Mimmo Carrieri è stato per sette anni membro della Commissione di garanzia del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, fino a un mese fa. Nelle ultime settimane la Commissione è saltata agli onori, o disonori, della cronaca a causa dello sciopero, generale o meno, proclamato da Cgil e Uil contro il governo Meloni. Ma funziona da più di trent’anni e ha ottenuto dei risultati di grande rilievo.
Carrieri è stata una bella esperienza per lei?
Sì, molto. Mi ha consentito di stringere tanti rapporti con gli attori delle relazioni industriali, soprattutto con i funzionari della Commissione, tutte figure molto specializzate che assicurano una grande operatività consentendo alla Commissione di assolvere al suo compito. Un grande osservatorio delle relazioni industriali in movimento.
Un giudizio positivo sulla Commissione.
Sì, certamente. Si tratta di un organismo molto efficiente, che ha contribuito non poco a migliorare la realtà delle relazioni industriali in un settore delicato come i servizi pubblici essenziali. Credo però che adesso, rispetto alla realtà degli anni 90, quando la Commissione è nata, si siano verificati dei cambiamenti con i quali è necessario confrontarsi.
Cosa è successo?
Quando la Commissione è nata ebbe il consenso di tutte le grandi confederazioni sindacali. L’obiettivo era quello di porre delle regole per la realizzazione degli scioperi, per la loro durata, per l’intervallo tra i diversi scioperi. Si volevano far valere i diritti dei cittadini e degli utenti, per ottenere quello che Aris Accornero definiva la civilizzazione del conflitto.
Queste regole sono state rispettate?
Sì, sia dalle grandi confederazioni, ma anche dalle tantissime organizzazioni sindacali che si sono affacciate successivamente sulla scena, una costellazione molto vasta ed eterogenea. Il 99% degli scioperi rispettano le regole stabilite dalla legge.
Quindi un’operazione di successo?
Sì, se non fosse che sono sorti nuovi problemi, soprattutto che è molto cresciuto il numero degli scioperi in questi settori, sempre molto delicati. La percezione degli utenti è che si sciopera molto di più e questa percezione è suffragata dai dati raccolti dalla Commissione.
Ma è cresciuta anche la partecipazione dei lavoratori agli scioperi?
Questo è il punto dolente. I dati raccolti dicono che la partecipazione è modesta, a volte inesistente. Il che però non diminuisce i problemi per gli utenti, perché per varie ragioni organizzative anche gli scioperi proclamati, ma poi poco partecipati, portano a una diminuzione delle prestazioni. Tanti scioperi proclamati, pochi lavoratori che aderiscono, ma il danno per gli utenti c’è e pesa. Ed è successo così che le grandi confederazioni, che non proclamano la grandissima parte di quegli scioperi, alla fine hanno perso la capacità di regolare l’insieme della dinamica del conflitto.
Cosa è possibile fare per evitare questa moltiplicazione degli scioperi?
Si possono trovare dei disincentivi. Per esempio, aumentando la rarefazione delle agitazioni. Attualmente devono passare almeno dieci giorni tra uno sciopero e l’altro nello stesso settore. Questo lasso di tempo potrebbe crescere fino a venti giorni, l’effetto ci sarebbe certamente.
Oppure?
Un’altra strada da percorrere, sottolineata dalla Commissione di cui ho fatto parte, sarebbe quella di introdurre dei criteri che leghino la potestà di proclamare scioperi all’esistenza di un certo grado di rappresentatività delle organizzazioni proponenti. C’è anche un precedente, un accordo realizzato per le ferrovie, che però non è stato sottoscritto da tutti gli attori sindacali. Prevede che uno sciopero debba essere chiesto dalla maggioranza dei delegati delle Rsu e da almeno due organizzazioni sindacali. Il problema è che chi non ha firmato questo accordo non è tenuto ovviamente a rispettarlo. Per renderlo valido erga omnes servirebbe una legge sulla rappresentanza, molto difficile però da realizzare.
Basterebbe una legge non sulla rappresentanza in generale, ma solo sui criteri per poter proclamare gli scioperi?
È una strada percorribile. Il problema è che le piccole formazioni sindacali particolarmente agguerrite potrebbero aggirare l’ostacolo coalizzandosi e raggiungendo così i criteri richiesti. Una terza via sarebbe quella di prevedere un referendum tra i lavoratori che dia via libera agli scioperi. Lo prevede il sistema di relazioni industriali tedesco.
Ma le confederazioni italiane sono contrarie a questa soluzione.
Sì, nonostante siano proprio loro le prime a patire i danni causati dall’insofferenza degli utenti e dalla mancata condivisione dei lavoratori. Ma il nodo da sciogliere è proprio quello della moltiplicazione degli scioperi, che agisce come l’inflazione che riduce il valore della moneta. Così troppe proclamazioni abbassano il valore politico dello sciopero.
L’azione della Commissione è venuta alla ribalta con lo sciopero proclamato da Cgil e Uil contro la manovra economica del governo. È giustificato il risalto che ha avuto il fatto?
In realtà, il comportamento della Commissione in questa vicenda è stato corretto, si è limitata ad applicare una delibera della stessa Commissione del 2003 che indicava quali scioperi potevano essere considerati generali e in quanto tali potevano derogare alle limitazioni cui sono sottoposti gli scioperi non generali.
Come mai la Commissione arrivò a questa delibera?
C’erano molti scioperi delle confederazioni contro il governo in carica e si pensò di regolare la questione.
Quindi fu giusto approvare questa delibera?
Sì, ma poi si sono moltiplicati gli attori sindacali ed è cresciuto anormalmente il numero di scioperi generali. Nessuno lo sa, ma vengono proclamati circa venti scioperi generali ogni anno.
Proclamati ma non partecipati?
La non partecipazione non ha effetti successivi. Se la proclamazione è corretta e i termini dell’agitazione rientra nei criteri adottati lo sciopero è considerato generale e può derogare dai criteri o vincoli settoriali esistenti. Ma è paradossale che questi sindacati minori possano proclamare scioperi considerati generali e l’agitazione promossa da Cgil e Uil non abbia avuto lo stesso riconoscimento pur avendo una partecipazione sul piano intersettoriale.
Come è possibile rimediare a questa situazione?
Forse la cosa migliore sarebbe eliminare la delibera del 2003 che ha causato più problemi di quelli che ha evitato.
Ma è una strada percorribile?
Lo deve decidere la Commissione, ma quella di cui io facevo parte non volle seguire questa strada. Oppure si potrebbe mantenere la patente di sciopero generale, ma solo se proclamato da organizzazioni che nelle precedenti occasioni abbiamo ottenuto sufficienti consensi e adesioni.
Sarebbe difficile questa valutazione?
No, se c’è la volontà. Basterebbe registrare i dati e poi attribuire questa patente di generalità. È una strada percorribile.
Massimo Mascini