criteri di rappresentanza contenuti nella formulazione originaria dell’art.19 dello Statuto dei Lavoratori, l’esito della proliferazione di una “finta rappresentanza sindacale” che avrebbe poi favorito, nel tempo e non poco, la diffusione dei c.d. “contratti privati”.
In assenza di un qualsiasi criterio di rappresentatività non restava altro che l’applicazione del Codice civile in materia di contratti tra privati.
Non più fortunata sorte ebbe il referendum del 2003 per l’abrogazione dei limiti previsti dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori in materia di reintegra del lavoratore a seguito del licenziamento individuale; il quorum non fu nemmeno raggiunto. Nel 2017 la Corte Costituzionale dichiarava inammissibile il referendum proposto dalla Cgil denominato “abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi” volto ad abrogare quanto previsto dal c.d. Job Act su tali aspetti. Insomma la “via referendaria”, in materia sindacale, come quella per l’inferno, è sempre lastricata di buone intenzioni ma di scarsa efficacia risolutiva.
Forse non è un caso che i padri nobili del sindacalismo confederale non ne abbiano mai subita la fascinazione. Il vero problema è che questa via, sembra più facile, ma ha molte contro indicazioni. Se il Referendum non raggiunge il quorum, il rischio è che la materia, sottoposta alla consultazione popolare, non sia nemmeno considerata di interesse nazionale, con tutte le conseguenze del caso, anche per il ruolo di rappresentanza del Sindacato. Se invece il quesito venisse bocciato, il rischio è che anche la contrattazione collettiva incontrerebbe ostacoli ancora più significativi per rimuovere quanto considerato inaccettabile. Se il quesito vincesse, non essendo possibile “il vuoto legislativo” il rischio è che la confusione normativa potrebbe determinare addirittura degli effetti indesiderati, come successo con l’abrogazione di parte dell’art. 19 dello Statuto in materia di rappresentanza sindacale. Vedremo, quando saranno più chiari i quesiti posti dalla Cgil, quali saranno i rischi ad essi connessi. Per ora sarebbe utile ricordare quanto scriveva Macchiavelli “ Trista gente è quella di un popolo che segue lo sbattere di bandiere e stendardi piuttosto che le idee ben masticate”.
Luigi Marelli