Stasera, nuovo incontro Governo-sindacati sull’infinita vicenda della ex Ilva. O per dir meglio, i sindacati dei metalmeccanici – Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil – sono riusciti a ottenere per stasera un nuovo incontro, che dovrebbe svolgersi a palazzo Chigi, col ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.
Al momento, è difficile prevedere quali risultati potrà portare questo appuntamento. Ma quel che è certo è che mai una riunione fra i rappresentanti dell’Esecutivo e quelli dei lavoratori della ex Ilva è stato annunciato in una situazione così drammatica come quella che si è creata in questi ultimi giorni.
Infatti, il punto vero della questione è che non siamo più in una delle classiche situazioni del conflitto industriale. Una di quelle situazioni in cui da una parte c’è un’impresa, magari un grande gruppo, e dall’altra i lavoratori da essa dipendenti, con in mezzo il Governo a cercare di favorire un’intesa. Ormai, il conflitto frontale fra Acciaierie d’Italia – la società mista pubblico-privata nata nell’aprile 2021 per gestire le attività produttive della ex Ilva – e i sindacati, o il braccio di ferro fra il Governo e ArcelorMittal, il socio privato di AdI, hanno lasciato il posto alla frammentazione di questo confronto-scontro in una serie di conflitti parziali che si svolgono in parte a Taranto e in parte a Milano, con l’aggiunta di sfiancanti tentativi, almeno fin qui non coronati dal successo, di governare da Roma l’intera vicenda, per indirizzarla verso un qualche approdo.
A Taranto, il conflitto più drammatico, in questo momento, non è quello fra Acciaierie d’Italia e sindacati, ma quello che oppone alla grande azienda siderurgica le imprese dell’indotto, creditrici di somme sempre più consistenti.
Ma, sempre a Taranto, si sono profilati anche forti dissensi fra i Commissari che esercitano l’Amministrazione straordinaria della ex Ilva e l’Amministratore delegato di AdI, Lucia Morselli. Infatti, secondo i Commissari, AdI si sarebbe rifiutata di fornire loro alcuni dati da essi stessi richiesti. Circostanza negata da Morselli.
A Milano, invece, sede di Acciaierie d’Italia, si è fatto sempre più aspro il contrasto interno che oppone il socio pubblico Invitalia (38%) al socio privato ArcelorMittal (62%). Col primo che insiste per ottenere la messa di AdI in amministrazione straordinaria, e il secondo che si oppone, accampando una sua volontà di raggiungere un accordo fra le parti che scongiuri il commissariamento.
Ma a Milano non c’è solo la sede di Acciaierie d’Italia. C’è anche il Tribunale competente in merito agli aspetti giudiziari delle vicende della maggiore impresa siderurgica attiva nel nostro Paese. A questo Tribunale, AdI si era dunque rivolta, come scrive Il Sole 24 Ore di sabato 17 febbraio, “per ottenere misure cautelari e confermare quelle protettive verso i più importanti creditori”. Ma il giudice milanese Francesco Pipicelli, dopo aver ricordato che “per la conferma delle misure protettive, condizione necessaria è l’esistenza di una concreta, attendibile e realistica prospettiva di risanamento dell’impresa”, ha affermato che “una prognosi positiva”, allo stato, “non pare sussistere, in quanto la situazione finanziaria attuale”, nonché “l’assenza di disponibilità di soci o di terzi” a “rifinanziare AdI Spa”, “non sembrano consentire all’impresa ricorrente di avere una liquidità di cassa a breve per l’acquisto di materie prime e per la stessa sopravvivenza della continuità aziendale diretta”.
La situazione sta dunque precipitando. E infatti, nella giornata di ieri Invitalia ha reso noto di aver “inoltrato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy un’istanza per le conseguenti valutazioni tecniche e amministrative per la procedura di amministrazione straordinaria per Acciaierie d’Italia”. La prosa legalese è un po’ pesante per il lettore non specialistico, ma il fatto ci pare sufficientemente chiaro.
A questo punto, porgiamo orecchio a ciò che è stato detto a Roma, sede del Governo. E così apprendiamo che il titolare del Mimit, ovvero il ministro Adolfo Urso, ci è andato giù pesante. Egli, infatti, ha affermato che “l’investitore straniero che guida l’Azienda, e che ha la maggioranza delle azioni, non intende mettere risorse nell’azienda” stessa. E ha poi aggiunto che se tale soggetto (che immaginiamo sia la qui non citata ArcelorMittal) “non intende investire sull’impresa”, allora “credo che sia giusto che il Paese si riappropri di quello che è il frutto del lavoro e del sacrificio di intere generazioni”.
Sempre ieri, si è appreso che Acciaierie d’Italia, già nei giorni scorsi, avrebbe presentato una istanza di “concordato con riserva” per la capogruppo e le sue controllate. Secondo quanto scrive l’agenzia Ansa, si tratterebbe, di fatto, di una “contromossa preventiva (…) che avvia una procedura diversa, che richiede tempi più lunghi, da quella dell’amministrazione straordinaria”.
La sensazione è insomma che la rottura fra Invitalia, ovvero il Governo italiano, e il colosso siderurgico indiano-lussemburghese ArcelorMittal, non possa più essere recuperata. In tarda serata, dopo l’incontro con i sindacati dei metalmeccanici, dovremmo saperne di più.
@Fernando_Liuzzi