Corte d’Assise della Senna, Parigi. Udienze del 10,11 e 12 gennaio 1832. Presidenza del signor Jacquinot- Godard. Sul banco degli accusati siedono alcuni esponenti della Società amici del popolo. Tocca al più noto di loro. “Ditemi il vostro nome, l’età, il luogo di nascita e il domicilio”. “Louis-August Blanqui, di anni 26, nato a Nizza, con dimora a Parigi, Rue de Monteruil numero 96, faubourg Saint-Antoine”. “Qual è la vostra professione?”. “Proletario”. “Non è una professione”. “Come, non è una professione!? È la professione di trenta milioni di francesi, che vivono del loro lavoro e che sono privi di diritti politici”. “Ebbene, sia. Cancelliere, scriva che l’accusato è proletario”.
Quarant’anni dopo. Fort du Taureau, baia di Morlaix, Bretagna. Blanqui, che per la sua attività di rivoluzionario ha passato più tempo in prigione che sulle barricate, è chiuso in una cella. Lo hanno segregato per impedirgli di partecipare alla Comune. Le sbarre danno sul mare ma lui, sorvegliato a vista, non può avvicinarsi alla finestra per ammirare l’orizzonte.
Però scrive e la mente vaga nel firmamento: “L’universo è infinito nel tempo e nello spazio, eterno, senza confini e indivisibile. Tutti i corpi, animati e inanimati, solidi, liquidi e gassosi, sono connessi l’uno all’altro dalle stesse cose che li separano. Tutto è strettamente collegato. Se si eliminassero gli astri, resterebbe lo spazio, assolutamente vuoto, certo, ma con le sue tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità, spazio indivisibile e illimitato”.
Nasce così “L’eternità viene dagli astri” ((pubblicato ora per la prima volta in Italia da Adelphi), insolito libello dedicato non alla lotta di classe ma ad una laica cosmogonia. Non c’è stato un inizio, non ci sarà una fine. Le stelle e i pianeti nascono, muoiono, risorgono, in un continuo fluire senza tempo di incontri e deflagrazioni siderali. “L’universo è eterno, gli astri sono perituri, e poiché costituiscono tutta la materia, ciascuno di loro è passato per miliardi di esistenze. La gravitazione, con i suoi urti resuscitatori, li divide, li mescola, li plasma senza sosta, di modo che non ve ne è uno che non sia un composto della polvere di tutti gli altri. Ogni pollice del terreno che noi calpestiamo ha fatto parte dell’intero universo. Ma è solo un testimone muto, che non racconta ciò che ha visto nell’eternità”.
Le continue rigenerazioni producono corpi celesti che sono copie infinite dei precedenti: “Ciascun tipo ha dietro di sé un esercito di sosia il cui numero è senza limiti”.
“Si capisce – argomenta Blanqui- che nella nostra tesi l’uomo, così come tutti gli animali e le cose, non ha uno specifico diritto all’infinito. Di per sé, egli non è che un essere effimero. È il globo di cui è figlio che lo rende partecipe della sua patente d’infinità nel tempo e nello spazio. Ognuno dei nostri sosia è figlio di una terra sosia essa stessa della terra attuale. Noi facciamo parte del calco. La terra-sosia riproduce esattamente tutto ciò che si trova sulla nostra, e di conseguenza ogni individuo, con la sua famiglia, la sua casa, quando ne ha una, e tutti gli avvenimenti della sua vita. È un duplicato nel nostro globo, contenente e contenuto. Non vi manca nulla”. In ogni caso “si incontreranno miliardi di terre di questo tipo prima di incontrare una somiglianza continua”. Con “sestilioni e sestilioni” di varianti del genere umano, perché “ogni istante porterà la sua biforcazione, la strada che si prenderà e quella che si sarebbe potuta prendere”. Ci sono globi dove gli inglesi perdono a Waterloo o Napoleone non vince a Marengo.
Blanqui, il grande sovversivo, sfonda con l’immaginazione le pareti del carcere, beffa i secondini, ridicolizza il potere costituito, compone un inno cosmico all’uguaglianza. “Io rido..,ma in verità in un modo singolare. Se veramente dicessi tutto ciò che ho nel cuore, provocherei ben altre requisitorie”, aveva detto nel 1832 a conclusione del processo che gli comminò una delle tante condanne da lui esibite come medaglie. Ora, nel 1872, annuncia in sostanza che la sua scelta rivoluzionaria non avrà mai termine. “Ciò che sto scrivendo in questo momento in una cella del Fort du Taureau l’ho scritto e lo scriverò per l’eternità, su di un tavolo, con una penna, degli abiti addosso, in circostanze del tutto analoghe”. Non lo piegheranno mai. Buddha, Pitagora, Platone, Nietzsche, Borges, Asimov. Quante suggestioni in questa inaspettata operetta!
“Ciascuno di noi ha vissuto, vive e vivrà senza fine, sotto forma di miliardi di altri ego”. E il capitolo delle biforcazioni resta sempre aperto: “Tutto ciò che avremmo potuto essere quaggiù lo siamo da qualche parte, altrove”.
Buon 2024 a noi e a tutte le nostre varianti.
Marco Cianca