“La realtà ha superato qualsiasi ipotesi.” Questo il commento rilasciato ieri da Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm-Uil. Commento relativo all’ennesimo rinvio dell’Assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, la società pubblico-privata proprietaria degli impianti produttivi della ex Ilva. Un commento che, da un punto di vista stilistico, esce dai canoni della comunicazione sindacale, ma che appare pienamente giustificato dai fatti cui si riferisce.
Come si ricorderà, per la giornata di giovedì 23 novembre era sta convocata, a Milano, una riunione di tale assemblea. Riunione molto attesa, perché tutti i soggetti interessati alle vicende del più grande gruppo siderurgico presente nel nostro Paese speravano che l’annunciato incontro potesse, almeno, cominciare a sciogliere i nodi che avviluppano il suo sempre più incerto futuro. Con grande sconcerto, si era dunque appreso, in serata, che l’assemblea non si era conclusa, ma era stata rinviata alla giornata di martedì 28.
Ieri, gli occhi di tutti gli osservatori delle vicende industriali del nostro Paese erano dunque puntati sull’appuntamento milanese. Ma niente. Ancora una volta, nessuna decisione è stata presa. Ancora una volta si è saputo, in serata, che la riunione si era conclusa con un nulla di fatto e che una nuova assemblea era stata convocata per la giornata di mercoledì 6 dicembre.
Dire che questa provvisoria conclusione della riunione di ieri, martedì 28, è sconcertante è dire poco. Anche perché tutti gli addetti ai lavori ricordano che, già a metà dello scorso ottobre, il Presidente di Acciaierie d’Italia Holding, Franco Bernabè, nel corso di un’audizione alla Commissione Attività produttive della Camera, aveva lanciato un allarme sulla scarsità di risorse finanziarie presenti nelle casse del Gruppo. Scarsità di risorse che rende problematica non la prospettiva strategica, ma la capacità di assolvere alle incombenze quotidiane del Gruppo stesso, a partire dai pagamenti delle bollette energetiche.
In ottobre, Bernabé aveva dunque parlato della necessità di poter disporre, a breve, di nuove risorse finanziarie, per l’ammontare minimo di 100 milioni di euro. Adesso, secondo quanto scrive oggi sul Corriere della Sera Michelangelo Borrillo, tale cifra si sarebbe triplicata. Nell’immediato, infatti, servirebbe una cifra pari a 320 milioni.
Nell’assenza di comunicazioni ufficiali, è inevitabile che vengano formulate varie ipotesi sulla natura dei contrasti che, in queste giornate, hanno bloccato la capacità decisionale dell’assemblea.
A questo proposito, va detto che oggi Acciaierie d’Italia Holding ha emesso un comunicato con cui “smentisce” che “una qualsivoglia modifica delle attuali quote di partecipazione nella Società sia stata in alcun modo oggetto di confronto tra gli azionisti nell’Assemblea di ieri”.
Cosa significano queste poche righe? Si tratta, evidentemente, di una risposta, un po’ sibillina, all’ipotesi, formulata, ad esempio, da Paolo Bricco e Domenico Palmiotti in un articolo a doppia firma uscito oggi sul Sole 24 Ore. Ipotesi secondo cui “la famiglia Mittal”, proprietaria di ArcelorMittal, ovvero del socio di maggioranza (62%) di Acciaierie d’Italia, avrebbe visto con favore la possibilità che lo Stato, attraverso il veicolo Invitalia, attualmente socio di minoranza (38%), salisse in maggioranza all’interno di Acciaierie d’Italia. Se ciò accadesse, infatti, Invitalia dovrebbe accollarsi, proporzionalmente, la maggior parte del rifinanziamento ormai necessario.
Insomma, secondo l’ipotesi formulata dai due esperti giornalisti, ArcelorMittal, vedrebbe con favore l’ipotesi che Invitalia diventasse maggioranza in AdI, mentre a opporsi a tele ipotesi sarebbe il Governo italiano e, per esso, il ministro degli Affari europei e delle politiche di coesione, Raffaele Fitto, notoriamente “contrario al controllo pubblico dell’impresa”.
Ricapitolando.
Da quanto dichiarato alla Camera dallo stimatissimo Presidente di Acciaierie d’Italia Holding, Franco Bernabé – che nel frattempo ha prima offerto, e poi congelato, le sue dimissioni dall’incarico che gli fu conferito all’epoca del Governo Draghi – sappiamo che AdI ha urgente bisogno di nuove risorse finanziarie.
Da quanto scrivono fonti di stampa, come il Corriere della Sera, sappiamo che tali risorse sono cresciute dai 100 milioni di metà ottobre ai 320 milioni di fine novembre.
Da quanto sappiamo da varie fonti, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha indicato a Invitalia una linea che non fa una grinza. Ovvero la linea secondo cui, per mettere insieme tali risorse, ognuno dei due soci di AdI deve contribuire in misura pari alle quote societarie: Invitalia col 38% e ArcelorMittal col 62%.
Da quanto ricavabile dal fatto che una nuova assemblea dei soci di AdI sia stata convocata dopo due successivi appuntamenti conclusisi con un nulla di fatto, si può ritenere che, ancora, non sia stata raggiunta nessuna intesa fra le parti in merito al succitato rifinanziamento.
Ma quel che è peggio è che da nessuna delle fonti citate si può comprendere quale sia la vera strategia presente nella mente del gruppo dirigente di ArcelorMittal, né, a dire il vero, quali siano le intenzioni del Governo italiano, al di là dell’estrema prudenza dei suoi comportamenti.
A questo punto, non ci resta che ricordare che, sempre ieri, il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, intervenendo in mattinata all’assemblea dell’associazione genovese della sua organizzazione, ha affermato che “questo Paese deve decidere se l’acciaio lo vuole o no”. E ha poi aggiunto: “Io credo che sia fondamentale averlo” perché “Acciaierie d’Italia è un asset strategico per il nostro Paese. Molte delle catene di fornitura e del valore aggiunto dipendono dalla fornitura dell’acciaio di Taranto e degli altri siti produttivi”. Concludendo così: “Spero che si trovi una soluzione che vada nella giusta direzione non solo per AdI, ma per tutta la manifattura italiana”.
Vedremo cosa accadrà la prossima settimana.
@Fernando_Liuzzi