Alessandro Campi, senza rendersene conto, ne fa una questione di dermatologia sociale. E l’abuso del suffisso “neo”, inteso come novità, evoca contrapposte lesioni cutanee. “Il neo- antifascismo odierno – ha scritto sul Messaggero- è un’ideologia a prescindere, un’idea moralistica della politica che pretende di legittimarsi combattendo un fantasma della storia che esso stesso tiene artificialmente in vita, creandone, se necessario, continue permutazioni semantiche: il populismo, il patriarcato, il colonialismo, il sovranismo. Combatte perciò il fascismo non come pericolo politico concreto, ma come metafora di un male eterno che se fosse veramente tale ovviamente non potrebbe mai essere sconfitto”. Una drammatizzazione messa in scena da “una sinistra che ai suoi elettori non riesce più a promettere nulla di credibile”. Certo, ammette lo studioso di dottrine politiche che fu vicino a Gianfranco Fini, esiste di converso un neo-nostalgismo neo-neofascista che però ha contorni per lo più carnevaleschi, di cartapesta e da operetta e scade “nella trivialità da osteria dopo una bevuta, nel grottesco ideologico a beneficio esclusivo dei propri avversari”.
“Nei” diversi, insomma, che macchiano il volto dell’italianità. Quello sulla guancia destra viene descritto come uno sberleffo folcloristico, da “avanspettacolo”, “politicamente marginale e ormai puramente coreografico”, che si tratti dei pellegrinaggi a Predappio o dei “buontemponi” di Spilimbergo vestiti da soldati del Terzo Reich. Al contrario, sulla gota opposta, il “neo” appare come un’escrescenza maligna, incistata con radici profonde. Una deturpazione che serve a coprire il vuoto strategico di una sinistra smarrita che tiene in vita lo spettro in camicia nera per non riconoscere i propri fallimenti. E che per questo omaggia come un eroe il loggionista che alla Scala ha gridato “Viva l’Italia antifascista”.
Insomma, il neo-neofascismo non è pericoloso, il neo-neoantifascismo sarebbe invece da estirpare. Forse è proprio in ossequio a queste tesi che il 7 dicembre la Digos ha identificato Marco Vizzardelli, giornalista e melomane. Un atto dovuto, hanno spiegato i responsabili della polizia, che non avrà alcuna conseguenza, anche perché non si capisce quale potrebbe essere il reato contestato. Ma forse lo stravolgimento della Costituzione annunciato dall’attuale governo prevede anche la riformulazione delle disposizioni transitorie e finali. E la dodicesima, “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, potrebbe diventare “è vietato il richiamo, sotto qualsiasi forma, ai valori dell’antifascismo, della resistenza, del Parlamento”.
Vizzardelli, al momento, non può essere incriminato. Ma il fascicolo aperto a suo nome resta in un cassetto della questura di Milano. A futura memoria. Non si sa mai. Prima o poi qualcuno potrebbe dare l’ordine di fermare “i soliti sospetti”.
Paolo Bagnoli, storico, uno dei massimi conoscitori di Piero Gobetti e dei fratelli Rosselli, osserva che quanto accaduto “può essere interpretato come un segno del clima generale che vive l’Italia con la destra al governo”. “Crediamo – immagina – che la buona anima di Arturo Toscanini alla notizia che alla Scala si era inneggiato all’antifascismo abbia impugnato la bacchetta e dato il via ad una sinfonia. È lui che ha segnato la cifra antifascista del teatro poiché nel 1926 fece sapere che non avrebbe eseguito Giovinezza prima di procedere con la Turandot. Mussolini non la prese bene e cinque anni dopo i fascisti lo schiaffeggiarono per reagire al suo coerente rifiuto. Toscanini, allora, lasciò l’Italia e andò a New York, volontario esule e attivo nell’azione degli oppositori all’estero insieme al figlio Walter”.
Nel simbolo di Fratelli d’Italia arde la fiamma tricolore alimentata dal sarcofago di Mussolini. Altro che fascismo consegnato alla storia! Il nazionalismo, l’odio per gli immigrati, le scorciatoie decisioniste, il linguaggio becero, l’intolleranza rappresentano, sotto mentite spoglie, il ritorno di una spregevole subcultura. “Il fascismo ha cambiato pelle, si è reso appena un po’ più presentabile. La destra che da qualche tempo ha conquistato il potere in Italia ne è diretta erede e non ha mai veramente rinnegato di esserlo, ma soprattutto sta, neanche troppo silenziosamente, inoculando nel nostro Paese idee e pratiche che rischiano di impoverire e progressivamente annientare la nostra democrazia, i nostri diritti e la nostra libertà”, sostengono gli autori di un pregevole libello, “Piccolo manuale antifascista”.
Antonio Scurati, in “Fascismo e populismo”, invita a riprendere la lotta per alimentare la democrazia: “Lotta quotidiana, interminabile, inesausta”.
Viva l’Italia antifascista!
Marco Cianca