Mai così tanti occupati, e mai cosi poco appassionati al lavoro. È il succo di una indagine condotta dal Censis, in collaborazione con la Philip Morris, che analizza lo stato dell’occupazione in Italia e in particolare la percezione del lavoro tra i diretti interessati. L’esito è che il lavoro, appunto, risulta “non centrale nella vita” per il 62% del campione. Ma, diciamo, non è una sorpresa: che sia cambiato l’atteggiamento nei confronti del lavoro si sa già da un po’, fondamentalmente dal Covid in poi, quando ha preso piede il motto (peraltro sacrosanto) “lavorare per vivere, non vivere per lavorare”. Ed è proprio a partire dalla ripresa post-Covid che si registra una prolungata fase di crescita: al crollo dell’occupazione fra gennaio 2020 e luglio 2020, è seguito un progressivo aumento del volume degli occupati che è arrivato oggi a oltre 23 milioni e 700.000, raggiungendo il livello più alto mai registrato in Italia.
E tuttavia l’atteggiamento degli italiani rispetto al lavoro appare caratterizzato da una sorta di presa di distanze, con una percezione particolarmente negativa dello stato delle cose in Italia: i tre quarti del campione (il 76,1%) condividono l’affermazione secondo la quale in Italia il lavoro c’è, ma si tratta di un lavoro poco qualificato, sottopagato e precario. Il 76,2% dei giovani sono convinti che un’ora di straordinario debba avere un compenso tale da giustificare, quanto meno, la rinuncia a un’ora di tempo libero, e l`80% occupati vede nel lavoro un fattore che ha portato a trascurare gli interessi personali e il proprio benessere. Questa visione pessimista probabilmente incide anche su quei 12 milioni e mezzo, di cui ben otto milioni donne, che pur essendo in età lavorativa non hanno una occupazione ma nemmeno la cercano: quasi dieci italiani su cento dichiarano di non partecipare al mercato del lavoro proprio perché scoraggiati dagli esiti negativi della ricerca. E ovviamente anche qui la percentuale femminile è elevatissima.
I numeri tuttavia dimostrano un quadro diverso: più che mancare il lavoro e aumentare la precarietà sta succedendo l’opposto. Fra il terzo trimestre 2022 e il terzo trimestre 2023 l’occupazione in Italia è aumentata di 470.000 unità: tutti gli indicatori che riguardano le componenti dell’occupazione mostrano un segno positivo, mentre il solo segno negativo è proprio quello dei contratti di lavoro a termine, calati in un anno di 89.000 unità (-2,9%). Ma non solo: il fenomeno più serio e grave è quello che ha visto, tra il 2012 e il 2022, crollare la base occupazionale formata di giovani tra i 15 e i 34 anni, scesa di 360 mila unità, di cui ben oltre la metà nel sud (meno 188.000), mentre al contrario sono aumentati gli over cinquanta di ben 2,7 milioni.
Anche questo non è un dato sconosciuto per chi segue le dinamiche del mercato del lavoro confrontandole con quelle della demografia, ma fatica ad essere realmente assimilato dall’opinione pubblica e anche da buona parte dei decisori. Eppure, è proprio la demografia a spiegare molti fenomeni, tra cui anche la misteriosa scomparsa, o quasi, dei contratti a termine. Riducendosi sempre più il numero di giovani sul mercato del lavoro le aziende sono costrette a rivolgersi alle fasce di età superiori, cioè adulti già ben formati che ovviamente non accetterebbero il contrattino a termine che si può offrire a chi si trova alle prime armi.
Per contro, anche i giovani sempre meno sono disposti ad accettare lavori che ritengono di bassa soddisfazione, e, come appunto dimostra anche la ricerca del Censis, ambiscono a carriere migliori e diverse. Ma questo crea un ulteriore problema, e cioè la distanza sempre più stellare tra le competenze richieste dalle aziende e dai nuovi lavori, rispetto al livello di formazione di chi sul mercato del lavoro si sta affacciando. Poi bisognerebbe anche capire, una buona volta, chi sono e come diavolo passano il loro tempo i pochi giovani che abbiamo, magari a partire proprio dai famosi tre milioni di neet; a parte che buona parte di loro saranno ormai anche invecchiati, visto che se ne parla da anni, sarebbe curioso sapere come se la sono cavata, alla fine. In conclusione: sarebbe interessante e utile approfondire tutti questi aspetti assolutamente nuovi e per certi versi misteriosi del mercato del lavoro, invece di continuare a ragionare secondo vecchi schemi superati e contraddetti da tutti i dati statistici. Oltretutto, è chiaro che tra non molto il problema ci scoppierà in faccia, e allora forse sarà troppo tardi per risolverlo.
Nunzia Penelope