C’è quello che viene rinviato a giudizio perché ha divulgato segreti d’ufficio, quell’altro che fa fermare un treno perché è in ritardo e lui deve assolutamente arrivare a Caivano in tempo per partecipare a un importante “impegno istituzionale”, c’è quella che fa l’imprenditrice e la ministra a tempo perso, costretta a fare lo slalom tra inchieste che la riguardano. Infine c’è lui, l’alleato infido, che non perde occasione per sparare bordate sul governo di cui è vicepremier e ministro e che riunisce a Firenze il peggio della destra europea, praticamente i nuovi fascisti.
Giorgia Meloni si è circondata di questi personaggi – ma ce ne sono anche altri – che non le danno una mano nella sua corsa ad accreditarsi come premier seria e rispettosa dei rapporti internazionali, tanto che ormai viene riconosciuta un’interlocutrice affidabile nella cancellerie occidentali e non solo. Tanto che l’autorevole sito “Politico.eu” la elegge leader più concreta dell’Europa, definendola “il camaleonte”. Una definizione che nelle intenzioni del sito ha una valenza positiva, nel senso che viene sottolineata la capacità della nostra premier di mettersi alle spalle il suo passato neofascista e la sue bordate contro l’Europa, le banche, i poteri forti e via dicendo. Tuttavia, un camaleonte cambia pelle molto spesso, dunque Meloni può anche risultare inaffidabile, soprattutto se – come è probabile – sarà costretta a tornare su suoi passi riscoprendo la sua vocazione di destra estrema. Magari per non lasciare troppo spazio a Matteo Salvini che si è tuffato in quello spazio che lei ha lasciato libero.
Difficile pensare che la nostra premier sia diventata improvvisamente un’altra persona rispetto a quella che era fino a poche settimane fa, diciamo allora che si tratta di una conversione più opportunistica che reale, una mossa furbetta per cercare di apparire quel che lei non è mai stata e che non riuscirà mai ad essere. Ovvero, leader di una destra moderna, conservatrice ma non più fascista, che rispetta i diritti umani e le prerogative delle minoranze. Basta guardare alla sua politica sugli immigrati, il suo accordo con il leader albanese per deportare in quel Paese coloro che saranno salvati in mare dalle nostre capitanerie, per capire che si tratta soprattutto di propaganda utile a dimostrare che lei i problemi li affronta e li risolve in modo appunto concreto. Anche se tutti sanno, lei per prima, che quel centro di raccolta in Albania non si farà mai, ma intanto se ne parla mentre si avvicinano le elezioni europee: un altro modo per raccattare qualche voto. Non a caso i sondaggi continuano ad accreditare i suoi Fratelli d’Italia appena sotto al 30 per cento, mentre il Pd di Elly Schlein non arriva al 20 e il suo avversario interno, cioè Salvini, non riesce nemmeno a raggiungere il 10.
Per ora dunque Giorgia Meloni può dormire tranquilla, ma non per molto. A un certo punto, sarà costretta a scegliere quale pelle mettersi per i prossimi anni, se rispolverare quella storica oppure tenersi addosso quella nuova rischiando in questo secondo caso di perdere quello zoccolo duro che potrebbe abbandonarla per voltarsi verso il leader della Lega. Nel frattempo che ci pensa, la nostra premier avrebbe bisogno di una classe dirigente degna di questo nome: quella di cui dispone al momento si è infatti rivelata nient’affatto adatta al compito che le è stato affidato. Ma dove potrebbe trovare nuovi politici capaci di supportarla nella sua azione di governo e nella sua impresa di diventare un’altra persona? Come potrebbe fare a meno di tutti coloro, parenti e amici, che la accompagnano da decenni e che con lei hanno costruito il Partito? E che, soprattutto, sono quelli che lavorano sul territorio, alla ricerca continua di consensi e voti. Non potrebbe e infatti tenta faticosamente di tenere tutto e tutti insieme, passando da un importante vertice internazionale in cui si presenta come leader non estremista ma responsabile e ragionevole, a una qualunque iniziativa in cui magicamente rispunta dal cilindro la vecchia Giorgia, amica e alleata degli spagnoli franchisti di Vox e del leader ungherese, il parafascista e putiniano Orban.
Riccardo Barenghi