Franco Ferrarotti lo ha scritto con nettezza: “L’uccisione di Moro rappresenta anche la morte delle speranze e delle illusioni del ’68. Si apre un nuovo ciclo della vita politica. La ricreazione è finita”. Secondo il sociologo cominciava allora “l’età grigia della rassegnazione e della nostalgia”. In dieci anni, da un maggio all’altro, l’assalto al cielo si era tramutato in tragedia. Il delitto delle Brigate Rosse suggellava “l’inevitabile declino, l’insuperabile solitudine, l’incapacità progettuale positiva”. L’immaginazione al potere suonò come un ridicolo slogan. L’immaginazione scomparve, il potere rimase. Le utopie grondavano sangue e, con un senso di colpa collettiva, il ritorno alla casa del padre sembrò l’unica strada percorribile.
La figura paterna aveva subìto una sua eclissi, ma, affermava ancora Ferrarotti in “L’Italia in bilico”, “non appena la crisi economica si è profilata in tutta la sua portata, con le tipiche insicurezze che l’accompagnano, soprattutto con riguardo al problema di far crescere e sviluppare i figli, ecco che riemerge, potente, la figura del bread winner, torna il nutritore, il padre patriarca, nella sua duplice veste di protettore e di maestro, all’occorrenza inflessibile fino alla crudeltà”. “Un padre di ritorno”, “un’autorità invocata” e di “dipendenza accettata”. Non solo nell’ambito della famiglia e della scuola: “Ciò che colpisce è il suo affermarsi nella sfera produttiva, in quella politica, nel campo del costume e della vita culturale nel senso più ampio del termine”. Anche le femministe smisero, per dirla con Carla Lonzi, di sputare su Hegel.
Proprio il bisogno di autorità è la base sulla quale hanno costruito, e continuano a costruire, le proprie fortune le destre-destre. E questa continua ricerca di un capo carismatico persiste in parallelo con l’assenza di un progetto alternativo di società. Eppure, echi delle illusioni sessantottine, si sono colti nell’onda fucsia, la grande mobilitazione e gli irati cortei seguiti all’assassinio di Giulia Cecchettin. Dal martirio di Moro al calvario della giovane laureanda. Due corpi, due vittime sacrificali di un sistema sballato.
Il ritorno dell’utopia. Non tanto per le accuse alla società patriarcale, segno in ogni caso di un’indignazione non solo emozionale, ma per l’espressa volontà di non fermarsi alla momentanea denuncia. Germi di una nuova visione complessiva che esce dalla gabbia di una dolente accettazione? Presto per dirlo. In ogni caso, come nel ’68, il vento contestativo prescinde dai partiti, spira per conto proprio, non assume forme organizzative.
L’unico paragone possibile va fatto con i movimenti ambientalisti, con i ragazzi di “Ultima generazione”, con Greta Thunberg. Anche in questo caso lo spontaneismo nasce dal basso e rifiuta ogni mediazione. In precedenza, c’erano stati flebili movimenti studenteschi, come la Pantera. O i Girotondi che dileggiavano Berlusconi. E poi le Sardine, riunitesi in branco per evitare che Matteo Salvini conquistasse l’Emilia-Romagna, e presto rinabissatesi. Tutto finito nel nulla perché erano mobilitazioni del momento, contro qualcuno, senza visioni del futuro.
Ora la denuncia dell’emergenza climatica e le accuse al patriarcato presuppongono invece una diversa concezione della convivenza civile. Forse anche stavolta sarà un flop e tutto continuerà come prima, anzi peggio di prima. Però, una pallida speranza sorride ottimista. Non ci saranno risultati elettorali conseguenti, e chi si illudesse di intercettare e trasformare in voti tali esigenze sarebbe uno stupido, perché il disprezzo nei confronti di tutti i partiti accomuna i nuovi extra-parlamentari. Ma appare evidente che la vecchia casa del padre si sta rivelando sempre più angusta.
E l’immaginazione riconquista il proprio spazio.
Marco Cianca