Deve esserci una sorta di contrappasso, o una specie di karma, nel fatto che il governo tra i più pasticcioni della nostra storia si dia da fare per cancellare i governi e le figure più efficienti della nostra storia. Mi riferisco a quella parte della cosiddetta riforma costituzionale ideata dal Governo Meloni, fin qui alquanto pasticciata, appunto, ma dalla quale emergono due punti assai chiari:1) impossibilità di nominare un tecnico a capo del governo; 2) impossibilità di nominare senatori a vita.
Premessa: non perdo nemmeno un secondo a disquisire se questa riforma col premierato sia o meno liberticida, eccetera; intanto, perché più che una riforma al momento sembra un pitch, ovvero quelle poche righe che si presentano a un produttore per spiegare in estrema sintesi i contenuti di una futura serie tv. In secondo luogo, perché queste discussioni si fecero anche nel 2016, ai tempi della ben più strutturata e sensata riforma Renzi, e sappiamo la fine che fece. Pure la riforma Meloni, almeno al momento, e basandomi sul pitch, direi che difficilmente arriverà ad essere prodotta. Ma a parte queste previsioni, che potrebbero essere smentite tra un anno o due. Resta che l’intento principale sembra essere soprattutto quello di abolire rabbiosamente i governi tecnici dalla nostra storia, stabilendo, non si capisce bene per quale motivo razionale, che “nessuno che non sia parlamentare potrà mai più svolgere il ruolo di premier”. Tradotto in concreto questo vuol dire che ci saranno mai più un Ciampi, un Draghi, un Monti, a rimettere a posto i cocci dopo i disastri della politica.
Ripercorrendo rapidamente gli ultimi tre decenni: Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, nel 1993 ha dovuto rimboccarsi le maniche per restituire credibilità all’Italia non solo nel caos di Tangentopoli, massima punta di discredito della politica, ma anche in quello economico e finanziario. E non a caso dopo Palazzo Chigi è stato anche il ministro dell’Economia che col Governo Prodi (un tecnico pure lui, in fondo, economista e per due volte presidente dell’Iri) ci portò nell’euro e infine uno dei presidenti della Repubblica più apprezzati e amati: quello che, per inciso, restituì popolarità all’Inno e al Tricolore, per molti decenni considerati solo simboli della destra.
Dopo Ciampi nel 1995 toccò a un altro tecnico di Via Nazionale, Lamberto Dini, traghettare dignitosamente la compagine berlusconiana (crollata dopo appena nove mesi di governo in quanto mollata dal suo alleato principale, la Lega) verso nuove elezioni; nel frattempo, Dini riuscì a fare anche una importante riforma delle pensioni, quella stessa che i sindacati avevano negato al governo politico del Cavaliere, evidentemente incapace di raggiungere un accordo. Nel 2011 tocca a Mario Monti, economista, commissario Ue, presidente della Bocconi, salvare i cocci di un disastro – finanziario e di credibilità internazionale – dopo che Berlusconi era stato accompagnato alla porta a causa dell’incapacità di gestire la crisi economica che stava portando l’Italia al default. Infine, l’ultimo tecnico (benedetto), Mario Draghi, che dopo aver gestito la crisi globale del 2012 dalla sua scrivania della Bce, dopo aver messo al riparo euro, Europa, e naturalmente Italia, dalle speculazioni mondiali, è venuto a tirarci fuori dal caos totale causato dal Covid e dall’incapacità di un governo politico di organizzare, perfino, una cosa banale come una campagna vaccinale.
Proviamo a pensare se non avessimo avuto quei tecnici che sarebbe stato di noi. Chissà se saremmo qui a raccontarla. Non si tratta di fare l’elogio delle tecnostrutture, dei poteri forti, o di quant’altro: solo di constatare che la politica italiana, nelle sue persone e nei suoi personaggi, si è purtroppo assai spesso dimostrata incapace di portare il paese sulla strada giusta. E per fortuna avevamo dei Ciampi, dei Dini, dei Monti, dei Draghi, disposti a farsi carico del lavoro pesante per conto di tutti. Non che manchino politici bravi, eh. I nomi sicuramente ci sono, figuriamoci, certo che ci sono, basta pensarci. O forse no? (“Fammi un nome, uno solo”, diceva Julia Roberts-Pretty woman alla sua amica. Che rispondeva: “quella gran culo di Cenerentola”. Noi in alcuni periodi avremmo potuto rispondere: “l’elettrauto di Dibba”. E pure peggio)
Quanto all’abolizione dei senatori a vita, che dire. Nulla. Mi limito a copiare qui sotto la lista di coloro che nella storia repubblicana hanno ricoperto questo incarico. Penso che basti.
Guido Castelnuovo, Arturo Toscanini, Pietro Canonica, Gaetano De Sanctis, Pasquale Jannaccone, Trilussa, Luigi Sturzo, Umberto Zanotti Bianco, Giuseppe Paratore, Cesare Merzagora, Ferruccio Parri, Meuccio Ruini, Vittorio Valletta, Eugenio Montale, Giovanni Leone, Pietro Nenni, Amintore Fanfani, Leo Valiani, Eduardo De Filippo, Camilla Ravera, Carlo Bo, Norberto Bobbio, Giovanni Spadolini, Giovanni Agnelli, Giulio Andreotti, Francesco De Martino, Emilio Paolo Taviani, Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo, Mario Luzi, Giorgio Napolitano, Sergio Pininfarina, Mario Monti, Claudio Abbado, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia, Liliana Segre.
Nunzia Penelope