Capone, si apre tra poco un’importante e difficile stagione di rinnovi contrattuali. Come guarda a questa scadenza il segretario generale dell’Ugl?
Con qualche apprensione, perché la situazione, soprattutto quella dei salari, presenta molte difficoltà. Un paio di anni fa l’Ugl svolse uno studio assieme al Censis sulla dinamica dei salari negli ultimi dieci anni e il quadro che ne uscì non era confortante. I salari italiani erano calati, quelli dei grandi paesi nostri concorrenti erano tutti aumentati. Eravamo avanti solo a Grecia e Spagna. Poi c’è stata l’analisi dell’Istat sugli ultimi trent’anni, dal 1990 al 2020, e ci ha detto che i salari italiani in questo lungo periodo sono calati del 5%, mentre crescevano quelli degli altri paesi.
Cosa ne avete dedotto?
Che le politiche dei redditi di questo lungo periodo erano tutte fallimentari. Ed è singolare che ce ne siamo accorti grazie a delle analisi di studio, non alla pratica quotidiana.
E dunque come avete reagito?
Ci siamo mossi per far crescere i salari. Cominciando a premere sempre di più sui governi per avere un intervento sul cuneo fiscale, che rimettesse in moto il meccanismo dei consumi interni per aiutare la crescita del paese.
L’intervento c’è stato, ma solo in via temporanea.
Sì, per questo insistiamo perché diventi strutturale. Ma intanto dobbiamo avviare un discorso con le imprese che devono prendere atto che è necessaria una crescita salariale consistente.
Le imprese devono però badare a mantenere in regola i loro conti. Per questo chiedono che l’aumento dei salari vada di pari passo con la crescita della produttività.
Il vero nodo è questo, non c’è alcun dubbio sull’urgenza che i sindacati valutino con attenzione la necessità di far lievitare la produttività.
Ma come pensate che sia possibile che crescano assieme i due parametri, salari e produttività?
Questo può accadere solo in un’ottica partecipativa. In un sistema dove l’aumento della produttività sia davvero la priorità delle imprese, ma anche dei lavoratori. Tutti dobbiamo prendere atto che la lotta di classe è finita e ne inizia un’altra che vede l’impegno consapevole e diretto dei lavoratori per far lievitare la produttività, ma anche la distribuzione degli utili.
Ma i lavoratori sentono questa esigenza? Ritengono che sia loro interesse avviarsi verso un sistema partecipativo?
I lavoratori soprattutto non conoscono la partecipazione. In Italia negli ultimi 72 anni solo la Cisnal prima e l’Ugl poi hanno parlato di partecipazione.
Non può dimenticare la Cisl.
Assolutamente no. La Cisl ha il concetto della partecipazione nel suo statuto, ma ha sacrificato troppo spesso questa bandiera alle relazioni con Cgil e Uil.
Ma ha anche portato avanti un disegno di legge popolare sul tema, che adesso è arrivato alle Camere.
Sì, Sbarra ha fatto un’operazione coraggiosa, di cui prendiamo tutti atto. La partecipazione non è più residuale, la Cisl l’ha portata in primo piano con un ampio dibattito in cui siamo presenti anche noi con le nostre idee.
Il punto resta lo stesso. I lavoratori hanno capito che la partecipazione difende i loro interessi?
Proprio grazie al dibattito che è iniziato hanno ora la possibilità di comprenderlo, ma devono avere il tempo necessario per assorbire questo concetto.
Una nuova mentalità partecipativa potrebbe aiutare lo svolgimento della stagione contrattuale?
Sì, molto. Anche perché, al di là delle leggi, sarebbe molto importante un accordo pattizio su questa realtà.
Il Patto della fabbrica, nel 2018, disse cose importanti e anche molto innovative sul salario e sulla partecipazione. Adesso però mostra i suoi limiti. Pensa sia necessario un nuovo grande accordo?
Sicuramente. Sarebbe una follia ripresentare quelle regole. Un nuovo patto è indispensabile, ma tutti devono partecipare a questa costruzione, senza nessuna esclusione. E serve anche la presenza delle istituzioni, del ministero competente.
Il ministero del Lavoro non sembra molto presente.
Dovrebbe recuperare una partecipazione che a volte non si percepisce. Sta facendo il suo lavoro? Certamente sì, ma dovrebbe avere il coraggio di fare un passo in avanti verso la partecipazione. perché senza questo nuovo patto finiremmo tutti per essere travolti dalle difficoltà.
Ma lei ritiene possibile questo nuovo patto, al di là della sua convenienza?
Io so che è auspicabile. E dico che grazie ad alcune posizioni assunte, per esempio dalla Cisl, è anche possibile cogliere il risultato.
Lei insiste a dire che tutti devono partecipare a questa costruzione, senza esclusione. Ma avete la sensazione di essere stati messi da parte?
No, siamo stati sempre all’interno di questo dibattito, abbiamo dato il nostro apporto di idee, anche prima del governo Meloni. Le idee buone dovrebbero sempre essere colte, da qualsiasi parte vengano.
Il sindacato a suo avviso è in grado di assumere questo sforzo?
Assolutamente sì. Nella sua lunga storia ha sottoscritto patti importanti, è stato fattore determinante di stabilità democratica, è innegabile. Adesso è maturo per un passo in avanti. Tutte le formazioni sindacali devono essere pronte a muoversi in questa direzione, senza dover rinunciare alla propria dignità e rappresentatività, ma devono essere disponibili a perdere un po’ di tempo per parlare con gli altri.
Massimo Mascini