È molto probabile che anche le nuove norme varate dal governo per combattere la piaga delle morti sul lavoro non riusciranno ad avere l’impatto sperato. I sindacati e le imprese hanno subito espresso un giudizio molto negativo e sono loro, che operano nel campo, a sapere cosa funziona o cosa no, quale deterrente possa avere effetto, quale no. Che si siano pronunciati negativamente è un segnale che non va sottovalutato. Ed è allora molto probabile che continueremo ad avere i mille morti sul lavoro che ogni anno dobbiamo contare.
Mille morti non sono pochi, sono la metà degli abitanti del paese in cui vivo. È vero che vivo in un paese piccolo, ma mille l’anno significa tre morti al giorno. Ogni giorno dobbiamo portare la croce di tre lavoratori che non tornano a casa. Nicola Rossi, che è un econometrista, oltre che un politico di lungo corso, parla di una maledizione e viene da pensare che sia proprio questo, una maledizione, una sciagura che non sappiamo, forse non possiamo evitare. Ma la laicità che ci caratterizza non accetta questa lettura, anche perché ci viene in aiuto il ricordo di tanti anni fa. Negli anni Sessanta e Settanta si contavano tre-quattromila morti l’anno. Una cifra altissima, contro la quale a un certo punto si decise di intervenire. Vennero le leggi a difesa dei lavoratori, primo lo statuto dei lavoratori, la sicurezza diventò un obbligo, una necessità. L’effetto fu importante, quel numero terribile crollò, ma da allora non è accaduto più nulla, la cifra degli incidenti mortali è rimasta inchiodata al numero mille.
Dovremmo riprendere allora quell’entusiasmo che tanti anni fa riuscì ad avere effetto. Il problema è come riuscirvi, perché non si riescono a vedere i nemici da combattere e sconfiggere. Dietro quelle morti ci sono certamente atteggiamenti poco consapevoli del pericolo che si corre, leggerezze di chi dovrebbe fare delle cose che non fa, sottovalutazioni dei corsi antinfortunistici che si dovrebbero seguire e spesso si disertano, avidità mai sazie che spingono allo sfruttamento delle persone, spesso dei più fragili. Negligenze forti, colpevoli, ma un nemico vero, individuabile, non emerge.
Per questo credo che ci serva un cambiamento radicale di mentalità. La piaga degli incidenti sul lavoro non deve essere un terreno sul quale occorre prendere alcuni provvedimenti che, tra bastone e carota, convincano gli operatori, i lavoratori e le aziende, ad avere maggiore attenzione agli obblighi di legge. Deve diventare un asset principale del ragionamento della classe dirigente. Occorre che tutte le decisioni tengano conto di questo obbligo verso chi lavora.
Non è facile come potrebbe sembrare. Viene in mente lo slogan che usava Giorgia Meloni nella sua campagna elettorale prima delle politiche di fine 2022, quando affermava che non avrebbe messo bastoni tra le ruote di chi investe e intraprende. Affermazione più che giusta, che però deve essere filtrata con le esigenze della lotta agli incidenti sul lavoro. E allora, tanto per non restare nel vago, perché le tutele del codice degli appalti pubblici non sono state estese ai lavoratori degli appalti privati? Che senso ha creare e perpetrare questa discriminazione? Se quelle regole sono valide, se possono servire a diminuire il numero degli incidenti estenderle diventa un dovere. Questo se davvero si vuole combattere e non limitarsi alle parole.
È giusto difendere le imprese, ma questo non deve diventare un lasciar fare, perché altrimenti a pagare sono sempre gli stessi. Ma se a guidare le scelte è la difesa esasperata del profitto, qualcosa non funziona più. Anche perché vanno tutelate anche le imprese che sono attente, che applicano con attenzione le leggi, che non cercano scappatoie e che devono essere difese dalla concorrenza di chi delle medesime regole non tiene conto. È lo stesso motivo per cui non è possibile applicare per gli appalti la logica del massimo ribasso, perché allora conta solo la competizione economica e tutti gli altri comportamenti e ragionamenti non valgono più nulla. Ma questa è la logica che porta ai mille incidenti mortali di ogni anno, ed è da lì che va iniziata la battaglia.
Massimo Mascini