Tullio De Mauro, uno dei più eminenti intellettuali italiani della nostra epoca, sosteneva che senza una cultura diffusa la democrazia e i suoi strumenti rischierebbero di rimanere vuoti e inefficaci. La cultura, infatti, considerata come l’insieme di conoscenze intellettuali acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza e l’influenza dell’ambiente, contribuisce ad arricchire la mente delle persone, sviluppando e migliorando le proprie capacità individuali. Ma la cultura è anche il complesso delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche e scientifiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una società. A fronte di ciò, lo sviluppo culturale di società e individui è fondamentale per lo sviluppo democratico, la convivenza civile e lo sviluppo economico. In questo set valoriale si inserisce il concetto di capitale umano: «L’insieme delle conoscenze e delle abilità lavorative acquisiste tramite istruzione, formazione, miglioramento delle condizioni di salute e benessere fisico, valutabile in termini di ritorno economico in termini di reddito e ricchezza durante il ciclo di vita». Ed è agganciandosi a questa definizione che Gary Becker, Premio Nobel per l’Economia nel 1992, ha affermato: «La crescita economica è impossibile senza una solida base di capitale umano. Il successo di una nazione dipende dalla sua capacità di sfruttare il potenziale delle persone». Queste premesse acquistano un’urgenza preminente soprattutto alla luce degli enormi sconvolgimenti che hanno investito il mondo nell’ultimo ventennio, siano essi dalla portata disastrosa – come crisi economiche, guerre, pandemie – che di portata rivoluzionaria – l’accelerazione tecnologica, l’intelligenza artificiale, i progressi della ricerca –. Sconvolgimenti da cui non restare sopraffatti, che vanno piuttosto gestiti e trasformati in fattori di vantaggio e che richiedono, quindi, l’adozione un nuovo mind set sgrossato dalle rigidità del passato. L’assunto però è chiaro: è la persona a essere al centro, considerata nella sua complessività, complessità, con i suoi desideri e aspirazioni; ed è alla persona che imprese e istituzioni devono rivolgere l’attenzione per invertire la rotta negativa imboccata – soprattutto in Italia -, coltivandone qualità e potenzialità e introiettando una volta che è la cultura a generare valore.
Sono questi, in sintesi, i capisaldi de Il valore del capitale umano. Quarant’anni di Fòrema nella formazione e nel lavoro (edizioni Fòrema), il libro di Matteo Sinigaglia e Roberto Baldo che celebrano i primi quarant’anni di Fòrema, l’ente di formazione del sistema confindustriale veneto. Una ricca e completa analisi che ha come obiettivo analizzare l’attuale momento storico del mondo del lavoro alle prese con un cambiamento epocale tra intelligenza artificiale e nuove competenze digitali. Sinigaglia e Baldo, rispettivamente direttore generale dell’ente e responsabile della progettazione e attività finanziate, antologizzano i cambiamenti di pratiche e tendenze in una prospettiva diacronica e analitica che rende conto della visione pionieristica di Fòrema e del contributo apportato ai progressi occorsi in materia di formazione. Sebbene concentrata sul territorio veneto, infatti, la quarantennale esperienza sul campo di Fòrema, che risale al 1983 – quando la formazione, per le aziende, era qualcosa di totalmente innovativo –, e le buone pratiche messe a punto sono campione esemplificativo estendibile a tutto il tessuto imprenditoriale del Paese, pur tenendo conto delle specificità territoriali e aziendali. Ma i ritardi cronici in termini di allineamento delle competenze nei settori scientifico e tecnologici sono una criticità che zavorra l’intera Italia e che nel mondo del lavoro si traduce in urgenza di formazione, continua e costante. L’accelerazione tecnologica, infatti, «ha portato a una crescente domanda di lavoratori qualificati, rendendo il concetto di lifelong learning (apprendimento permanente) cruciale». In questo senso, il capitale umano «è ora una risorsa critica per la competitività aziendale e per l’intera economia della conoscenza […] un assetstrategico fondamentale per la competitività e la crescita delle imprese». A questo scopo occorre quindi un «impegno concreto nella formazione continua e nello sviluppo delle competenze, sia a livello individuale che aziendale», che è fondamentale «per il successo futuro delle imprese e della società nel suo complesso», soprattutto per sviluppare quella capacità di adattamento ai rapidi cambiamenti dell’economia moderna sulla via della crescita e della competitività. Il mondo del lavoro ha bisogno di professionisti della conoscenza, i knowledge workers, in cui il capitale cognitivo – conoscenze, competenze, abilità – è il driver principale da sostenere e sviluppare. In questo senso, le learning organization, sottolineano gli autori, «sono il terreno ideale per intravedere il futuro del lavoro e della società, in perenne dialogo con l’accelerazione tecnologica, la demografia e i movimenti migratori, gli ecosistemi aziendali». Gli hybrid jobs saranno le nuove figure professionali richieste dal mercato del lavoro, la cui caratteristica principale è la capacità di mettere in campo un set differenziato di competenze (hard, soft, digital e green) in equilibrio dinamico. «È urgente rivisitare le professioni tradizionali in chiave digitale, potenziando la loro componente informativa per sostenere l’evoluzione delle aziende e degli ecosistemi settoriali e regionali», insistono Sinigaglia e Baldo. Ma non solo: il rischio che emerge dal futuro del lavoro sempre più digitalizzato e incalzato dall’automazione non è tanto la mancanza di lavoro, quanto l’aumento delle disuguaglianze tra coloro che possiedono le competenze necessarie per impieghi di alto profilo e chi non le possiede. Ed è per questo che occorre implementare politiche di formazione per i giovani e contemporaneamente di riqualificazione per gli adulti. Da qui scaturisce la necessità di una formazione secondaria e terziaria che sia più mirata e attenta alle esigenze del mercato del lavoro, che dialoghi e collabori con le imprese per intercettare i fabbisogni presenti e sappia intercettare le esigenze del futuro; creare, quindi, un sistema educativo più vicino alle esigenze delle imprese, migliorando l’occupabilità dei laureati (sempre meno in Italia) e promuovendo l’innovazione e lo sviluppo economico. Il sistema di istruzione italiano necessita di interventi strutturali: che non insegni solo il “sapere” ma anche il “saper fare”.
Le imprese, per parte propria, devono entrare nell’ottica che per rimanere competitive devono possedere «non solo le competenze necessarie per il business, ma anche anticipare le esigenze future». La produttività della conoscenza generata dal capitale umano e i relativi investimenti portano a innovazioni di processo e generano risparmi e profitti: è questo il valore portato avanti dalla formazione continua, o meglio, dalla lifelong learning, considerata la rapida obsolescenza delle competenze nel contesto attuale, soprattutto per le PMI che compongono la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano. Occorre quindi una ristrutturazione dei modelli produttivi e degli aspetti organizzativi e gestionali dell’impresa, in cui il ruolo delle risorse umane diviene centrale. In sintesi: «La strategia imprenditoriale deve poggiare sul contributo di ciascuno […] Saper valorizzare i mix di competenze originali – e variabili nel tempo […] è il primo passo per convertire uno scenario potenzialmente spiazzante in un modo nuovo di produrre valore». Ma per concretizzare tutto ciò, alla base, ci deve essere dialogo: tra istruzione e aziende, aziende e istituzioni, istituzioni e istruzione, aziende e territorio; ma anche tra le aziende stesse, per favorire la circolazione di buone pratiche nell’obiettivo condiviso di sviluppare il territorio e le persone che lo abitano. Senza il dialogo, non si procede.
Formazione, dunque, significa abilitare il cambiamento e Sinigaglia e Baldo lo spiegano con estrema chiarezza. La storia di Fòrema è una storia di eccellenza e lungimiranza, in cui la visione aperta e centrifuga, votata al futuro e mai autoriferita, ma soprattutto realistica e senza eccessi di ottimismo, è sicuramente la nave scuola per traghettare imprese e individui fuori dalle secche di un’impostazione statica del lavoro e della formazione. L’accento sul tono umanistico che percorre tutta la trattazione è tra i meriti più rilevanti di questo volume, che disinnesca una volta per tutte quel modello fordista del lavoro palesemente giunto al capolinea. Ma più che di “capitale umano”, che rievoca un’accezione utilitaristica della conoscenza e dell’abilità cognitiva, occorrerebbe magari parlare di “valore umano”, per sottolineare ancor di più l’essenza comunitaria e disabilitare l’immagine dell’ingranaggio all’interno di una macchina produttiva fredda impersonale. In ultimo, si potrebbe definire Il valore del capitale umano. Quarant’anni di Fòrema nella formazione e nel lavoro come la squilla che richiama all’ordine le imprese e le istituzioni in materia di formazione, esponendo senza giri di parole i vantaggi propri di quel “valore umano” troppo a lungo solo millantato.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Il valore del capitale umano. Quarant’anni di Fòrema nella formazione e nel lavoro
Autori: Matteo Sinigaglia, Roberto Baldo
Editore: Fòrema
Anno di pubblicazione: 2023
Pagine: 209 pp.
ISBN: 979-12-210-4579-2
Prezzo: 14,90€