Accade a un certo punto della Storia di sentire la necessità di tirare le fila dei processi in atto, non per portarli a compimento o adattarli a nuovi contesti, ma per rispondere proattivamente all’imperativo di evoluzione che gli orizzonti ci sfidano a intraprendere. Pena: la stagnazione. Tirare le fila, quindi, significa programmare il futuro, ed è questo un passaggio di capitale importanza per l’umanità tutta immersa com’è in un contesto di inattesi stravolgimenti socio-economici e geopolitici. Il metodo si basa sullo sgrossare paradigmi e modalità che oggi, più che mai, si rivelano obsoleti, che non guardano agli orizzonti a lungo termine e vivacchiano in un’atmosfera stantia che ci tiene sul fondo senza possibilità di riemergere. Una responsabilità, nel merito, che è contemporaneamente un tributo verso le nuove generazioni a cui dobbiamo collettivamente garantire un presente più concreto e, soprattutto, un futuro più sereno.
Definire “Il valore del futuro”, questo il titolo del convegno organizzato da Deloitte che si è tenuto a Roma presso la suggestiva Villa Wolkonsky, sede dell’Ambasciata Britannica, non è un impresa di facile ingaggio e gli esperti intervenuti alla tavola rotonda ne hanno dato prova empirica mettendo in sinergia espressioni dei diversi ambiti di competenza e tracciando un quadro multiforme e quantomai interessante.
La discussione, introdotta dall’ambasciatore britannico Rt Hon Lord Llewellyn, si è dispiegata intorno alle differenti modalità di espressione del concetto di valore profondamente radicato nel pensiero economico in una congiuntura storica difficile come quella attuale. In questo senso, l’economia viene re-interpretata attraverso la lente del “valore” come una scienza morale, come “ricerca della vita buona”, appellandosi ai maestri del pensiero classico come Epicuro, e una definizione condivisa di “valore” si rende a questo punto quanto mai necessaria.
Una visione carica di significati e risignificazioni che è al centro del volume L’economia del valore di Michael Griffiths, presente all’incontro, e John Lucas, filosofo politico, che ha costituito il fil rouge del convegno. In particolare, per Griffiths, amministratore delegato per l’Italia presso una società internazionale di consulenza attuariale e consigliere non esecutivo di due società assicurative, già presidente della Camera di Commercio Britannica per l’Italia e attualmente governatore onorario del British Institute of Florence, occorre pensare all’economia in termini di «creazione di valore» sostenendo la necessità di «inculcare nella pratica dell’attività economica i principi etici di onestà, equità, trasparenza e responsabilità», elevandoli a codici del DNA organizzativo e manageriale. Lo scopo è gettare le basi per un Nuovo Pensiero Economico, che conferisca maggiore enfasi e trasparenza, nella rendicontazione dei risultati dell’attività di qualsiasi impresa, sia privata (profit o no) sia pubblica, alla «creazione di valore». È questa la nuova sfida del capitalismo moderno: votarsi a una prospettiva che sia più etica e sostenibile a 360°, valutata sotto il profilo economico, sociale e ambientale. Come brillantemente indicato nelle conclusioni anche da Valeria Brambilla, Executive di Deloitte & Touche SpA, che ha sottolineato l’importanza della cultura come comune denominatore di questi tre fattori propulsori del cambiamento.
Ambiente, capitale umano, collettività, dunque, sono stati i topic principali affrontati dai quattro panelist Stefano Pareglio, accademico, Alessandro Grazioli, partner di Deloitte, Maria Cristina Origlia, giornalista e presidente del Forum della Meritocrazia, e Antonio Errigo, segretario del Centro di Alta Formazione Laudato Si’.
Dalla disanima sulla centralità del bilancio per la definizione del valore di un’azienda, Grazioli sostiene tuttavia che questo sia uno strumento non obsoleto ma parziale per la stima del valore dell’azienda, non essendo proiettato sul futuro ma piuttosto concentrato solo sul presente. La necessità, quindi, è non focalizzarsi esclusivamente sulla quotazione di mercato di un’azienda, ma sulla creazione di un valore di qualità, integrando nei bilanci – così come già stabilito dalle direttive – informative non finanziarie per dare conto degli impatti delle aziende sulla società, a copertura quindi di più parti della catena di valore. Perché non c’è valore economico creato se non c’è sostenibilità.
Su questo versante si inserisce l’attenzione ai temi ambientali affrontati da Pareglio, secondo cui è importante attribuire un prezzo agli effetti dell’attività umana sui beni ambientali, ma il valore intrinseco di essi è un fatto soggettivo e il prezzo non è una misura giusta per valutarne la portata. A livello empirico sono molte le difficoltà di misurazione del valore delle risorse ambientali (e quindi del prezzo delle ricadute dell’operato umano su di esse), su cui pesano variabili importanti come la scarsità sul lungo termine, per cui i risultati saranno instabili e sottoposti a continue verifiche. Le tecniche di misurazione, parimenti, sono molteplici, ma colpisce l’accento marcato sul buonsenso da applicare nella gestione e preservazione di tali risorse. Una tecnica, questa, che si lega per l’appunto all’invocato vettore della cultura, che ancora una volta si conferma essere l’arma indefessa di costruzione del valore.
Trasferendo il background di provenienza nel suo intervento, Maria Cristina Origlia ha insistito proprio sui temi educativi e sociali, rilevando quanto la creazione di valore nell’economia sia anche valorizzazione del capitale umano. Al centro di ogni comunità aziendale ci sono le persone, ognuno con i propri bisogni e aspirazioni che devono essere lasciati liberi di esprimersi. In tal senso viene invocata un’evoluzione della figura del manager, da cui si auspica l’abbandono del metodo di comando-controllo a favore della capacità di ascolto per far esprimere le potenzialità di ognuno in un ambiente sicuro. È questo lo stile di leadership autentico: liberi di essere e di esprimere quello che sentiamo in un mondo sempre più complesso, dove la fiducia tra le persone è più importante della competizione. Viviamo in un Paese che non crea fiducia, arguisce Origlia, e i giovani fanno fatica a immaginare il proprio futuro anche a causa della mancanza di meritocrazia in una società che misura poco la qualità e troppo la quantità. In un capitalismo relazionale come quello attuale, un modello di modello di governance sostenibile richiede una valutazione a 360° della persona nel suo valore. A questo, inoltre, si ricollega anche l’intervento finale di Valeria Brambilla quando invoca proprio l’importanza dei giovani e l’insofferenza al concetto del prezzo (quantità) in favore del valore (qualità). Cambiare gli asset degli atteggiamenti manageriali significa, soprattutto, assumere un nuovo role model: lavorare su sé stessi per poter essere di esempio in etica, integrità e trasparenza.
Infine, il tema della collettività è stato al centro dell’intervento di Antonio Errigo, che ha portato testimonianza del Centro di Alta Formazione Laudato Si’, luogo di formazione i cui pilastri sono l’ecologia integrale, l’economia circolare e generativa e la sostenibilità ambientale. Se per dare valore alle persone occorre partire dalla programmazione del futuro, per dare valore al futuro occorre partire dalla collettività. Uno spunto ricco di interesse che si sviluppa a partire dall’enciclica di Papa Francesco Laudato Si’ e ripreso nel Chirografo che costituisce il Centro di Formazione a Castel Gandolfo, concernente la cura della “casa comune”: «[…] una responsabilità che assumiamo verso il nostro prossimo […] Le crisi e gli allarmi ricorrenti ci dicono che questa attenzione rappresenta la sfida a cui rispondere per edificare e consolidare quello sviluppo sostenibile e integrale, che può garantire un miglioramento della qualità della vita umana rispettosa del disegno di Dio sul mondo e in una sana relazione con l’ordine della natura e con le leggi che la governano. Ciò domanda un’educazione e una spiritualità per lo “sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita” (LS, 202) in grado di favorire l’auspicata “conversione ecologica che può nascere solo da una formazione delle coscienze, ispirata alla condivisione dei beni, dal rispetto della dignità di ogni persona e dalla gratuità dell’operare e del dare». Formazione, sottolinea Errigo, significa consapevolezza e responsabilità per le generazioni future, laddove il lavoro è un elemento insostituibile per la dignità umana.
Elettra Raffaela Melucci