Fino a prova contraria l’Italia è un Paese libero; il diritto di sciopero è uno dei capisaldi di questa libertà. Il 5 dicembre – salvo revoche improbabili – i medici e il personale sanitario eserciteranno questo diritto. Immagino che saranno rispettate le regole dello sciopero nei pubblici servizi essenziali. Poi il governo e il Parlamento, portando a termine la sessione di bilancio 2024, assumeranno sulla controversia, in corso con queste benemerite categorie, sull’articolo 33, le decisioni che loro competono. Credo però che l’opinione pubblica e gli altri lavoratori devono avere chiari i motivi che hanno determinato questa astensione dal lavoro, allo scopo di farsene un’idea, visto che a commento di questa vicenda si sono spese parole gravi e grevi, anche in occasione degli scioperi generali proclamati da Cgil e Uil. Poi potremo metterci d’accordo: se c’è da fare guerra a un governo che non ci piace si può anche raschiare il fondo del barile dei motivi di protesta, anche quando la linea seguita in altre occasioni è stata diversa. Il sindacalismo confederale in Italia ha un grande merito che lo pone all’avanguardia in Europa: si è battuto da decenni per uniformare le regole previdenziali per tutto il mondo del lavoro, superando – con gradualità ma con determinazione – i privilegi in generale del pubblico impiego e di alcune casse e fondi speciali. E’ cambiata questa linea? Ci siamo pentiti dell’equilibrio dimostrato in questa materia come si sta facendo per quanto riguarda le riforme del mercato del lavoro? Certo i medici hanno messo sul piatto il loro eroismo nella lotta al Covid-19 ed hanno raccolto solidarietà ovunque, minacciando – come una conseguenza oggettiva – una massiccia fuga in pensione con gravi deprivazioni per un settore con tanti problemi. Per quanto mi riguarda rispondo con una citazione di Margaret Thatcher (il 10 ottobre 1980 al congresso del Partito conservatore):. “La signora non ha intenzione di fare marcia indietro” Di che cosa si tratta? Che cosa dispone l’articolo 33? <Le quote di pensione a favore degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali (CPDEL), alla Cassa per le pensioni dei sanitari (CPS) e alla Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (CPI), liquidate a decorrere dal 1° gennaio 2024, secondo il sistema retributivo per anzianità inferiori a 15 anni, sono calcolate con l’applicazione dell’aliquota prevista nella tabella di cui all’Allegato II alla presente legge. Per le anzianità superiori a 15 anni seguita a trovare applicazione la tabella di cui all’allegato A della legge n. 965 del 1965>. Le Casse citate fino al 1994 erano gestite direttamente da una Direzione del Tesoro e vennero incorporate insieme agli enti gestori della buonuscita nell’Inpdap, che a sua volta nel 2012 venne incorporato nell’Inps. Come per tutte le categorie della PA, l’anzianità di servizio fino a tutto il 1992, viene calcolata sulla base dell’ultimo stipendio. E, in generale, nel pubblico impiego, era previsto un rendimento maggiore nei primi 20/25 anni, a seconda dei casi, allo scopo di favorire il pensionamento anticipato, mentre nei settori privati (AGO) il rendimento è sempre stato uniforme (2% l’anno) fino all’80% della retribuzione pensionabile con 40 anni di servizio. Nelle Casse ex Tesoro era previsto un rendimento più favorevole nei primi 15 anni di servizio calcolati col sistema retributivo. Il Grafico chiarisce la situazione con un solo colpo d’occhio.
Nuovi e vecchi valori contenuti nella Tabella A (L. n. 965/65 e L.n.16/86)
La finalità della disposizione di cui al contestato articolo 33 – è scritto nella Relazione tecnica – è quella di assicurare una proporzionalità fra l’anzianità utile e la percentuale di rendimento pensionistico per le anzianità inferiori ai 15 anni, che con l’introduzione del sistema cosiddetto “misto” ad opera della legge n. 335 del 1995, saranno utilizzate anche nei prossimi anni per la valorizzazione delle quote retributive delle pensioni per coloro che al 31 dicembre 1995 (prima che entrasse in vigore il giorno dopo la legge Dini) possedevano un’anzianità utile inferiore ai 18 anni. I valori contenuti nelle tabelle A delle leggi n. 965/1965 e n. 16/1986, che tra l’altro hanno gli stessi valori fino all’anzianità di quindici anni, partono da un valore in corrispondenza dell’anzianità zero di 23,865%. Lo scopo di questa norma era quello di tutelare i superstiti di un lavoratore defunto nel primo anno di impiego. Poi, come si vede nel grafico, i rendimenti si allineano nel 15° anno. Il criterio previsto dalla nuova norma, invece, garantisce uno sviluppo graduale e proporzionato rispetto all’incremento dell’anzianità utile, calcolato come prodotto fra la percentuale su base annua del 2,5% e il numero di anni posseduti fino all’anzianità di quindici anni, con applicazione proporzionale ai mesi per le frazioni di anno. In pratica, in queste Casse (rebus sic stantibus) è sufficiente avere anche un solo anno (magari grazie al riscatto della laurea limitato ad un anno) per avere una pensione maggiorata di quasi il 24%. Ad esprimersi in punta di diritto con la nuova norma queste categorie non subirebbero un danno emergente ma solo un lucro cessante, perché verrebbe corretta una incomprensibile clausola di miglior favore che, peraltro, andrebbe a dissolversi nel tempo quando tutti andranno in pensione solo col calcolo contributivo. Poi c’è un altro problema: i medici più giovani che hanno cominciato a lavorare dopo il 1° gennaio del 1996 sono interamente nel sistema contributivo e non è detto che siano in grado di avvalersi del riscatto di un anno di laurea per approfittarne nel retributivo. In sostanza il personale medico e sanitario sciopererà per una regola di cui beneficiano solo i colleghi più anziani. Peraltro il riscatto della laurea è oneroso e quindi è il caso di fare un po’ di conti di quale percorso sia più conveniente. Il governo è in evidente difficoltà e sta cercando una soluzione per una ‘’diversità’’ sfuggita a tutti i governi precedenti. Ed è per questo motivo (non si capirebbe per quale altro se no) che i sindacati accusano l’esecutivo di peggiorare la stessa riforma Fornero (che non si era accorta della scappatoia). Giorgia Meloni ha spiegato ai sindacati che il governo sta lavorando per modificare la misura nel migliore dei modi possibili, garantendo che non ci sia nessuna penalizzazione per chi si ritira con la pensione di vecchiaia né per chi raggiunge entro il 31 dicembre 2023 i requisiti attualmente previsti. Il presidente del Consiglio ha aggiunto, poi, che “si sta valutando un ulteriore meccanismo di tutela in modo da ridurre la penalizzazione nell’approssimarsi all’età della pensione di vecchiaia’’. Ma un governo che non riesce a venire a capo delle concessioni balneari e delle licenze dei taxi, difficilmente potrà andare fino in fondo con la corporazione dei medici e altro personale sanitario. Anche perché ha perso come al solito la battaglia sul terreno della comunicazione. La vicenda però è singolare. Nessuno può essere accusato di aver violato la legge (che per definizione non fa errori formali, ma solo sostanziali). Ma nel dibattito di questi anni, delle leggi vigenti si è fatto strame – sottoponendo alla gogna e ad autodafé di dubbia equità – trattamenti del tutto conformi alle disposizioni vigenti al momento in cui furono liquidati. Nel caso dell’articolo 33 gli argomenti sono molto discutibili: poiché tanti fino ad oggi hanno usufruito di questa ‘’distrazione’’ dell’ordinamento non è un diritto acquisito continuare ad avvalersene.
Giuliano Cazzola