Il segretario generale della Flaei Cisl, Amedeo Testa, ripercorre in questa intervista per Il diario del lavoro, le tappe e i contenuti di una positiva stagione di relazioni industriali con Acea, alla cui base vigono i principii della partecipazione e della persona al centro promossi anche dalla proposta di Legge di iniziativa popolare della Cisl “La partecipazione al lavoro”. Due concetti propedeutici e imprescindibili, che per Testa sono la bussola per orientare una sana e robusta contrattazione. Ma le sfide del comparto elettrico non si fermano, perché tra le spinte dell’Ue per transizione energetica e il paventato ritorno al nucleare la strada è lunga e irta di insidie ideologiche.
Il 2023 si sta caratterizzando per un’intensa stagione di relazioni sindacali con Acea, con tre accordi importanti in pochi mesi contenenti molte innovazioni. Quali sono i presupposti per rapporti così positivi?
Con il nuovo Amministrato Delegato di Acea, Fabrizio Palermo, che si è insediato a settembre dello scorso anno, abbiamo avuto da subito rapporti di reciproco rispetto dei ruoli. Lui è cosciente del fatto che è un’azienda con un tasso di sindacalizzazione molto alto e anche noi siamo consapevoli della nostra esperienza e delle nostre competenze. Un giudizio, il mio, che condivido con i nostri rappresentati aziendali in ACEA che davvero stanno facendo un buon lavoro. Ovviamente la strada è ancora lunga, ma se continuiamo a fare relazioni sindacali come stiamo facendo ora, siamo convinti che avremo anche altri risultati positivi. Quello che per noi è fondamentale è fare un accordo sulla base del principio della partecipazione in linea con l’articolo 46 della Costituzione, che è l’elemento di massima qualità che stiamo ricercando in tutto il settore elettrico, quindi anche in Acea.
Ripercorriamo le tappe. Il passaggio propedeutico è la “Carta dei valori della persona e della partecipazione”. In che modo è considerata la base degli accordi che sono seguiti? E quanto ha contato lo Statuto della persona, lanciato dall’Enel?
La Carta ha influito tantissimo. Siamo esattamente dentro quel percorso e ringrazio Acea che ha voluto scommettere su questa carta valoriale e non solo. La madre dell’accordo è lo Statuto della Persona sottoscritto con Enel, che ha avviato una nuova stagione, almeno sulla carta, di Relazioni Industriali partecipate. Questo “cappello valoriale”, questo modo di fare relazioni industriali è stato anche recepito dentro il contratto stipulato a luglio 2022 con il nome di “Carta dei valori della persona nelle imprese del settore elettrico”. Con Acea, però, abbiamo fatto un ulteriore passo avanti: abbiamo preso più o meno quello che c’era nello Statuto della persona e vi abbiamo aggiunto una parte che riguarda la partecipazione, come si evince già dal titolo. Noi abbiamo una sensibilità enorme sull’argomento della partecipazione dei lavoratori ai destini dell’impresa stessa; la Cisl sta anche facendo una raccolta firma a riguardo, e con Acea – appunto – spingiamo un po’ di più sulla la partecipazione strategica. Paradossalmente, però, se tutto scaturisce dallo Statuto della persona, su questo versante adesso Enel sta arrancando un po’ nel proseguire la strada tracciata, considerando anche che a breve andrà via il capo del personale che ha promosso lo Statuto, insieme a noi e alle altre due Organizzazioni Confederali.
In che termini Enel sta arrancando?
Perché se in Enel abbiamo fatto qualcosa di importante con lo Statuto della persona, adesso siamo fermi su tante questioni. Forse ha anche influito il cambio di a.d., ma non in senso negativo, piuttosto nel senso che l’azienda si sta riorganizzando. Lo statuto della persona doveva essere calato anche sul territorio, dove a dire il vero c’è stata anche una buona sperimentazione in qualche regione. Dovevamo fare in modo che quelle buone prassi diventassero materia concreta un po’ dappertutto, mentre invece ha funzionato più in alto che in basso. In questo momento, tra l’altro, non sta funzionando nemmeno in alto, proprio perché è in atto questo momento di riassetto in cui molte cose non ci risultano chiare.
Pensa che anche Acea possa correre lo stesso rischio?
Posto che per quanto riguarda gli accordi sottoscritti nulla è per sempre, al momento tutto fa pensare di no, perché quando abbiamo fatto quell’accordo siamo stati assolutamente coerenti. Per esempio in Acea abbiamo stabilizzato le addette all’accoglienza e per la prima volta un’azienda ha internalizzato un’attività che nessun altro internalizza, a dimostrazione che si crede veramente al rispetto della persona. Ripeto: l’elemento fondamentale è un accordo sulla partecipazione in linea con l’articolo 46 della Costituzione, anche nell’ottica della proposta di legge popolare che sta portando avanti la Cisl, perché l’articolo parla di gestione dei lavoratori all’interno delle aziende tenendo conto delle esigenze della produzione. A parole sono tutti d’accordo, noi siamo pronti, vediamo chi ci sta.
Il Protocollo in materia di appalti risulta particolarmente proattivo nei suoi contenuti. Quali sono i punti salienti?
Questo è il primo protocollo di gruppo siglato in Acea in materia di appalti. Il documento punta sostanzialmente a garantire la massima regolarità nelle procedure di appalto, sostiene in maniera maggiore l’occupazione e soprattutto la sua applicazione, garantendo più tutele, più diritti e più formazione ai tanti lavoratori dell’indotto di una delle più grandi stazioni appaltanti d’Italia. Quello che di solito il sindacato ricerca quando si fanno protocolli sugli appalti è fare in modo che tutto quello che sta fuori dall’azienda, come le attività core, sia tutelato come quello che sta dentro. Una cosa bella a dirsi, un po’ meno facile a farsi, però il protocollo siglato con Acea è molto innovativo perché tiene conto degli obiettivi che il sindacato ricerca da anni, e cioè coprire tutto l’ecosistema più o meno con uguali tutele. Certo la situazione cambia con il contesto di applicazione dei contratti, ma l’importante è impegnarsi ad alzare le tutele e a mettere al centro la persona.
Infortuni e morti sul lavoro: nel protocollo con Acea c’è una parte che riguarda proprio questo tema. Cos’altro si dovrebbe fare, più in generale, per ottenere risultati?
Il nostro settore ha molto a cuore la sicurezza, anche perché la nostra “materia”, l’elettricità, non si vede, ma…chi tocca i fili muore. La sicurezza all’interno si fa con il massimo rigore, anche se è sempre volta al miglioramento, e per questo abbiamo degli organismi bilaterali con le aziende di settore. All’esterno, però, tutto questo non capita con la stessa qualità. Quindi questo protocollo con Acea, oltre le altre questioni, aiuta proprio in questo: i lavoratori devono avere più formazione e più sicurezza e coloro che vengono impiegati devono possedere formati per avere più qualità. E questo aspetto è ben colto nel protocollo.
Transizione energetica: voi come Flaei avete spesso anticipato i tempi, ma a che punto siamo rispetto alle scadenze decise dall’Europa? Che impatto possono avere i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente?
Come Flaei è vero che siamo molto avanti, ma lo siamo semplicemente perché conosciamo bene la materia. Per quanto riguarda il discorso delle scadenze noi continuiamo a dire che non saranno mai rispettate: non per cattiva volontà, ma perché ci sono dei problemi strutturali che non consentiranno al 2030 di raggiungere quegli obiettivi. La cosiddetta transizione energetica non esiste. Io, piuttosto, la chiamo, un po’ ironicamente, de-transizione energetica, perché tutto quello che è successo con i conflitti bellici, e quindi con il fatto che i prezzi dell’energia sono schizzati in alto in maniera impressionante e non sono ritornati ai livelli di un tempo, ha avuto come conseguenza la riapertura o la massimizzazione delle centrali a carbone, utilizzando come in Germania anche carbone di scarsa qualità. Le gigantesche quantità di energia che servono per alimentare la nazione, e che aumenteranno tantissimo con l’aumentare del progresso, non potranno mai essere coperte con le rinnovabili a condizioni tecnologiche attuali. Sarebbe bello togliere le centrali a carbone, a gas, e generare energia con il vento e con il sole, ma con le rinnovabili non si arriva a coprire gli attuali fabbisogni, e neanche, soprattutto, quelli futuri. Inoltre, il problema principale è che tutto passa sulla rete e sui tralicci, sulle centrali, sulle cabine primarie e secondarie: se tutto questo asset dovesse accogliere i 70/80 Gw che si preannunciano per il 2030, andrebbe completamente rifatta la rete e i tempi per rifare una rete non sono inferiori a 25-30 anni. Ci sono quindi importanti problemi strutturali. L’approccio ideologico da parte dell’Unione europea su questi argomenti non aiuta. Peraltro dobbiamo ricordare che quando si parla di rinnovabili si parla di materiale minerale, e quindi passeremmo da una dipendenza da idrocarburi a una dipendenza da minerali, e tutto questo avvantaggerebbe grandemente la Cina, cosa questa che dobbiamo evitare che accada. La cosa che si dovrebbe fare in Italia sono i pompaggi idroelettrici, accumuli strategici che per usare una immagine potremo chiamare le batterie italiane. Ma strutturalmente ci renderebbe indipendenti solo il nucleare.
Per l’appunto ultimamente si è tornati a parlare di nucleare. Secondo lei è davvero possibile?
Devo dire con orgoglio che abbiamo anticipato ancora prima del governo il discorso sull’importanza del nucleare. Quindi assolutamente sì, perché tutto il mondo ha le centrali nucleari e inoltre, quando si compete, lo si fa soprattutto con i costi dell’energia. Avere quindi lo stesso mix energetico delle altre nazioni è indispensabile. Ma non bisogna illudersi di riuscire a fare la conversione al nucleare dall’oggi al domani. Anche qui serve realismo. Interessante è il piano industriale di Edison che affronta concretamente il problema, stimando che tra il 2030 al 2040 possa mettere in funzione due centrali nucleari. Anche se secondo me è una visione troppo ottimistica, meglio essere ottimisti che pessimisti. Quello che invece mi meraviglia è che Enel non muova con più decisione verso questa possibile realtà, chiedendo magari al governo di inglobare Sogin e ripartire con forza anche su questo aspetto. In questo modo si sta lasciando ai privati la gestione dell’infrastruttura fondamentale di una nazione. Edison sta facendo la cosa giusta, ma non può essere solo un privato a farlo: dovrebbe essere lo Stato con le proprie aziende. La verità, quindi, è che c’è estremo bisogno della mano pubblica: perché l’energia, che è la materia più importante di una nazione, non può essere lasciata solo a un’impresa privata.
Le persone vivono ancora con scetticismo l’ipotesi del nucleare in Italia.
In Italia si vive con scetticismo quello che da altre parti non si rileva con scetticismo. A fronte di incidenti come quelli di Chernobyl e Fukushima, l’Italia è stata la nazione a farsi impressionare di più. Massimo rispetto per la volontà popolare, ma mi sento di sottolineare che a dire di no al nucleare siamo stati solo noi, perché molte nazioni stanno facendo addirittura piani per produrre ancora più con il nucleare: la Cina, l’India, gli Stati Uniti, la Francia tanto per fare qualche esempio. Riallacciandomi alla considerazione su Enel, la Francia sta rinazionalizzando l’energia e vuole ripartire forte sul nucleare, perché ha capito che è l’unica fonte sicura che permetterebbe di affrancarsi dalla dipendenza energetica. In Italia, invece, siamo immersi in un dibattito totalmente ideologico che è la nostra zavorra: mentre il mondo va avanti, avendo delle convenienze in un certo tipo, noi continuiamo a stare al palo.
Elettra Raffaela Melucci