L’autoconvocazione dei Segretari generali dei sindacati dei metalmeccanici davanti a palazzo Chigi a una cosa è servita: a ottenere una convocazione da parte del Governo per la data di mercoledì 20 dicembre.
A dirlo così, può sembrare poco. Ma è vero il contrario. Con la mossa della cosiddetta “autoconvocazione” davanti al portone del palazzo romano che ospita la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Fim, Fiom e Uilm sono riuscite a raggiungere un duplice risultato. Innanzitutto, aumentare la visibilità mediatica della sempre più drammatica vicenda della ex Ilva. In secondo luogo, obbligare il Governo a impegnarsi a un momento esplicito di confronto con i rappresentanti dei lavoratori del maggior gruppo siderurgico esistente nel nostro Paese.
Siamo a Roma, su un lato di piazza Colonna, ovvero della piazza antistante all’ingresso di Palazzo Chigi. La settimana scorsa, i sindacati della maggiore categoria dell’industria avevano annunciato che nella mattinata di oggi i Segretari generali di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil – rispettivamente Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella – si sarebbero presentati, come si è detto, davanti all’ingresso di Palazzo Chigi per tenere una conferenza stampa sull’incredibile situazione creatasi alla ex Ilva e sulla loro richiesta di un incontro chiarificatore col Governo.
In realtà, stamattina le pubbliche autorità non hanno consentito ai tre sindacalisti di raggiungere il luogo prescelto. I dirigenti sindacali hanno quindi dovuto accontentarsi di sostare sul marciapiede posto al lato della piazza, davanti alla galleria Alberto Sordi. Ma è andata bene lo stesso, perché sono stati prontamente circondati da un muro di microfoni e di telecamere.
Cosa hanno dunque detto i tre dirigenti sindacali? Innanzitutto, come accennato sopra, che, nel corso del weekend, il Governo aveva finalmente fatto loro arrivare l’auspicata convocazione, fissandone la data al 20 dicembre. Una data considerata positivamente da parte sindacale perché anteriore, sia pure di poco, a quella – 22 dicembre – fissata invece per la prossima assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, la società pubblico-privata che ha in gestione gli stabilimenti della ex Ilva.
Qui va detto che quella ottenuta dai sindacati va considerata come una convocazione in extremis. Come si ricorderà, infatti, nelle ultime settimane l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia si è riunita, a Milano, per ben tre volte consecutive – rispettivamente nelle giornate del 23 novembre, del 28 novembre e del 6 dicembre – senza mai arrivare a nessun risultato. L’unica conclusione, se così vogliamo chiamarla, del terzo incontro è stata quella della fissazione della data di un quarto incontro per il 22 dicembre, ovvero a ridosso di Natale e quindi della fine dell’anno.
Ma la situazione dell’ex Ilva è talmente drammatica che anche una convocazione come quella di cui stiamo parlando può essere valutata positivamente dai sindacati. E ciò, appunto, perché va a collocarsi prima dell’assemblea del 22. In altre parole, i sindacati si aspettano che, il 20 dicembre, il Governo dica loro, finalmente, cosa intende fare. Il che implicherebbe che, per quella data, antecedente alla quarta sessione dell’assemblea di AdI, il Governo abbia effettivamente deciso cosa fare.
Il paradosso dei recenti rapporti Governo-sindacati in materia di ex Ilva è consistito, per l’appunto, nel fatto che il Governo si è ripetutamente trincerato dietro le successive date di convocazione della citata assemblea, dicendo che attendeva un suo risultato prima di esprimersi. D’altra parte, a quanto si comprende, le assemblee di Acciaierie d’Italia sono ripetutamente terminate senza una conclusione proprio per il persistere di disaccordi fra le parti, ovvero fra il socio pubblico Invitalia (38%) e il socio privato ArcelorMittal (62%). Col risultato di un blocco di qualsiasi possibilità decisionale.
Solo che, per parafrasare Tito Livio e il suo celeberrimo dum Romae consulitur (in questo caso, mentre si discute fra Roma e Milano), la situazione della ex Ilva volgeva al peggio: le casse aziendali semivuote, difficoltà nel pagamento dei fornitori, ricorso ripetuto alla Cassa integrazione, condizioni di sicurezza giudicate negativamente dai sindacati (nei giorni scorsi, un nuovo incidente a Genova Cornigliano), due altoforni chiusi nello stabilimento di Taranto dall’estate a oggi, una produzione d’acciaio non solo inferiore agli obiettivi dichiarati, ma in costante calo, e, infine, perfino difficoltà nell’utilizzo del porto tarantino a causa del guasto a una delle grandi gru dedicate allo scarico dei materiali necessari al centro siderurgico.
Come detto in ottobre, alla Commissione Attività produttive della Camera, dal Presidente di Acciaierie d’Italia Holding, Franco Bernabé, la stessa AdI ha quindi urgente bisogno di risorse finanziarie fresche, per non parlare di quelle necessarie, sul piano strategico, per avviare la decarbonizzazione della produzione d’acciaio nello stabilimento pugliese.
A fronte della proclamata volontà del socio pubblico e dello Stato, che ne è proprietario, di essere pronti a fare la propria parte, il mancato raggiungimento di un accordo all’interno di AdI su come procedere è stato interpretato dai più – sindacati dei lavoratori, dirigenti del mondo siderurgico, osservatori e commentatori – come derivante da un mancato incontro con le vere intenzioni del socio privato.
“Dopo la scelta di Mittal di non investire in Italia – ha detto Michele De Palma, segretario generale della Fiom -, ci aspettiamo che il 20 dicembre il governo ci dia una risposta definitiva. Non si può continuare a procrastinare ogni decisione. Il tempo del confronto tecnico è finito. Ormai, siamo giunti al momento delle scelte politiche. Il Governo non può più essere ostaggio di Mittal.”
“In gioco ci sono non solo 20.000 posti di lavoro fra diretti e indiretti – dice Roberto Benaglia, segretario generale della Fim -, ma anche l’intera filiera metalmeccanica.” E poi spiega che “quando diciamo che lo Stato deve intervenire, non vogliamo dire solo che deve prendere il controllo di Acciaierie d’Italia. Intendiamo dire che deve offrire all’azienda dei manager che siano capaci di effettuare degli investimenti e siano orientati in questa direzione. Pensiamo, inoltre, che lo Stato debba assumersi il compito di mettere delle risorse in questa operazione e, infine, che debba cercare degli investitori privati per dare continuità all’operazione stessa.”
“Se la posizione del Governo sarà finalmente quella di mettere da parte Mittal e assumere la regia pubblica di questa azienda” incalza Rocco Palombella, segretario generale della Uilm “l’ex Ilva avrà un futuro”. E poi aggiunge: “Sia chiaro che noi non vogliamo l’acciaio di Stato, noi vogliamo un’azione di salvataggio dell’azienda. Lo Stato deve requisire gli impianti, affidarli a una governance all’altezza e poi rimetterla sul mercato alla luce anche di un percorso di decarbonizzazione che è necessario per salvaguardare ambiente, occupazione e produzione.”
L’appello del sindacato è dunque preciso e circostanziato. E va anche detto che suona come un ultimo appello. Tra meno di dieci giorni sapremo quale sarà la risposta del Governo.
@Fernando_Liuzzi